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Servizi degli ecosistemi. Analisi e valutazione nelle Alpi lombarde

L’economia ecologica

Le economie classica e neoclassica si sono concentrate prevalentemente sulle risorse umane, ovvero il cosiddetto capitale artificiale o manufatto (attrezzature, infrastrutture e tecnologia). Esistono però altri tre tipi di capitale: il capitale umano (conoscenza, esperienza e imprenditorialità umana), il capitale sociale (valori condivisi, fiducia, spirito cooperativo e organizzazione comunitaria) e il capitale naturale (beni e servizi che vengono forniti dalla natura). I sistemi naturali sono essenziali per la produttività economica, ma l’economica classica e neoclassica considerano i servizi offerti dalla natura esterni ai costi di produzione e li hanno esclusi dai sistemi contabili, anche a causa della difficoltà nel quantificarli.
L’economia ecologica invece si concentra sul valore dei servizi naturali e tenta di includere questi servizi nel calcolo dei prezzi: facendo propri i concetti dell’ecologia, quali i sistemi, la termodinamica e i cicli dei materiali, afferma che le risorse naturali e le altre specie sono in disponibilità limitata, hanno un valore e spesso sono fragili.
I primi teorici dell’economia, come Thomas Malthus (1766-1834), avevano intuito i limiti biofisici all’interno dei quali operava l’economia del loro tempo, ma alla fine del XVIII secolo la Rivoluzione industriale eliminò ogni dubbio circa i limiti della biosfera, grazie alla scoperta di nuovi materiali che sostituivano quelli che cominciavano a scarseggiare e a nuove tecnologie che permettevano di trarre profitti fino ad allora insperati. Perciò, ai tempi di Smith e Ricardo, la natura era percepita come una risorsa immensa e inesauribile, la popolazione mondiale era un settimo di quella attuale e le tecnologie estrattive erano molto meno potenti e dannose per l’ambiente, quindi la preoccupazione per l’impatto delle attività antropiche sull’ambiente era pressoché inesistente. Ormai però l’indipendenza dell’attività economica dalla natura non è più credibile; secondo il Global Footprint Network l’impatto dell’umanità sul pianeta supera la capacità della Terra di sopportarlo in modo sostenibile. Secondo il “Living Planet Report 2008”, “check up” annuale fatto da ricercatori del WWF e altre organizzazioni scientifiche, presentato a Londra, entro il 2030 avremo bisogno di due pianeti per soddisfare il fabbisogno dell'umanità di beni e servizi. La domanda globale sulle risorse della Terra supera infatti del 30% la capacità rigenerativa di quest'ultima. Più di tre quarti degli abitanti del pianeta vivono in nazioni che sono debitrici ecologiche, dove cioè i consumi nazionali hanno superato la capacità di risorse naturali del paese. La crescita demografica, e quella dei consumi individuali, hanno fatto sì che negli ultimi 45 anni la domanda dell'umanità sul pianeta sia più che raddoppiata. Ancora nel 1961 quasi tutti i paesi del mondo possedevano una capacità più che sufficiente a soddisfare le proprie esigenze interne. Nel 2005 la situazione è cambiata in modo radicale: molti paesi possono soddisfare i loro bisogni solo importando risorse da altre nazioni e utilizzando l'atmosfera del pianeta come discarica di anidride carbonica e di altri gas serra. Il nostro paese è al ventiquattresimo posto nella classifica delle maggiori impronte ecologiche sul pianeta, su oltre 180; l'impronta ecologica pro capite dell'Italia è 4,8: significa che ogni italiano consuma risorse tre volte in più del quantitativo che il nostro territorio mette a disposizione.
La cieca fiducia che al tempo dell’Illuminismo si aveva nelle tecnologie e nella possibilità dell’uomo di conoscere esattamente tutte le leggi fisiche che governano l’universo non può essere mantenuta. Certamente occorre puntare anche alla tecnologia per tentare di ridurre l’impronta ecologica dell’essere umano sulla Terra, tuttavia l’esperimento di Biosfera 2 ci ha insegnato che siamo ancora ben lontani da una conoscenza profonda dei componenti, delle interazioni e dei processi che governano il capitale naturale che sostiene la vita sulla Terra e che la tecnologia non può fornire un sostituto per sostenere i sistemi naturali della vita.
Viene dunque messo in dubbio il concetto di crescita economica illimitata: con un pensiero affine a quello di Mill, molti economisti ecologici, come Herman Daly, auspicano un’economia dello stato stazionario, caratterizzata da bassi tassi di natalità e di mortalità umana, dall’utilizzo di fonti energetiche rinnovabili, dal riciclo dei materiali, e dall’attenzione alla durevolezza, all’efficienza e alla stabilità. Oltre a rendere i produttori responsabili dei costi ambientali (cioè dei danni all’ambiente dovuti all’investimento in nuove produzioni), gli economisti ecologici tentano di includere nel sistema contabile anche i costi sociali, ovvero i danni che le nuove produzioni possono causare alla popolazione, inficiandone anche la produttività e quindi causando una perdita economica, che nell’economia tradizionale non viene considerata. [...]

Questo brano è tratto dalla tesi:

Servizi degli ecosistemi. Analisi e valutazione nelle Alpi lombarde

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Informazioni tesi

  Autore: Francesca Romana Aniello
  Tipo: Laurea II ciclo (magistrale o specialistica)
  Anno: 2007-08
  Università: Università degli Studi di Milano - Bicocca
  Facoltà: Scienze della Formazione
  Corso: Scienze antropologiche ed etnologiche
  Relatore: Emilio Padoa-Schioppa
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 99

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