Elementi di Ebraismo nella poetica mahleriana
L’ebreo e l’etica della compassione
Scavando ancora più profondamente nella personalità e nell’animo di Mahler, si possono scoprire aspetti molto interessanti sul suo rapporto con l’ebraismo e di come l’abbia vissuto nella sua vita. All’ironia e alla spinta alla continua ricerca si aggiunge un’ulteriore componente che si potrebbe definire “intima”. Ci viene in aiuto uno scritto di Alfred Roller, Ritratti di Gustav Mahler, nel quale egli fa una descrizione minuziosa della persona del musicista, sia fisica che morale, arrivando a una considerazione molto illuminante:
Mahler non ha mai nascosto la sua origine ebraica, che però non gli ha procurato nessuna gioia. Per lui era sprone e pungolo a risultati più elevati e più puri. “Come una persona che viene al mondo con un braccio troppo corto: l’altro braccio deve imparare a fare molto di più e alla fine riesce a realizzare cose che le due braccia sane non sarebbero riuscite a compiere”. Così una volta mi spiegò l’effetto delle sue origini sulla sua opera. […] Ciò che lo legava all’ebraismo era la “compassione”. Mahler probabilmente aveva appreso in se stesso il motivo, sebbene ne parlasse di rado e sempre soltanto facendo tranquille constatazioni, mai amareggiato, mai sentimentale. Ma “Tra gli uomini più poveri c’è sempre quello che è ancora più povero e che in più è anche ebreo”.
Il pathos, come categoria del pensiero ebraico della Bibbia, è la compassione: “con più passione” è il sentimento di sentire insieme, provare le stesse emozioni. Questo non ha nulla a che fare con il tardo latino da cui deriva l’attuale senso di “compatire” o commiserare, ma ha invece a che fare con l’immedesimarsi per condividere le stesse emozioni.
La compassione viene considerata dalla filosofia ebraica una qualità innata nell’uomo. Essa consiste in uno stato d’animo o in un sentimento che ha l’obbligo di essere tradotto in azione. Attraverso la compassione, all’uomo viene chiesto di imitare una essenziale qualità divina che viene spesso posta in contrapposizione, pur nella loro complementarietà, con l’attributo della giustizia. La forma più comune ed enfatizzata, nel pensiero ebraico, attraverso cui esercitare la compassione verso il prossimo è la Tzedakah. Essa viene impropriamente tradotta con "carità" ma in realtà è considerato un dovere essenziale e non principalmente un atto di bontà. "Tzedakah" significa, infatti, letteralmente "giustizia". Ogni ebreo è obbligato a donare il dieci per cento del proprio guadagno al povero; questa somma viene considerata spettante di diritto al bisognoso in quanto ogni uomo dovrebbe ricevere ugualmente di ciò che Dio ha creato. La tzedakah nel suo significato più ampio designa inoltre il comportarsi in maniera giusta in una certa situazione.
Chi ha conosciuto Mahler ha potuto constatare la sua sincera compassione. Così scrive Alfred Roller: «Molti hanno conosciuto la vera bontà di Mahler, ma su esperienze di quel genere si mantiene di solito un grande riserbo. […] Come sapeva trattare i bambini, e con che rapidità essi imparavano ad amarlo».58 È inoltre risaputo ch’egli contribuì (restando spesso con le tasche vuote) ai bisogni non solo dei suoi familiari, ma anche dei suoi colleghi musicisti più giovani, soprattutto Schönberg che finanziò e difese a spada tratta pur non capendo la sua musica. Rudolf Barshai, in un’intervista al «Corriere della Sera» afferma:
Mahler sentiva di avere un compito nella vita: aiutare gli uomini attraverso la musica. Come Beethoven o Shostakovich, voleva che la sua musica arrivasse a tante persone, voleva che facesse abbracciare milioni di uomini. […] In Mahler, come in ogni artista, è forte l'influenza del tempo in cui visse. Aveva a cuore le passioni degli uomini e la sofferenza di tutto il mondo: tutta la sua musica vibra di questa compassione.
Viene ancora in aiuto, per chiarire la compassione ebraica, il libro dei libri, la Bibbia:
La Bibbia usa la categoria del pathos. Attraverso le parole del profeta ispirato, Dio si fa genitore, anzi, mamma (le espressioni sono più quelle della tenerezza materna che quelle di un padre). Dio, il creatore onnipotente dell’universo, l’Uno e unico, l’Eterno, Colui che nessun uomo ha mai visto né può vedere, l’Altissimo, comunica ad Israele nei sentimenti e nelle emozioni umane degli ebrei.
L’obbligo di proteggere il debole deriva dal dovere biblico di amare il prossimo come se stessi. La tradizione ebraica indica diverse modalità di adempiere a questo valore considerato di estrema importanza. È necessario, in primo luogo, chiarire quali categorie comprenda il termine "debole". Vi sono norme specifiche, nel Talmud, che regolano la cura e l’interesse dovute al "debole" in cui vengono trattate conseguentemente leggi riguardanti la protezione dell’orfano, del povero, della vedova, del malato e dell’anziano. Da ciò è possibile derivare le varie categorie sociali incluse nel termine "debole”.
Tutto ciò va tenuto presente per comprendere meglio il rapporto di Mahler con il mondo dell’infanzia, degli ultimi, dei diseredati.
Questo brano è tratto dalla tesi:
Elementi di Ebraismo nella poetica mahleriana
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Informazioni tesi
Autore: | Raffaello Pilato |
Tipo: | Laurea I ciclo (triennale) |
Anno: | 2012-13 |
Università: | Università degli Studi di Palermo |
Facoltà: | Lettere e Filosofia |
Corso: | Dams - Discipline delle Arti, della Musica e dello Spettacolo |
Relatore: | Pietro Misuraca |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 38 |
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