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Colore e decoro nel progetto di restauro urbano post-sismico: il caso di Assisi

L’evoluzione urbanistica di Assisi dall’Unità d'Italia al periodo fascista

L’inserimento nel Regno d’Italia peggiora l’economia assisiate: l’attività agricola è la predominante, il piccolo artigianato è strettamente legato all’agricoltura; soprattutto nelle campagne la popolazione è sottoalimentata, vive in case cadenti e in condizioni igienico-sanitarie primitive; nella città vive e domina la nobiltà agricola in decadenza, la borghesia poco attiva ed il clero reazionario.
Il 29 settembre 1860 le milizie piemontesi entrano in Assisi senza trovare resistenza e si vota il plebiscito per l’annessione al Regno d’Italia. Subito vengono soppresse le corporazioni religiose che secondo il commissario Pepoli non rispondono più alla loro funzione di assistenza: i beni delle opere pie (ospedale degli infermi, eredità Cioli, orfanotrofio femminile, asilo infantile, monte di pietà, eredità Morracci, legati pii Noti e Rosmi, opera pia Pennelli, opera pia Politi, opera pia Sperelli, seminario dei Chierici, opera pia Congregazione Spirito Santo, opera pia Brunozzi) e degli ordini religiosi vengono requisiti e amministrati da una congregazione di carità che deve affrontare i problemi connessi alla gestione dei patrimoni, alla salvaguardia delle funzioni assistenziali e caritative, al riutilizzo delle sedi e alla conservazione dei reperti artistici.
Anche le istituzioni di maggiore utilità create dai religiosi vengono soppresse, come il convitto per l’istruzione tecnica agraria dei Benedettini. Sorte migliore hanno quelle strutture religiose che diventano sedi di enti formativi: nel Convento di Sant’Antonio si istituisce un ginnasio e in quello di San Nicolò una scuola. Solo il Convento di San Francesco riceve un trattamento particolare: si può continuare a farvi vita religiosa finché i conventuali non scendono sotto il numero minimo di tre unità. Questo trattamento particolare termina nel 1867, quando i religiosi sono cacciati dalla basilica e dal convento: solo otto frati restano come personale di servizio e di custodia. Dopo una serie di ricorsi e vicende che vedono il Comune di Assisi amministrare il convento (sede della Biblioteca Comunale e del Convitto Principe di Napoli), si giunge nel 1896 ad una transazione fra Stato Italiano e Santa Sede: il convento e la basilica tornano di proprietà del Santo Pontefice e sono amministrati dai Padri Conventuali, ma continuano ad ospitare il Convitto fino alla costruzione di una nuova sede. Nel 1927 il collegio viene trasferito a Piazza Nuova nella “enorme massa di pietra, ad archi e bifore, parodia gigantesca delle modeste, graziose ed autentiche case medievali demolite per far posto al mostruoso casermone” (Astengo). E nel concordato del 1929 si stabilisce definitivamente che la Basilica di San Francesco è di proprietà della Santa Sede che provvede autonomamente all’amministrazione.
Nonostante la soppressione degli enti religiosi e proprio per rispondere ai vuoti sociali creati da queste soppressioni, subito dopo l’Unità d’Italia la vocazione religiosa ed assistenziale di Assisi si proietta nella nascita di istituzioni a carattere nazionale: l’orfanotrofio femminile Ancajani, la casa di lavoro per fanciulle povere, l’Istituto Casoria per Ciechi e Sordomuti, le case per religiosi, l’asilo invernale per gli anziani, l’ospizio per gli anziani frati, l’ospedale civico. La costruzione delle sedi per i nuovi enti assistenziali o l’adattamento di vecchi edifici a tale scopo comportano una distruzione delle architetture originarie della città. Lo scempio iniziato sul finire dell’Ottocento continua nel primo Novecento e coinvolge sia le vie del centro che i punti di accesso alla città, sconvolgendone totalmente il panorama: è il caso del Convento delle Monache Tedesche in via Santa Croce, del Collegio Missionario di via San Francesco, del Convento delle Monache Francesi in Borgo San Pietro, del Convitto Nazionale, di Palazzo Spagnoli, del Palazzo delle Poste, del Seminario Regionale, dell’Istituto Serafico per Ciechi e Sordomuti.
