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Giorgio Strehler e la prima italiana dell'Opera da tre soldi di Bertolt Brecht

L’attore epico italiano

L’Opera da tre soldi è il primo testo brechtiano che Giorgio Strehler porta in scena, dopo aver affrontato solo come studio privato La linea di condotta con gli allievi della Scuola d’Arte Drammatica del Piccolo Teatro di Milano: si tratta, perciò, della prima volta in cui i suoi attori professionisti hanno a che fare con il metodo epico. Le premesse di questo incontro non sono positive, dal momento che, almeno agli occhi di Virginio Puecher, "una delle specialità dell’attore italiano è l’imitazione di modi e stili derivati dal cinema". Secondo Puecher, almeno fino al 1950, l’attore italiano sembra più vicino ad una recitazione realista che ad una recitazione epica, anche se non è mai arrivato a fare un largo uso della recitazione naturalista, dal momento che il naturalismo ha sugli attori italiani un impatto meno importante e più tardivo rispetto ai colleghi europei, permettendo all’estetica melodrammatica di persistere anche nel Novecento. Questa mancata innovazione nell’estetica attoriale italiana fa sì che nel Novecento non si affermi alcuna tecnica interpretativa tanto particolare da condizionare la creazione testuale degli autori. Puecher sostiene che in Italia, almeno fino alla metà degli anni Cinquanta, non ci sia stato uno sposalizio palese e fruttuoso tra una tecnica recitativa ed un’estetica autoriale, così che, ad esempio, i testi di Pirandello, fino a metà Novecento inoltrato, continuano ad essere rappresentati mediocramente ed arbitrariamente, senza che le indicazioni dell’autore riescano a far breccia nelle tradizioni interpretative degli attori (si pensi ai grandi primi attori che rifiutano di coprirsi il volto con le maschere, come invece auspica Pirandello per la messinscena di alcuni suoi testi). Puecher non intende dire con questo che in Italia manchino estetiche recitative fuori dall’ordinario, ma che anche le interpretazioni più virtuosistiche sono prive di un vero e proprio "rapporto con lo sfondo ideologico dei testi" recitati dagli attori, testi che a loro volta gli autori non hanno scritto nell’ottica di consegnarli poi agli specifici mezzi e capacità degli attori italiani.

La dispersione stilistica del panorama teatrale italiano costringe gli attori ad utilizzare un gran numero di registri recitativi, diventando anche piuttosto agili nel passaggio da uno all’altro, ma privandosi dell’occasione e della necessità di specializzarsi sufficientemente su un determinato genere. Come riassume Virginio Puecher, l’attore italiano "assimilò tecniche, ma non ebbe mai precise cognizioni estetiche".
Gli attori di Strehler non sono esenti dalla difficoltà di approcciarsi ad un metodo a loro estraneo sia nei contenuti che nel rigore applicativo, sebbene il regista pedagogo non manchi di accompagnarli con la massima cura all’interno dell’estetica del teatro epico. Il metodo epico ha la particolarità di rendere evidenti tutti i difetti tecnici, che in una recitazione realistica possono passare in secondo piano, mascherati dalla messa in gioco dei sentimenti. La perfezione tecnica richiesta in questa modalità di lavoro è tale che Strehler deve munirsi di un magnetofono per riascoltare e far ascoltare agli attori le imprecisioni commesse durante le prove. Il retaggio stanislavskiano che più ostacola l’approdo al metodo epico da parte degli attori di Strehler è l’abitudine realistico-immedesimativa di ricercare le "spiegazioni naturalistiche" celate dietro a ciò che accade in scena. Una volta superati questi automatismi, la recitazione epica permette agli attori di vivere il periodo delle prove con più calma e precisione rispetto a quanto fatto durante altri allestimenti: la tecnica della "narrazione del personaggio da parte dell’attore" - che si contrappone all’immedesimazione dell’attore nel personaggio e che prevede che l’attore non aderisca completamente al personaggio, ma si limiti a riportarlo al pubblico come se si trattasse di una persona terza - e la minuziosa organizzazione dello spettacolo che esige il metodo brechtiano, liberano gli attori dallo sfibrante dispendio di energie psichiche proprio del realismo e del naturalismo e donano loro una nuova potenza espressiva.

Questo brano è tratto dalla tesi:

Giorgio Strehler e la prima italiana dell'Opera da tre soldi di Bertolt Brecht

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Informazioni tesi

  Autore: Matilde Sgarbossa
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2018-19
  Università: Università degli Studi di Padova
  Facoltà: Lettere e Filosofia
  Corso: Dams - Discipline delle Arti, della Musica e dello Spettacolo
  Relatore: Paola Degli Esposti
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 73

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