L'oggettivazione sessuale del corpo femminile: influenza dei social media e conseguenze sul benessere psicologico
L’oggettivazione sessuale
L’oggettivazione è una forma di deumanizzazione, poiché nega la soggettività dell’individuo e lo riduce a un oggetto, a un mero strumento. Si parla di oggettivazione sessuale quando una persona è considerata soltanto dal punto di vista del suo corpo, del suo aspetto fisico e non nella sua totalità. Il corpo della persona si separa dalla persona stessa e diventa un mero strumento di piacere e di desiderio altrui (Fredrickson & Roberts, 1997).
Uno dei primi autori a parlare di oggettivazione sessuale fu il filosofo tedesco Immanuel Kant (1785). Egli afferma che un individuo è oggettivato quando viene considerato solo come «oggetto dell’appetito» di un’altra persona, cioè solo per scopi sessuali. L’individuo perde il suo valore assoluto e acquisisce un mero valore strumentale. Kant (1785) paragona l’individuo oggettivato a un limone, spremuto e poi buttato e ad una bistecca, mangiata solo per soddisfare l’appetito di un altro soggetto. Egli ravvisa nel matrimonio monogamo una possibile soluzione all’oggettivazione, in quanto in esso entrambi i coniugi godrebbero della possibilità di essere posseduti reciprocamente (Kant, 1785).
Alcune autrici successive a Kant si sono ispirate al suo pensiero, tra queste troviamo le femministe Andrea Dworkin (1981) e Catharine MacKinnon (1987). Le studiose considerano la disuguaglianza di genere significativamente connessa all’oggettivazione sessuale e sostengono che il consumo di materiale pornografico alimenti questa situazione. Le autrici si scagliano contro la pornografia in quanto fortifica l’oggettivazione delle donne, rappresentandole come oggetti sessuali e subordinandole agli uomini. In particolare, secondo Dworkin (1981) la pornografia rappresenta il piacere maschile come derivante dal possesso e dall’utilizzo delle donne e riduce quest’ultime a oggetti pronti al consumo. Essa è una pratica che umilia le donne e tanto più esse sperimentano umiliazione e violenza, tanto più si accresce l’eccitazione maschile. Questa rappresentazione del piacere maschile e femminile è distorta e finisce per perpetuare le disuguaglianze di genere, legittimando l’umiliazione delle donne, mortificando e degradando la loro dignità. Le studiose ritengono pessimisticamente che l’oggettivazione sia inevitabilmente presente in ogni relazione sessuale tra uomini e donne. Il matrimonio, secondo Dworkin e MacKinnon, è l’ennesimo contesto in cui le donne vengono oggettivate. Evangelia Papadaki (2007) afferma che le due studiose descrivono le donne come impotenti, vittimizzate, non responsabili della loro oggettivazione, incapaci di combattere l’oggettivazione. Nel valutare le donne come soggetti responsabili e nel riporre in loro la capacità e la volontà di rispettare la propria umanità, Kant, a differenza di MacKinnon e Dworkin, dà loro la possibilità di scegliere, di evitare e combattere l’oggettivazione.
Un’altra concettualizzazione molto importante dell’oggettivazione sessuale è stata proposta dalla filosofa femminista Sandra Bartky (1990), secondo la quale l’oggettivazione si verifica quando le funzioni sessuali del corpo sono separate dalla persona in sé. La persona viene così rappresentata sulla base delle sue parti sessuali e non nella sua totalità di essere umano. Secondo Bartky (1990) le donne all’interno della società patriarcale sono state avvicinate in virtù della loro utilità strumentale, anziché per le loro qualità umane.
L’autrice opera una distinzione tra l’oggettivazione come processo e l’oggettivazione come esito: la prima indica la separazione di parti o funzioni sessuali di una persona dal suo corpo; la seconda invece rimanda alla riduzione della persona a uno strumento.
