Anfiteatri nei Campi Flegrei
L’anfiteatro flavio: storia degli studi
Rimasto visibile nel corso dei secoli, l’Anfiteatro maggiore di Pozzuoli, meglio noto come flavio, ha destato, a partire dal Rinascimento, l’interesse di studiosi e viaggiatori, dopo che per secoli era rimasto in uno stato di totale abbandono.
Infatti, dopo aver svolto il ruolo di principale edificio per spettacoli di Puteoli, già nel tardo impero, con il diffondersi della religione cristiana avversa a spettacoli cruenti come quelli gladiatori, venne abbandonato. Successivamente i sotterranei, gli ambulacri e l’arena furono ricoperti da terra e materiale alluvionale, mentre nel corso del medioevo, in modo particolare con la lenta ripresa di Pozzuoli dopo l’anno mille, le parti del monumento rimaste a vista divennero una vera e propria cava di materiali.
Fino al XVIII, furono spoliate gran parte delle strutture dell’alzato, in particolare vennero asportati i marmi che rivestivano le gradinate della cavea, i blocchi di trachite utilizzati per i pilastri del portico esterno e gran parte delle membrature architettoniche dell’edificio; le rimanenti strutture dell’edificio, per lo più le gradinate della cavea, vennero occupate da case rustiche e masserie, mentre fu impiantato un frutteto sull’arena precedentemente interratasi.
Ulteriori danni al monumento furono causati, nel Settembre del 1538, dal terremoto e la conseguente eruzione vulcanica, che portarono alla formazione di una collina poi denominata Monte Nuovo. Tuttavia è proprio tra il ‘400 e il ‘500 che architetti umanisti prima, e studiosi d’antiquaria ed eruditi dopo, iniziarono a rivolgere il loro interesse a Pozzuoli e i suoi monumenti. Tra le varie descrizioni e rappresentazioni che in quel periodo vengono fatte dell’anfiteatro flavio, interessante è la testimonianza data dall’architetto padovano Andrea Palladio.
Nel suo schizzo il Palladio rappresenta le parti del monumento rilevabili ai suoi tempi e cioè il primo anello dei muri radiali ed alcune parti del secondo. Inoltre in tale foglio è raffigurato uno degli ingressi assiali dell’edificio e la ripartizione dei vani dell’anello esterno in gruppi di tre, due, tutti separati da corridoi radiali in comunicazione con l’ambulacro intermedio. Tuttavia questo disegno, nonostante il suo valore storico-documentatrio, presenta imprecisioni nella resa di alcune parti del monumento.
Solo nel corso del ‘700, quando viaggiatori stranieri e italiani realizzanno vere e proprie giude di Pozzuoli, nuove e più precise rappresentazioni e descrizioni, arrichite con notizie di nuovi ritrovamenti, si hanno sia dell’anfiteatro flavio che di altri monumenti dell’antica Puteoli. Un’interessante testimonianza ci viene data dall’erudito e sacerdote Paolo Antonio Paoli. In questo testo il Paoli, dopo aver rappresentato il monumento cosi come appariva ai suoi tempi, ovvero ancora ricoperto per gran parte di terra, per la prima volta, traccia la pianta dell’anfiteatro, distinguendo, attraverso inchiostri neri più o meno scuri, le parti ancora visibili da ciò che era andato perduto e da lui ipoteticamente ricostruito in pianta basandosi sui ruderi.
Inoltre egli, in più tavole correlate da descrizioni, raffigura singolarmente le varie strutture ancora visibili; in una delle tavole è rappresentato l’alzato dell’edificio con i rispettivi livelli. Tuttavia la terra che ricopriva il monumento, non permetteva al Paoli di avere una visione chiara dello stesso edificio: infatti egli riteneva che quest’anfiteatro fosse priva di sotterranei e basandosi su quest’apparente semplicità, datava questo monumento ad epoca preaugustea, considerandolo uno dei primi anfiteatri italici.
