Il minore autore di reato nel contesto normativo e operativo della giustizia minorile
L’Istituto Penale per i Minorenni
Gli Istituti Penali per i Minorenni danno esecuzione alle misure privative della libertà personale, accogliendo i minori in custodia cautelare, in attesa di giudizio e condannati e gli ultradiciottenni, fino al ventunesimo anno di età, ai sensi dell’art. 24 del DL 272/89. È inoltre, in questi istituti, prevista l’attivazione di un’apposita sezione per l’esecuzione della misura alternativa alla detenzione della semilibertà e della sanzione sostitutiva alla semidetenzione.
Il carcere in questo campo ha subito una serie di modifiche. Inizialmente per attuare la restrizione della libertà personale dei minori erano state istituite diverse strutture. Ma con l’introduzione del nuovo codice, parecchi apparati scompaiono per lasciare il posto all’Istituto Penale Minorile (IPM).
Il carcere è sempre stato lo strumento centrale del sistema penale, anche per i minori, pur se lo si è visto sempre come un moltiplicatore di devianza, di aggressività e di violenza. Però per queste sue negatività non bisogna escludere la sanzione, perché costituisce una risposta, una funzione essenziale nello sviluppo individuale all’interno di un processo educativo. Comunque sia, si è visto, nel nostro diritto, l’affermazione di una politica di decarcerazione, sia con la Legge di Riforma Penitenziaria che costituì la prima apertura del carcere alla comunità esterna, con anche l’introduzione di misure alternativa alla detenzione, e sia successivamente con il DPR n. 616 del 1977, con cui venne avviato un processo di decentramento trasformando l’organizzazione delle misure amministrative, la cui competenza fu trasferita dal Ministero di Grazie Giustizia ai Comuni.
La politica di decarcerazione fu ambigua e di difficile decodificazione, e portò a sostenere l’assoluta chiusura di tutte le diverse istituzioni, per l’attuazione di un progetto di recupero sociale. Fino, dunque, ad arrivare al nuovo codice di procedura penale che introduce il principio della residualità della detenzione per i minorenni, operando una decontrazione del carcere nel sistema penale minorile. La riforma del procedimento penale minorile favorì ulteriormente la tendenza alla diminuzione delle carceri, sia nel settore della custodia cautelare, sia in relazione al carcere come pena.
Nella custodia cautelare, le nuove misure cautelari delle prescrizioni (art. 20), della permanenza in casa (art. 21), del collocamento in comunità (art. 22), nonché la nuova disciplina dell'arresto in flagranza (art. 16) e del fermo di indiziato (art. 17), sembrano configurare un’ulteriore diminuzione dell'uso di misure privative della libertà per ragioni processuali. Nel carcere come pena, con la disciplina prevista dall’art. 30 in tema di pene sostitutive, nonché l’istituto della messa alla prova, vengono considerati come strumenti atti a ridurre il numero dei minori in carcere per l’esecuzione della pena. Dunque, il legislatore del 1988, attua un progressivo superamento dell’istituzione carcere e di ogni altra risposta custodialistica alla devianza giovanile. In effetti, a partire dal 1989, si registrò una netta diminuzione all’interno delle carceri. Però a complicare la situazione ci fu la controriforma attuata con il D.Lgs. del 14 gennaio 1991 n.12. Questo decreto, contenente le "Disposizioni integrative e correttive della disciplina processuale penale e delle norme ad essa collegate", ha apportato una serie di modifiche sia al D.P.R. 448/88 che alle disposizioni di attuazione (D.P.R. 272/89) portando un ampliamento della categoria dei delitti che consentono l'applicazione della misura della custodia cautelare. Dall'inizio del 1991, dunque, gli ingressi negli istituti penitenziari iniziarono nuovamente a crescere, con un’intensità che si è mantenuta costante fino al 1998.
Il carcere è un’istituzione totale, fondata su una regolamentazione dei comportamenti, che obbliga tutti a fare le stesse cose nel medesimo luogo, sotto la sorveglianza di specifiche figure. E un’istituzione di questo tipo ha un maggior impatto e influenza su un individuo che è in una fase di trasformazione e di crescita, su un adolescente che sta vivendo il passaggio dal mondo infantile a quello adulto, che segna il momento delle grandi certezze e delle grandi confusioni. Nel momento in cui a questa fase di trasformazione si aggiunge l’impatto con una struttura definita si arriva ad una situazione critica. Però se la punizione del carcere trova la sua connotazione educativa nella capacità di generare un miglioramento nella condotta, la sua utilità si misura nella capacità di attivare processi di cambiamento. Dunque, gli IPM sono concepiti in modo da fornire risposte adeguate sia alla particolarità della giovane utenza e sia alle esigenze connesse all’esecuzione di provvedimenti dell’Autorità Giudiziaria.
In relazione al suo modello organizzativo, è importante sottolineare la circolare sull’organizzazione e gestione tecnica degli IPM n.60080 del 1995, che rappresenta una guida di riferimento che consenta da una parte di razionalizzare ed omogeneizzare sul territorio modalità operative già in uso, dall’altra di riconoscere la necessità di differenziazione sulla base di un cambiamento nella visione della delinquenza minorile.
Questo brano è tratto dalla tesi:
Il minore autore di reato nel contesto normativo e operativo della giustizia minorile
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Informazioni tesi
Autore: | Carmela Puleo |
Tipo: | Laurea I ciclo (triennale) |
Anno: | 2011-12 |
Università: | Università degli Studi della Calabria |
Facoltà: | Scienze Politiche |
Corso: | Scienze del servizio sociale |
Relatore: | Patrizia Surace |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 92 |
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