Rimanendo in ambito filosofico, troviamo Martha Nussbaum (1995) secondo la quale l’oggettivazione non va considerata solamente in termini di strumentalizzazione.
L’oggettivazione infatti, riguarda ben sette dimensioni:
• La strumentalità: la persona diventa un oggetto per scopi altrui;
• La negazione dell’autonomia: la persona è considerata priva di autonomia e autodeterminazione;
• L’inerzia: la persona viene percepita come incapace di agire;
• La fungibilità: la persona è intercambiabile con altri oggetti;
• La violabilità: la persona è priva di confini che ne determinano l’integrità;
• La proprietà: la persona è vista come proprietà di un altro;
• La negazione della soggettività: l’esperienza e i sentimenti della persona non vengono presi in considerazione.
Secondo la filosofa si parla di oggettivazione quando le persone sono considerate e trattate come oggetti. Le sette dimensioni individuate non sono presenti tutte insieme allo stesso tempo nell’oggettivazione. Gli schiavi, ad esempio, sono considerati alla stregua di oggetti, venduti e scambiati come merci e possono essere considerati privi di soggettività, di autonomia, ma non di inerzia, dal momento che il loro lavoro arricchisce altre persone.
Nussbaum (1995) ritiene inoltre che tra le sette dimensioni individuate, quella più pericolosa è la strumentalità, poiché la persona cessa di essere un fine per sé, diventando un mezzo, uno strumento per raggiungere scopi altrui. Secondo la filosofa, la strumentalizzazione di per sé non rappresenta necessariamente la volontà di negare l’autonomia e la dignità altrui. Una persona può essere considerata come un oggetto in una o più modalità che la Nussbaum ha individuato, senza che questo comporti la negazione della sua umanità. L’autrice ritiene che nella vita sessuale, ad esempio, l’oggettivazione possa essere innocua. Nussbaum riconosce tuttavia che l’oggettivazione spesso assume connotati negativi, e può diventare pericolosa se utilizzata come modalità cronica e persistente di considerare e trattare l’altro.
La filosofa Evangelia Papadaki (2012) ritiene che ad essere problematica sia ogni dimensione dell’oggettivazione e critica Nussbaum quando considera la strumentalità come la dimensione più pericolosa dell’oggettivazione. Tutte le sette caratteristiche individuate dalla Nussbaum, se estreme, sono problematiche e negano l’umanità e la dignità delle persone. Considerare o trattare le persone soltanto come mezzi utili a scopi a loro estranei è problematico quanto lo è negare l’autonomia e la soggettività delle persone, così come è problematico trattarle come fungibili, violabili, inerti e di proprietà di terzi (Papadaki, 2012). Secondo la filosofa quindi, individuare la strumentalità come la dimensione più problematica potrebbe indurre a sottovalutare la pericolosità insita nelle altre dimensioni dell’oggettivazione.
Papadaki (2012) inoltre afferma che l’oggettivazione possiede anche una componente non intenzionale. Pertanto si può negare l’umanità in due modi: intenzionale - quando la persona è consapevole di negare l’umanità dell’altro e attua comportamenti finalizzati a questo scopo. Non intenzionale quando chi oggettiva non ha l’intenzione di farlo, ma di fatto lo fa. Il contributo di Papadaki è interessante poiché mostra che la dimensione non intenzionale dell’oggettivazione rischia di essere più pericolosa di quella intenzionale, in quanto chi oggettiva non è consapevole di farlo e dunque legittima e normalizza questo comportamento.
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L'oggettivazione sessuale del corpo femminile: influenza dei social media e conseguenze sul benessere psicologico
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Informazioni tesi
Autore: | Letizia Ciri |
Tipo: | Laurea I ciclo (triennale) |
Anno: | 2022-23 |
Università: | Università degli Studi di Perugia |
Facoltà: | Psicologia |
Corso: | Psicologia |
Relatore: | Maria Giuseppina Pacilli |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 65 |
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