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Giornalismo russo: proibito parlare

L’ultima piaga russa: il giornalismo della nuova generazione

Il fine principale che si prefiggevano i media nell’era sovietica coincide con quello attuale: educare il popolo e fornire un servizio al pubblico. Tuttavia i giornalisti formatisi dopo la dissoluzione dell’URSS si pongono come scopo anche la rapida divulgazione delle informazioni. In ogni caso, l’attività di entrambe le generazioni è basata sul grado di coinvolgimento più o meno neutrale nei confronti dei temi trattati e del lavoro svolto.

Il diverso livello di impegno e neutralità nella propria professione dipende dai rischi a cui sono sottoposti coloro che in Russia seguono il motto, ormai tristemente noto, di Anna Politkovskaja: «io vivo la vita, e scrivo di ciò che vedo». Tutti coloro che riconoscono nel giornalismo il solo compito di fare propaganda allo Stato e ai gruppi economici emergenti ricevono in cambio la sicurezza di una vita priva di incidenti sul lavoro. Infatti, secondo degli studi effettuati nel 2007, la Russia occupa il secondo posto al mondo, dopo l’Iraq, per quantitativo di giornalisti «morti in circostanze misteriose».

In particolare, dopo l’ascesa al potere del presidente Putin nel 2000, i reporter uccisi a causa delle loro inchieste «scomode», o per aver indagato su personaggi politici influenti e sui loro affari spesso segreti, sono più di cento. Il filo conduttore che lega le numerosi morti dei nuovi giornalisti russi è proprio il risultato del loro impegno professionale, ossia la pubblicazione di materiale compromettente per le persone oggetto delle loro immagini, quasi sempre membri del potere politico, finanziario, oppure agenti di polizia o criminali.

Questa piaga moderna che si sta espandendo come una macchia d’olio nella Federazione Russa ha il suo centro propulsore nel Cremlino. Sebbene esistano numerosi sospetti nei confronti dei probabili esecutori di queste numerose morti, i veri assassini rimangono, nella maggior parte dei casi, impuniti. Negli ultimi quindici anni solo due dei dodici peggiori delitti commessi in Russia sono stati risolti. Il Committee to Protect Journalist (CPJ) ha denunciato, a partire dal 2000, ben sedici omicidi di giornalisti russi rimasti irrisolti, arrivando ad affermare che «il giornalismo di opposizione rischia l’estinzione nel Paese».

Non è solo il fine che si propongono i nuovi giornalisti a essere diverso dal compito svolto dai reporter della vecchia generazione: una differenza fondamentale risiede anche nel loro pubblico. Coloro che avevano accesso ai mezzi di comunicazione di massa nell’era sovietica rappresentavano una massa ancora immatura, isolata dal mondo occidentale e totalmente sottomessa al Governo. Oggi il nuovo pubblico sente il bisogno di accedere ai media per informarsi e sentirsi cittadini del mondo.

Questa moderna consapevolezza del popolo spinge i giornalisti a cercare di giungere alla verità, li avvicina al modello occidentale di fare giornalismo. Ciò che induce nei giornalisti della nuova generazione il desiderio di verità è anche il cambiamento dei valori avvenuto dopo il collasso dell’Unione Sovietica. I reporter sovietici vedevano nel loro lavoro la possibilità di raggiungere un più alto livello nella scala sociale, di comunicare con persone di diversa estrazione, di rendere alla gente un servizio di assistenza, di essere autonomi nelle ore lavorative.

La vecchia generazione continua a considerare questi valori come dei vantaggi e tuttora aspira ad ottenere una certa autonomia e a esercitare un sempre maggiore potere sui clienti. La concezione sovietica del giornalismo come strumento di potere è tuttora una caratteristica della vecchia generazione. Al contrario i giornalisti cresciuti dopo la dissoluzione del regime danno molta importanza a valori come l’oggettività, l’alta qualità del lavoro e l’onestà verso il pubblico, i colleghi e loro stessi.

Questi nuovi valori sono l’eredità dell’incontro con l’Occidente. Tuttavia, in contrasto con quella che è l’inclinazione europea verso le denunce neutrali, distaccate e disinteressate, i media russi e i loro lavoratori hanno sviluppato una nuova forma di attività giornalistica. L’origine va ricercata nella scuola sovietica del giornalismo, che era dotata anche di ruoli organizzativi e di propaganda che implicavano la partecipazione attiva dei giornalisti nei processi politici e sociali. Insegnava la denuncia creativa, politica e non standardizzata, conosciuta come publicistika. Oggi la publicistika rimane «uno dei più alti livelli della creatività del giornalista, e corrisponde al talento letterario brillante del giornalista e alla sua posizione sociale».

Con il passare del tempo i giornalisti hanno iniziato a essere stimolati dagli eventi drammatici che stavano avvenendo nel loro Paese: il collasso del regime, la lotta per il potere politico ed economico e le guerre in Cecenia. Di conseguenza il pieno coinvolgimento nell’attività giornalistica è diventato sempre più un elemento centrale per i reporter, sulla base dell’attitudine personale alla creatività e alla capacità di prendere decisioni.

Un’altra importante differenza rispetto all’approccio europeo rimane il significato che i media assumono nella società russa. Mentre i giornalisti occidentali si sentono investiti da una grande responsabilità verso il pubblico nell’investigare ciò che il Governo rivendica, molti colleghi russi si sentono obbligati a osservare le regole del gioco dettate dai proprietari dei media. Proprio questo nuovo metodo di fare giornalismo nato nella Russia post-sovietica, a metà strada tra l’esperienza europea e quella socialista, ha permesso l’espandersi della moderna malattia mortale che colpisce un gran numero di reporter: il giornalismo libero e incondizionato della nuova generazione.

Questo brano è tratto dalla tesi:

Giornalismo russo: proibito parlare

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Informazioni tesi

  Autore: Karim Antonietta Marazzina
  Tipo: Tesi di Laurea
  Anno: 2009-10
  Università: Università degli Studi di Milano
  Facoltà: interfacoltà: Lettere e filosofia e Scienze politiche
  Corso: Mediazione linguistica e culturale
  Relatore: Giulia Baselica
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 129

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