All’atto dell’unificazione nazionale Assisi, pur se poverissima e desolata, conserva ancora intatto per il visitatore il fascino medievale con le sue stradine scoscese selciate e mattonate, le gradonate di pietra e mattoni, le piazze e gli slarghi ricoperti di prato, gli spazi medievali con inclusioni barocche, il paesaggio pacifico e tranquillo.
Il crescente interesse per il medioevo, dalla prima metà dell’Ottocento fa aumentare il peso turistico di Assisi, che diventa meta obbligata, oltre che per i pellegrini, anche per gli uomini di cultura che fanno da cassa di risonanza nel mondo. Assisi e l’Umbria assumono lo stereotipo di terra verde e santa che poi verrà largamente usato nel periodo fascista.
L’incremento del turismo è facilitato dalla costruzione della linea ferroviaria e della stazione di Assisi - Santa Maria degli Angeli, ma la linea Foligno-Terontola, allora come ora, era mal collegata con il resto della linea nazionale, quindi non si ha il vero boom sperato. Inoltre, nonostante l’aumento del turismo risvegli anche l’artigianato tipico del rame, del ferro battuto, della ceramica e del ricamo punto Assisi, i turisti non danno mai abbastanza attenzione ai prodotti artigianali, rimanendo sempre turisti del sacro.
L’aumento dei flussi turistici impone l’esigenza di creare strutture ricettive, che finiscono per modificare ed alterare sostanzialmente l’assetto urbanistico della città.
Il primo vero imprenditore turistico è Andrea Rossi che nel 1868 trasforma l’antica filanda di famiglia nell’Hotel Subasio che con la sua mole massiccia modifica il paesaggio urbano nella zona della Basilica di San Francesco. Il nuovo grande albergo favorisce il turismo, tanto da rendere necessaria l’istituzione di un servizio telegrafico e dell’omnibus di collegamento fra stazione e centro.
In una spirale continua turismo-imprenditoria-turismo si moltiplicano gli alberghi: sorgono l’Albergo Porziuncola e Villa Cherubino, si rinnova l’Albergo Minerva in centro, si costruisce l’Albergo Giotto con la sua “massa sgarbata ed urtante di un edificio banale, che nonostante tutte le prove di colore fatte […] per renderlo meno appariscente non riuscirà mai a legarsi con l’ambiente” (Astengo), si costruisce abusivamente il brutto parallelepipedo dell’Albergo Windsor Savoia che, insieme al Giotto e al Subasio, soffoca la Basilica.
L’aumento del flusso turistico impone una ristrutturazione viaria per rendere più agevole il raggiungimento dei vari punti della città in carrozza: nel 1881 si sventra uno dei quartieri cittadini per aprire via San Gabriele dell’Addolorata e collegare Piazza del Comune e Piazza Nuova. Con questa opera la Piazza del Comune perde la sua scenografia orientale e si sconvolge lo schema a X, declassando la salita di San Rufino a via secondaria. Anche il lato occidentale di Piazza del Comune viene deturpato: nel 1924-25 l’ex Chiesa di San Nicolò, occupata dalla caserma dei Carabinieri, viene abbattuta per costruire il neogotico-neorinascimentale Palazzo delle Poste che con i suoi volumi occupa gran parte dello spazio pubblico precedente, alterando gli equilibri proporzionali e visuali. Il risultato è un “posticcio stilistico” e una perdita complessiva della fisionomia originaria della piazza: i fronti longitudinali conservano l’assetto primitivo, mentre i lati corti sono stravolti e creano un notevole disequilibrio spaziale.

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Colore e decoro nel progetto di restauro urbano post-sismico: il caso di Assisi

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Informazioni tesi

  Autore: Samanta Patasce
  Tipo: Tesi di Laurea Magistrale
  Anno: 2009-10
  Università: Università degli Studi di Firenze
  Facoltà: Architettura
  Corso: Architettura
  Relatore: Giuseppe Alberto Centauro
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 346

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