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Il corpo vissuto dell'amputato d'arto inferiore. Indagine sui bisogni a lungo termine

L’elemento terminale dell’arto leso e la riorganizzazione corticale

Nell'ottica riabilitativa si propone di rinominare il moncone come “elemento terminale dell’arto leso”, sottolineando il ruolo importante che verrà a occupare come nuova interfaccia (attraverso la protesi) con il terreno. Questa nuova definizione non entra in contrasto con la riabilitazione tradizionale dell’amputato di cui si ribadisce l’importanza per garantire al paziente un elemento terminale forte, privo di contratture e funzionale.
Molte volte, gli amputati soffrono di certi disturbi che destano complicanze, sono difficili da comprendere e da curare:
- Arto fantasma doloroso;
- Arto fantasma non doloroso;
- Elemento terminale doloroso
.

I primi due sono simili e sono costituiti dalla percezione della persistenza dell’arto amputato pur essendo consapevoli dell’amputazione. La prima documentazione riguardo a questo strano fenomeno risale a più di quattro secoli fa. Ambroise Parè nel 1551 descrisse un paziente che molti mesi dopo l’intervento sentiva il suo arto ancora integro. Un curioso dato è stato ritrovato nel libro Moby Dick (1851) di Hermann Melville, in cui il capitano Ahab sentiva il suo arto amputato. La prima descrizione dettagliata e più scientifica di questo fenomeno è stata fatta da Weir Mitchell nel 1872 che lo definiva con il termine “allucinazioni sensoriali”. Ciononostante, l’arto fantasma, appunto per la sua stranezza, fu accettato dalla comunità medica solo nel 1941 dopo la pubblicazione dei lavori di Bailey e Moersch. Essi affermano che è difficile trattarlo con la chirurgia. Inoltre, Riddoch dimostra di poterlo alleviare attraverso la cordotomia anterolaterale, concordando, però, sul fatto che non ci sarà più la possibilità di ridurlo “quando il dolore si stampa in modo indelebile nella corteccia cerebrale”. Quest’ultima dichiarazione è veramente interessante, perché si sostiene il ruolo cruciale del cervello nella generazione di queste sensazioni.
Studi molto più recenti sul dolore lo dividono in due tipologie: il dolore normale, utile, infiammatorio e il dolore difficile, strano che sembra afinalistico. Nella seconda categoria rientra sicuramente il dolore dell’arto fantasma. Melzack ha formulato la teoria della “neuromatrix” del sé corporeo basandosi sulle seguenti considerazioni:
- L’arto fantasma è percepito troppo realmente e quindi è probabile che i meccanismi implicati condividano, almeno in parte, gli stessi substrati neurali che ci permettono di percepire il corpo normalmente;
- La qualità delle esperienze, tra cui il dolore, sono modulati da processi cerebrali a partire dalle informazioni corporee, ma in certe condizioni patologiche si attivano in assenza di qualsiasi input.

È importante sottolineare che il substrato organico della neuromatrix non è circoscritto a una popolazione precisa di neuroni, piuttosto risulta costituito da “continue riconfigurazioni sostenute da un’ampia rete distribuita di neuroni” a cui contribuiscono sottosistemi sensoriali, limbici e talamo-corticali.
Numerosi studi dimostrano un’ampia disorganizzazione delle aree corticali sensori-motorie nei pazienti che hanno subito un’amputazione. La maggior parte degli studi si è occupata dell’amputazione degli arti superiori, però i processi che spiegano l’arto fantasma dovrebbero essere simili. Elementi di neuroanatomia, neurofisiologia e la clinica suggeriscono che l’amputazione è associata a cambiamenti neuroplastici nelle cortecce sensoriali e motorie. Questo cambiamento assume la forma di un cambiamento di rappresentazione corticale dalle zone delle mappe somato-sensoriali e motorie per la rappresentazione corticale dopo la deafferentazione. Le manifestazioni cliniche di questo cambiamento sono le sensazioni dell’arto fantasma e dolore da arto fantasma (PLP). In altre parole, l’attività motoria corticale non è più inibita dalle afferenze sensoriali (visive oppure somatostesiche) che hanno verificato che il movimento richiesto si è effettivamente verificato. L’evidenza clinica che la deafferentazione corticale gioca un ruolo nella generazione di dolore fantasma deriva dalle osservazioni che il dolore fantasma può essere alleviato dall’immaginare movimenti di stretching della mano, oppure utilizzando uno specchio in posizione strategica per dare l’illusione che la mano mancante sia tornata e possa essere intenzionalmente spostata.

Questo brano è tratto dalla tesi:

Il corpo vissuto dell'amputato d'arto inferiore. Indagine sui bisogni a lungo termine

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Informazioni tesi

  Autore: Daniela Petrachi
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2010-11
  Università: Università degli Studi di Padova
  Facoltà: Medicina e Chirurgia
  Corso: Fisioterapia
  Relatore: Luigia Sangiani
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 53

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Parole chiave

arto inferiore
schema corporeo
amputato
immagine motoria

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