Obiettività ed indipendenza nei media americani: l'operazione Iraqi Freedom e le armi di distruzione di massa
L’uso della menzogna e la manipolazione dell’intelligence
Al di là degli strumenti retorici, delle tecniche di controllo dell'informazione e di spin doctoring, dell'attività di propaganda, vi sono stati alcuni casi e alcuni episodi in cui l'Amministrazione ha citato fonti, report dell'intelligence o altri rapporti e documenti che sapeva essere non affidabili, artefatti o comunque “gonfiati”, quando non semplicemente inventati. Mi pare quindi opportuno esaminare brevemente quelli a cui la stampa ha dato maggior rilievo, e che hanno successivamente causato maggior imbarazzo tra gli “autori” e gli stessi giornali che li avevano riportati.
Il 7 Settembre 2002 il Presidente Bush, durante una conferenza stampa al fianco del suo principale alleato Tony Blair, citò un rapporto dell'Agenzia Internazionale per l'Energia Atomica (IAEA), datato nel 1991, secondo il quale l'Iraq era a soli sei mesi dallo sviluppo di armi nucleari. Concluse il proprio intervento affermando «non so di quali altre prove abbiamo bisogno» (Rampton e Stauber 2003, 92, trad. mia). Tuttavia, la stessa agenzia replicò smentendo categoricamente l'esistenza di un simile documento, aggiungendo che, dopo quattro anni in cui le ispezioni erano state interrotte, nessuno poteva conoscere il reale stato dell'arsenale iracheno. La IAEA aveva effettivamente emesso un rapporto, nel 1998, nel quale si sottolinea che in Iraq non c'ê nessun indicazione di un effettiva capacità di produzione di materiale nucleare (ibidem).
A pochi giorni dall'inizio delle operazioni militari infine, il 7 Marzo 2003, la IAEA ribadisce ancora la propria posizione (vedremo come tale agenzia sia una delle fonti più scettiche sulla questione delle armi di distruzione di massa e una delle più “ignorate” dai media) segnalando la totale mancanza di prove a favore della presenza di un arsenale non convenzionale in Iraq. Il suo direttore, Mohamed ElBaradei, si espresse anche in merito ad un'altra controversa questione, i tubi d'alluminio ritrovati in Iraq. Parlando alle Nazioni Unite, Bush condannò la «continua bramosia» di Hussein per le armi nucleari, riferendosi all'acquisto di migliaia di tubi di alluminio rinforzato che sarebbero stati destinati alle centrifughe per l'arricchimento dell'uranio, un passo chiave nella costruzione di ordigni nucleari.
La notizia, resa pubblica dalla giornalista Judith Miller su «The New York Times» l'8 Settembre 2002 (al termine, come vedremo, di un'indagine controversa e non propriamente “corretta” dal punto di vista giornalistico), ebbe grande risonanza come prova della colpevolezza di Hussein. In realtà, la maggior parte degli esperti che aveva potuto esaminare i suddetti tubi nutriva numerosi dubbi in proposito, in quanto le dimensioni, lo spessore e altre caratteristiche tecniche li rendevano inadatti a questo scopo (Massing 2004). Erano identici a quelli precedentemente utilizzati dal regime per la fabbricazione di missili convenzionali (ibidem).
Il dissenso intorno alla reale natura di questi tubi passò nel più totale silenzio mediatico, nonostante, come vedremo in seguito analizzando le fonti utilizzate da «The New York Times», David Albright espresse personalmente i propri dubbi al riguardo. Colin Powell non si fece problemi a citarli anche successivamente durante il suo decisivo discorso all'ONU il 5 Febbraio 2003. Tuttavia, la distorsione più evidente, soprattutto in quanto indubbiamente consapevole e volontaria, che venne orchestrata dall'Amministrazione fu il cosiddetto caso Nigergate. Nel 2001, la CIA ricevette un rapporto dall'intelligence britannica secondo il quale Saddam Hussein avrebbe acquistato un imprecisato quantitativo di uranio in Niger.
Nel 2002 l'ex ambasciatore Wilson, inviato in Niger per indagare sulla questione, giudica infondata la “soffiata” e i risultati della missione vengono archiviati (Rampton e Stauber 2003). Tuttavia, la storia dell'acquisto dell'uranio verrà più volte ripresa e utilizzata: da Colin Powell di fronte al Senato, dall'ambasciatore Negroponte di fronte alle Nazioni Unite, fino al discorso sullo Stato dell'Unione di Bush il 28 Gennaio 2003 il quale, nonostante la CIA lo avesse invitato alla massima cautela a questo riguardo, affermò che il governo inglese aveva le prove che Hussein avesse recentemente acquisito significative quantità di uranio in Niger (ibidem). L'intervento del Presidente era stato inoltre approvato dal Consigliere per la Sicurezza Condoleezza Rice, la quale, così come la CIA, era ovviamente consapevole che il Presidente stava deliberatamente utilizzando informazioni false (ibidem). Inoltre, la stessa IAEA, esaminati i documenti, era giunta a concludere che si trattasse di un falso. Lo scandalo scoppierà il 6 Luglio 2003, quando l'ex ambasciatore Wilson rivelerà a «The New York Times» la sua missione e la totale infondatezza della questione dell'uranio. Sarà un duro colpo per la credibilità dell'Amministrazione.
