Longanesi e il cinema: da ''Dieci minuti di vita'' a ''Vivere ancora''

Bestia nera è, quindi, l'inetto cinema nazionale, incapace di svincolarsi dalla superficialità di chi non ha niente da dire.
Il regista, nella mentalità di Leo Longanesi, doveva sapere riscattare questo mutismo di contenuti, divenendo “il dominatore della materia bruta”, capace di sorprendere e modellare la realtà, senza però perdere il prezioso legame che lega il film ad essa in quanto nello spettacolo cinematografico “l'azione dei personaggi deve essere fusa col luogo in tale maniera da generare un clima di straordinaria verità”. Interessante a questo riguardo è un aneddoto narrato nel 1943 in un'intervista per il settimanale “Film” dallo stesso Longanesi sulla prima volta che si accostò al cinema, seguendo con una macchina da 16mm un tale con le scarpe troppo strette. Inutile dire che l'uomo, infastidito da questa insolita e stravagante attenzione, finì per togliersi le scarpe: “fu un'esperienza preziosa.
Ho sempre pensato che mi piacerebbe seguire qualcuno per documentarne i gesti inutili, le soste davanti alle vetrine, le dita nel naso e i tram che prende.[…] L'esperienza mi ha dimostrato che i film di grande successo non sono quelli che seguono una corrente ma quelli che ne creano una nuova.
Ogni film dovrebbe guardare in modo originale la realtà. Perché un quadro acquisti un altro valore basta spostare la cornice delle abitudini”.
Longanesi era consapevole dell'arretratezza del cinema nostrano, che poteva riscattarsi soltanto abbandonando artifici scenografici e tentazioni retoriche e teatrali; pensò addirittura di lasciare l'Italia per gli Stati Uniti, per “conoscere la tecnica dei film”: ne è testimonianza una lettera datata 18 gennaio 1933 e indirizzata a Camillo Pellizzi, in cui confida all'amico le sue intenzioni. Tuttavia non lascerà l'Italia perché proprio alla fine di quell'anno riuscì a strappare a Mussolini il consenso per “studiare” un grande settimanale popolare, “Omnibus”.