Le Politiche di Sicurezza Urbana e la sfida della prevenzione: uno studio comparato
L’evoluzione delle politiche di controllo: dal «Welfare Penale» alla «Tolleranza Zero»
I nuovi provvedimenti che si stanno diffondendo sempre più in molti Paesi occidentali sono ispirati al principio «Tough on crime» ("duri con il crimine") che sostanzialmente mira ad esprimere un sentimento comune: la disapprovazione per alcuni tipi di comportamento che destabilizzano l’ordine sociale e che necessitano di una punizione esemplare. Queste strategie assumono però un’ulteriore accezione, un valore strumentale che fa riferimento alla sicurezza pubblica e alla gestione del rischio; quindi, oltre ad esprimere un sentimento condiviso attraverso i simboli della condanna e della sofferenza, esse rappresentano anche uno strumento della classe politica per ottenere consenso.
Tuttavia la preoccupazione che muove le scelte politiche attuali non privilegia né l’aspetto prettamente espressivo né quello puramente strumentale; infatti, il nuovo «ideale penale» considera importante sia proteggere i cittadini sia dare espressione ai loro sentimenti, per questo non dovrebbe stupire che la le politiche c.d. del «carcere duro» e dei rigidi controlli nei confronti degli ex detenuti siano le strategie penali prescelte.
Come evidenziato da Garland, dal momento che questi provvedimenti privilegiano le emozioni dell'opinione pubblica piuttosto che le interpretazioni degli esperti, che in passato hanno avuto un ruolo cruciale nei processi decisionali, i nuovi protagonisti «naturali» di questi interventi diventano i partiti politici.
Queste iniziative, infatti, non di rado vengono annunciate nel corso di eventi politici (convention dei partiti, interviste televisive, ecc.) in cui i vari candidati cercano consenso mostrando alcune statistiche sull’andamento della criminalità od utilizzando slogan ad effetto come: Prison works, Three strikes and you're out, Truth in sentencing, Tough on crime, Tough on the causes of crime, ecc.
In questo contesto assumono particolare rilievo le vittime di reato, le cui testimonianze vengono sempre più citate dai politici che non esitano a rielaborarle pur di adattarle al proprio messaggio politico; capita sempre più spesso infatti che nei loro discorsi si invochino i sentimenti delle vittime per sostenere e legittimare l’introduzione di nuove misure punitive.
Così, mentre un tempo le vittime ricoprivano un ruolo marginale all’interno della vicenda penale, appunto perché considerate come dei soggetti «accidentalmente coinvolti» nella trama del reato, oggi rivestono un ruolo di primo piano, non solo nelle diverse fasi del processo, ma sopratutto nei discorsi dei politici e dei media, che le sfruttano continuamente a proprio vantaggio.
Anche la diffusione di trasmissioni televisive che giocano sull’audience presentando le vittime al pubblico ed invitandole ad esprimere tutta la loro sofferenza di fronte alle telecamere contribuisce ad alimentare nell’immaginario collettivo l’idea della necessità di un intervento duro e repressivo per evitare il dilagare della criminalità.
L'immagine della vittima sofferente perciò sembra essere diventata una delle risorse principali nei circuiti dello scambio politico e mediatico, al punto da trasformare la vittima in una vera e propria «celebrità televisiva» o, peggio ancora, in un «testimonial» di campagne che annunciano qualche nuova legge che prevede l’attivazione di alcune misure repressive come ad esempio l’introduzione di pene minime obbligatorie.
Il nuovo imperativo politico sembra voler imporre la protezione, l’ascolto, il ricordo delle vittime, l’espressione della loro rabbia e la comprensione delle loro paure. Bisogna però fare attenzione allo scopo utilitaristico che sta dietro questo nuovo modo di pensare le politiche penali: queste infatti generalmente mirano perlopiù ad ottenere notevole consenso da parte degli elettori.
Per contro, questa sorta di «processo di beatificazione» delle vittime tende ad annullare ogni interesse nei confronti dei rei, poiché si reputa che ogni forma di attenzione per questi ultimi, dal semplice richiamo ai loro diritti fondamentali, all'umanizzazione della pena, possa essere interpretata come un insulto alla vittima e ai suoi familiari.
A tal proposito è opportuno sottolineare che questo spostamento dell’attenzione nell’unica direzione della vittima oltre che favorire l’attuazione di politiche punitive alimenta il rischio di annullamento del principio della rieducazione della pena, introdotto da Beccaria alla fine del ‘700 e ribadito dalle diverse Costituzioni democratiche, nonché dalle differenti dottrine giuridiche costituzionalmente orientate e da alcuni trattati internazionali sui diritti dell’uomo.
Da quanto detto finora, emerge perciò che la figura simbolica della vittima acquisisce oggi una vita propria, al punto da giocare un ruolo chiave nel dibattito politico. La vittima non è più rappresentata semplicemente come un cittadino sfortunato che ha subìto un danno in seguito ad un reato, ma è divenuta un personaggio rappresentativo: l’involontaria protagonista di una storia da raccontare, che rende la sua esperienza non più individuale e atipica ma comune e collettiva. La sua sofferenza, tradotta nel linguaggio immediato e personalizzato dei media, si rivolge direttamente alla paura e alla rabbia del pubblico, facendo scattare meccanismi di identificazione, poi sfruttati per scopi politici o addirittura commerciali. A questo proposito è importante notare come anche la giustizia, al pari di altri beni pubblici, in linea con la cultura individualista tipica della nostra società sia divenuta una vera e propria «merce di scambio»; negli ultimi anni infatti si è sviluppata una notevole «mercificazione del controllo» soprattutto a causa del massiccio investimento di buona parte della popolazione sulla sicurezza privata. Ciò è accaduto perché agli occhi dell’opinione pubblica lo Stato Sovrano, pur potendo ricorrere allo «strumento» della pena, è divenuto incapace di garantire la sicurezza. Le fasce della popolazione più benestanti reputano ormai naturale proteggere sé stessi ed i propri beni dimostrando di essere sempre più disponibili a spendere denaro per garantire la propria sicurezza personale.
Questo brano è tratto dalla tesi:
Le Politiche di Sicurezza Urbana e la sfida della prevenzione: uno studio comparato
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Informazioni tesi
Autore: | Davide Tiozzo |
Tipo: | Tesi di Laurea Magistrale |
Anno: | 2010-11 |
Università: | Università degli Studi di Bologna |
Facoltà: | Scienze Politiche |
Corso: | Criminologia Applicata per l’investigazione e la Sicurezza |
Relatore: | Andrea Antonilli |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 209 |
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