Comunicazione verbale ed emozioni: la categoria della collera
L’emozione della collera in diverse culture
La collera è l’emozione di difesa e di attacco a fronte di qualsiasi evento che impedisca di raggiungere o di mantenere una condizione desiderata (Anolli, 2002). Considerata come fondamentale da tutte le teorie è inclusa con il nome classico di “ira” fra i sette peccati capitali.
Uno dei primi significati di collera fa generalmente riferimento alla rabbia intesa come una malattia infettiva che colpisce gli animali a sangue caldo, e che può essere trasmessa anche all’uomo, caratterizzata da sintomi quali spasmi, tremori, delirio e infine coma e morte.
Da questo deriva la sua estensione terminologica che va ad indicare tutta quella gamma di sentimenti umani che si provano di fronte a frustrazioni, delusioni o impedimenti e che possono portare anche ad azioni e parole incontrollate e scomposte. Il fatto che il suo significato derivi da una malattia, conferisce a questa emozione un’origine animale e patologica, quasi fosse una forza incontrollabile e indipendente dalla volontà di chi la prova.
Infatti, si dice spesso “ ero fuori di me”, “ non ero più io”, proprio perché l’ira viene vissuta come una passione che fa subire il senso di essere invasi, in preda ad una forza superiore alla propria volontà. Questo suo aspetto è ben presente nella teoria ingenua sulla collera e domina sia nella morale del senso comune sia nella legislazione scritta. Infatti in molti dei codici penali, fra cui quello italiano, vi sono significative attenuanti per reati compiuti in preda all’ira.
In riferimento all’omicidio è interessante la tradizione a cui fanno capo le leggi greche e romane che tenevano conto di un elemento morale e mentalistico in base al quale alcune uccisioni erano più riprovevoli di altre. Oatley (1997) afferma che la legge americana, in base alla tradizione mentalistica, distingue tra l’assassinio (il tipo di uccisione più grave che comporta le pene più severe) e l’omicidio preterintenzionale, cioè l’uccisione per la quale non c’è stata premeditazione, e comprende l’uccidere quando si è in preda all’ira: la collera considerata come una passione involontaria è un’attenuante dell’omicidio.
D’urso e Trentin (1998) definiscono la collera come un’emozione centrale e prototipica caratterizzata da una chiara origine funzionale, da antecedenti situazionali caratteristici, da manifestazioni espressive e modificazioni fisiologiche costanti e da tendenze all’azione prevedibili. Essa ha una tipica espressione facciale (Ekman e Oster, 1979), le cui caratteristiche principali sono: l’aggrottare violento delle sopracciglia e lo scoprire o digrignare i denti, oppure lo stringere fortemente le labbra. Il resto del corpo può tendere fin quasi all’immobilità o accentuare al contrario l’attività motoria.
Le sensazioni fisiologiche più comuni sono: calore, aumento della tensione muscolare e della sudorazione, accelerazione del battito cardiaco, aumento della pressione arteriosa e irrequietezza estrema. La voce spesso si alza di volume e di intensità e il tono diviene minaccioso o stridulo o sibilante. La collera è uno stato emotivo che provoca perciò una forte attivazione dell’organismo generando un propellente energetico tale da produrre diverse reazioni, siano queste azioni fisiche vere e proprie, o come accade più frequentemente, solo espressioni verbali.
Insieme alla gioia e al dolore sembra essere una delle emozioni fra le più precoci: Stenberg e Campos (1990) pensano di aver individuato delle chiare manifestazioni di collera già in bambini di appena 4-7 mesi. Inoltre si tratta di un’emozione abbastanza frequente. Nella ricerca compiuta da Averill (1982) sette persone su otto hanno affermato di aver vissuto un episodio di collera almeno una o due volte nella settimana precedente, e diverse persone molto più spesso.
Analizzando poi emozioni meno intense, come l’irritazione, si è invece raggiunta l’unanimità: tutti hanno dichiarato di aver provato questo sentimento almeno una volta a settimana, e la grande maggioranza almeno una volta al giorno. La collera, nella nostra cultura, sembra essere l’emozione che più di ogni altra si cerca di controllare: fin da bambini uno dei tratti salienti dell’educazione infantile riguarda proprio la repressione della collera manifesta.
Le differenze individuali che così si producono nell’espressione di questa emozione sono il risultato di una transizione fra le caratteristiche del bambino (ad esempio, il suo temperamento), l’azione educativa degli adulti e le norme culturali vigenti (D’Urso e Trentin, 1998). Nonostante ciò, nella cultura occidentale è molto radicata la convinzione che controllare o soffocare la collera faccia male alla salute, o comunque che sfogare la propria ira permetta di liberarsene, quasi fosse una specie di catarsi.
Questa teoria ingenua, che D’urso e Trentin chiamano “ teoria della pentola a pressione”, può aver avuto origine dalla banalizzazione di alcune idee freudiane, in particolare quelle legate al concetto che le pulsioni represse o rimosse possono provocare sintomi nevrotici. In realtà numerosi studi empirici hanno dimostrato che le persone che esprimono immediatamente e più energeticamente la propria collera tendono a viverla per un tempo più lungo; inoltre sembra che le persone più ostili e aggressive siano più soggette a disturbi alle coronarie (Ricci Bitti et al., 1995).
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Comunicazione verbale ed emozioni: la categoria della collera
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Informazioni tesi
Autore: | Roberta Leva |
Tipo: | Laurea I ciclo (triennale) |
Anno: | 2008-09 |
Università: | Università degli Studi di Milano - Bicocca |
Facoltà: | Scienze della Comunicazione Interculturale |
Corso: | Scienze dell'educazione e della formazione |
Relatore: | Valentino Zurloni |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 64 |
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