Per quanto riguarda l'altra grande giustificazione per l'intervento, i legami tra Al-Qaeda e il regime di Hussein, la totale assenza di prove al riguardo (eccetto un presunto incontro a Praga tra i servizi segreti iracheni e uno dei dirottatori dell'11 Settembre, avvenimento la cui credibilità è stata da subito messa in dubbio dalle intelligence dei principali paesi europei) non ha impedito all'Amministrazione di ripetere instancabilmente tale connessione come se fosse un dato pressoché certo, utilizzando sempre vaghi riferimenti a informazioni «riservate» e senza mai proporre fonti precise o prove effettive (ibidem). Nell'Ottobre 2002 Bush annuncia «sappiamo che l'Iraq e la rete terroristica di Al Qaeda hanno un nemico in comune», e aggiunge che, secondo lui, Saddam Hussein era un uomo che «vorrebbe utilizzare Al Qaeda come un esercito all'avanguardia¬ (ibidem, 74). Nello scenografico discorso all'ONU di Powell del 5 Febbraio inoltre, il Segretario di Stato americano citò come prova del legame tra l'Iraq e Al Qaeda un dossier del MI6, i servizi segreti inglesi, il quale si rivelò essere stato addirittura copiato, errori di stampa compresi, dal lavoro di un dottorando californiano pubblicato sul «Middle East Review of International Affairs». La vicenda provocò ovviamente enorme imbarazzo al governo Blair, inoltre, è secondo alcuni probabile che i collaboratori del Primo Ministro inglese abbiano deciso di divulgare tale dossier piuttosto che avvalersi degli analisti del MI6 in quanto l'agenzia non condivideva la posizione di Blair in merito all'arsenale iracheno (ibidem).
Ciononostante, l'instancabile martellamento dei portavoce dell'Amministrazione, riecheggiato e amplificato dai media, portò il 64% degli americani a credere che ci fosse un contributo iracheno all'attentato dell'11 Settembre, con un 13% addirittura convinto che alcuni dei dirottatori fossero iracheni, quando in realtà nessuno di loro lo era (Kull 2003).
Infine, vorrei citare un rapporto della Carnegie Endowment for International Peace al riguardo delle manipolazioni, o quantomeno dell'uso “selettivo” che l'Amministrazione ha fatto dell'intelligence e delle relazioni delle varie agenzie americane (manipolazioni che la Commissione d'inchiesta del Senato ha confermato nel 2008, dopo cinque anni d'indagine). Il rapporto mette a confronto le prove, i dati e i report dell'intelligence effettivamente disponibile agli Stati Uniti con le dichiarazioni rilasciate dagli esponenti del governo.
Ne emerge un quadro poco lusinghiero nei confronti dell'Amministrazione: al di là del fatto che si conclude che l'intelligence americana abbia largamente sopravvalutato la minaccia posta dal regime di Saddam, viene anche evidenziato come spesso nelle affermazioni degli ufficiali vengano escluse le espressioni di incertezza, gli avvertimenti, le indicazioni di probabilità presenti invece nei documenti originali che vengono “citati” (Calabrese 2005). Ad esempio, ê evidente che l'effetto di una frase che comincia con “sappiamo che” è totalmente diverso da quello di una che inizia con “non possiamo escludere che” oppure “sospettiamo” (ibidem). Inoltre, mi pare interessante riportare che questo studio non manca di rilevare la difficoltà di ipotizzare un legame tra Al Qaeda e l'Iraq: Bin Laden e Saddam potranno anche avere un nemico in comune, come sostenne Bush, ma le ragioni di conflitto e astio tra i due sono numerose e radicate, basta ricordare che Bin Laden definì il dittatore iracheno un apostata e un infedele, si era offerto di combatterlo durante l'invasione del Kuwait, e aveva spesso inneggiato alla sua destituzione (ibidem). Vedremo che argomentazioni di questo tipo erano emerse anche prima dell'intervento, ma le troviamo “sepolte” all'interno delle testate e ben lontane dalle prime pagine, nonostante la loro oggettiva pertinenza al dibattito in atto.
Concludendo, l'Amministrazione Bush ha messo in campo una strategia coordinata e consapevole di marketing politico, attuando un vera e propria campagna di promozione del conflitto che ha fatto leva sia su mezzi convenzionali di relazioni con i media che su strategie più spregiudicate (Grandi 2008). La retorica di Bush ha forgiato in maniera efficace il legame tra l'Iraq e Al Qaeda, tra l'intervento per deporre Saddam Hussein e la guerra al terrorismo, riuscendo a collegare le sue argomentazioni alla tradizione della politica estera statunitense, dalla guerra d'indipendenza contro la Gran Bretagna, alla sconfitta del Nazismo nella Seconda Guerra Mondiale, alla lotta contro “l'impero del male” durante la Guerra Fredda (ibidem).
Una guerra si combatte sia sul piano materiale delle iniziative politiche e militari che su quello simbolico del significato che viene attribuita a tali azioni. In una democrazia, in cui le decisioni non possono essere prese contro il volere della maggioranza della popolazione, l'importanza della dimensioni simbolica e interpretativa degli eventi è tale che, come abbiamo visto, i vertici politici e militari non esitano ad infrangere la legge per promuovere la propria visione degli eventi (ibidem).
Questo brano è tratto dalla tesi:
Obiettività ed indipendenza nei media americani: l'operazione Iraqi Freedom e le armi di distruzione di massa
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Informazioni tesi
Autore: | Luca Costa |
Tipo: | Tesi di Laurea Magistrale |
Anno: | 2009-10 |
Università: | Università degli Studi di Bologna |
Facoltà: | Scienze Politiche |
Corso: | Scienze politiche e delle relazioni internazionali |
Relatore: | Marcella Emiliani |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 143 |
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