L'Africa nel panorama letterario e artistico italiano: il mito del continente nero per Alberto Moravia
L’arte contemporanea europea: il ruolo dell’Africa
Da un punto di vista temporale, l’arte africana viene “scoperta” dall’Europa alla fine del XIX secolo: è il 1884 e a Berlino si tiene la Conferenza dell’Africa Occidentale, un’iniziativa politica con lo scopo primario di regolamentare il commercio europeo nelle zone dei fiumi Congo e Niger. Gli scambi economici che ne conseguono segnano la nascita dei musei etnografici e delle mostre universali, che nelle maggiori città europee iniziano a moltiplicarsi. Il rinnovato gusto per l’etnografia di fine Ottocento conduce alla nascita del filone artistico del Primitivismo: in esso, alcuni aspetti formali della cosiddetta “arte primitiva” vengono assimilati da taluni artisti europei d’avanguardia dando vita a innovative forme d’arte. C’è da chiedersi, ora, perché tanto interesse per l’arte africana. Una prima risposta a tale complesso quesito la si può rintracciare nelle ideologie dominanti e nell’assetto sociopolitico europeo di fine Ottocento: il colonialismo imperversante e gli studi darwinisti danno adito a teorie di presunta superiorità biologica e culturale occidentale e i popoli africani, oceanici e nativi americani divengono gruppi di “primitivi” su cui dominare. Da un punto di vista più strettamente artistico, l’arte etnografica offre spunti e soluzioni originali a problemi espressivi dei movimenti d’avanguardia e rappresenta una tendenza artistica innovativa, anticonformista.
A subire maggiormente il fascino dell’art nègre sono i fauves, i cubisti e i primi espressionisti del gruppo Die Brücke. Apripista di tali artisti furono a loro volta i francesi Gauguin e Cézanne, riscoperti tra il 1906 e il 1907 grazie a due imponenti mostre a loro dedicate, presso il Salon d’Automne di Parigi. L’avvio ufficiale del Primitivismo ha luogo nel giugno 1907, quando un giovane Picasso dà vita a uno dei capolavori più contestati della storia dell’arte europea: “Les demoiselles d’Avignon”. Si tratta di un dipinto di grandi dimensioni, raffigurante un gruppo di provocanti prostitute, del tutto originale, rivoluzionario: le linee dure e spezzate e le dimensioni innaturali dei corpi rendono queste figure “mostruose”, al limite del grottesco. Picasso decide di modificare l’opera, già in fase avanzata, trasformando i volti a destra in maschere africane: ispirandosi ai manufatti tribali ammirati al Museo etnografico del Trocadero, il pittore intende rompere con il modello artistico preesistente che vede nella scultura iberica arcaica il punto di riferimento. Ciò è reso possibile dalla commistione di tendenze che l’artista mette in atto: la linea sobria e magnificente delle statue iberiche tradizionali viene sconvolta dalla carica tenebrosa e grottesca del feticcio africano, rendendo le prostitute picassiane simboli di “pura energia sessuale”, di una forza vitale selvaggia e fascinosamente oscura. Picasso con il cubismo è l’artista che maggiormente fa propria la lezione dell’arte africana, dalla pittura alla scultura. Nonostante il grande insuccesso de “Les demoiselles d’Avignon”, nello stesso periodo (autunno 1907-inverno 1908) l’artista si cimenta in innumerevoli sperimentazioni proto-cubiste, producendo una serie di nudi primitivistici.
In tali dipinti, dal forte monocromatismo, gli sfondi divengono schematiche vegetazioni esotizzanti e i corpi, scolpiti e scavati come idoli e maschere in legno, si fanno veicolo di una potente carica erotica. Si tratta di una sessualità primitiva in cui troneggia la “donna d’Africa”, vigorosa e ambiguamente androgina, contemplata da Picasso in fotografie e nei manufatti collezionati. L’artista e il suo pubblico sperimentano, così, il richiamo della beauté laide, della primitiva bellezza di figure oggettivamente sgradevoli e spaventose, scandalose nella loro provocante realtà. Il culmine del periodo primitivistico picassiano si ha intorno alla seconda metà del 1907. In “Nudo con velo” (estate 1907) la tecnica del tratteggio appare così radicalizzata che se da un lato fa pensare al passage cezanniano, in cui i colori si dissolvono gli uni negli altri, d’altro lato è impossibile non individuarci componenti della lezione primitivistica: la semplificazione geometrica delle figure produce corpi distorti e anti-realistici simili a idoli primitivistici, inseriti in una cosiddetta struttura a “tela di ragno”, il marcato tratteggio fa pensare alle impressionanti scarificazioni rituali di molte tribù africane e perfino i volti hanno l’enigmatica fissità delle maschere. Nel 1908 la lezione picassiana appena precedente viene assimilata ed elaborata da Braque138, che con il suo “Grande nudo” (1908) spiazza il compagno per il sorprendente primitivismo della figura. La “brama d’Africa” di inizio Novecento interessa anche altri noti artisti d’avanguardia, tra cui, in particolare, i maggiori esponenti del movimento fauves: Matisse e Derain. In “Ritratto di madame Matisse” (1913), del primo pittore, è incredibilmente vistosa la somiglianza del volto della donna con quello, semplificato e senza tempo, della maschera Fang (Gabon): dai colori tetri e innaturali, quasi lignei, la compagna di Matisse (1869-1954) diviene un essere sovrannaturale dal volto di feticcio. Anche André Derain (1880-1954) si lascia trasportare dalle suggestioni africane: in “Le grandi bagnanti” (1908) un gruppo di docili e primitive figure, dai colori caldi e scuri, dominano pacificamente la natura circostante, come in una scena edenica. Oltre che dal movimento fauves, la lezione primitivistica viene ripresa, in modo del tutto originale, anche dall’espressionismo tedesco: la vitalità violenta, brutale delle maschere tribali viene assimilata per esasperare, deformare e rendere selvagge le figure che divengono, così, graffianti e grottesche. In maniera diversa, in Italia un giovane Amedeo Modigliani (1884-1920) dà vita al così chiamato “primitivismo classicista”: l’armonia dell’arte classica, imprescindibile punto di riferimento per l’artista, si sposa con la sinuosità delle linee africane in un approccio all’arte tribale smorzato ed estetizzante, ma comunque presente.
Concludendo, si deve tuttavia specificare che il fenomeno del primitivismo è del tutto eurocentrico e unidirezionale: prodotti di altre culture vengono talvolta banalizzati, non pienamente compresi e mitizzati per soddisfare aspettative, interessi ed esigenze artistiche esclusivamente europee. Il pregiudizio di un’arte “ingenua”, pura, immediata può condurre all’infelice caso dell’appropriazione culturale, in cui l’arte etnografica viene commercializzata, decontestualizzata e, dunque, non pienamente compresa: un altro chiaro esempio di mitizzazione dell’Africa.
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L'Africa nel panorama letterario e artistico italiano: il mito del continente nero per Alberto Moravia
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Informazioni tesi
Autore: | Camilla Verdolini |
Tipo: | Laurea I ciclo (triennale) |
Anno: | 2020-21 |
Università: | Università per stranieri di Perugia |
Facoltà: | Lingua e Cultura Italiana |
Corso: | Lettere |
Relatore: | Giovanni Capecchi |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 63 |
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