Intanto ancora agli inizi dell’800, l’anfiteatro si trova in un pessimo stato di conservazione: a testimonianza di ciò il canonico Andrea Vincenzo De Jorio, noto antiquario e archeologo dell’epoca, nella sua opera “Guida di Pozzuoli e contorni” (1822), denuncia lo stato di degrado e abbandono del monumento, in contrapposizione al suo antico lustro. Solo nel 1839 viene avviato un primo scavo dell’anfiteatro, sotto la direzione dell’architetto e archeologo Carlo Bonucci, direttore degli scavi di Pozzuoli.
Questi dopo aver comperato il terreno che ricopriva il monumento, e che fino a quel momento era utilizzato come frutteto, il 12 Gennaio 1839 diede inizi ai lavori, liberando dalla terra gran parte dei sotterranei e parte del colonnato interno. Successivamente si scavò, anche se solo parzialmente, il piano dell’arena con le aperture quadrate che davano aria e luce ai sotterranei, una serie di ambienti al di sotto del podio, e la scaletta, che posta a lato del propileo sud dell’asse minore, conduceva all’esterno per via quasi sotterranea, attraverso il grande corridoio trasversale (29,20 m.), posto in posizione intermedia tra il piano dell’arena e i sotterranei.
Durante questa campagna di scavo, proseguita fino al Dicembre del 1845, oltre ad una delle quattro iscrizioni commemorative che sormontavano gli ingressi assiali del monumento, recuperata presso l’antico ingresso nord dell’asse minore, si ritrovarono due depositi di monete di bronzo ossidate, rispettivamente di 37 e 76 unità, le quali monete, in base alle iscrizioni e il tipo, si attribuirono agli imperatori Diocleziano, Aureliano, Massenzio, Crispo e Costanzo II.
Lo stesso Bonucci racconta inoltre il furto di sette carri di piccoli marmi rinvenuti durante gli scavi e diretti presso i marmorari in largo delle Pigne a Napoli. Infine fra i frammenti di marmo recuperati sul piano dell’arena, fu ritrovato un bassorilievo, inviato poi al Real Museo borbonico, raffigurante Giove, con fulmine e aquila, al centro del frontoncino di un tempietto. Interrotti per qualche anno gli scavi furono poi ripresi, nel Novembre 1849, sotto la direzione di Michele Ruggiero, architetto dell’ufficio tecnico Municipale di Napoli nel 1843 e professore onorario dell’Accademia di Belle Arti nel 1844.
Durante questa campagna di scavo, terminata nel Dicembre del 1855, si continuò lo sterro dei sotterranei con relativa discesa, a partire dall’ingresso ovest dell’asse maggiore; in modo particolare si scavò il corridoio principale denominato media via. Inoltre contemporaneamente allo scavo del piano dell’arena, si avviò lo sterro del giro esterno del monumento, partendo dall’ingresso principale dell’epoca, a nord-ovest, all’estremità dell’asse longitudinale, e procedendo verso l’antica porta nord lungo l’asse minore.
Durante i primi due anni di scavi, tra il 1850 e il 1851, furono recuperate, nei sotterranei dell’arena, quattro lucerne di creta, un vaso di terra e otto monete di bronzo, oltre ad ossa di animali appartenenti a cavalli, cani, maiali. Successivamente, tra il Luglio e il Dicembre del 1855, sempre disparsi nei sotterranei, in quanto scaricati qui intenzionalmente quando la superficie del monumento fu occupata da case coloniche, furono ritrovati una gran quantità di frammenti marmorei, in particolare 69 fusti di colonne e 24 capitelli.
Questo brano è tratto dalla tesi:
Anfiteatri nei Campi Flegrei
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Informazioni tesi
Autore: | Lorenzo Feniello |
Tipo: | Laurea I ciclo (triennale) |
Anno: | 2008-09 |
Università: | Università degli Studi di Napoli - Federico II |
Facoltà: | Lettere e Filosofia |
Corso: | Archeologia e Storia delle Arti |
Relatore: | Carlo Gasparri |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 140 |
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