Moji-ka. Il conseguimento di una scrittura standard per la lingua giapponese
Kanbun e wabun
Per capire cos’è che rese tanto travagliato e lungo il processo di standardizzazione della scrittura, dobbiamo prima comprendere cosa fosse per i giapponesi, all’inizio, la scrittura. Come abbiamo detto più volte, la scrittura che arrivò nell’arcipelago dal continente era strettamente legata al tipo di lingua, il cinese, per cui era impiegata e questo impedì di vederla come un sistema personalizzabile, atto a rendere altre lingue. Ne consegue che i giapponesi non trovarono subito in essa un mezzo per scrivere la loro lingua – questo anche per le differenze già elencate sopra – ma la forma scritta di una lingua ben precisa, quella cinese. Sarebbe più corretto dire, quindi, che i giapponesi non importarono la scrittura ma un modello di lingua scritta.
Il giovane stato Yamato aveva urgente necessità di mettere per iscritto le sue leggi nel VII secolo, con la riforma Taika, e non aveva altro modo per farlo se non quello di ricorrere a un modello scritto che fosse già standardizzato, ergo, che potesse essere compreso senza equivoci e il kanbun, la scrittura cinese per rendere il cinese, era l’unico mezzo disponibile. Esso aveva, inoltre, il grande vantaggio di essere compreso e condiviso da tutta la sinosfera, come una vera e propria lingua franca scritta.
Questo non significa che i giapponesi si fossero arresi davanti alla scarsa personalizzabilità e duttilità della scrittura cinese. è naturale, però, pensare che adattare un sistema logografico, nato in funzione della lingua per la quale è utilizzato, richiede espedienti ben più artificiosi e tempi più lunghi che adattare una scrittura alfabetica.
Se il kanbun era usato in ambiti ufficiali, parallelamente metodi sperimentali più o meno prossimi alla registrazione della lingua autoctona lo erano in contesti privati o che avessero a che fare direttamente con la cultura giapponese in senso stretto. Il risultato di tali sperimentazioni avrebbe costituito lo wabun, la scrittura in giapponese, contrapposta al kanbun.
E’ da precisare, però, che vi sono metodi di scrittura che, a seconda del punto di vista, possono afferire sia al kanbun che allo wabun. Il Nihon shoki, per esempio, è scritto in kanbun, quindi in cinese, ma il Kojiki, per altro antecedente al Nihon shoki, è scritto in un kanbun che a volte si discosta dalla struttura linguistica del cinese, riflettendo aspetti sintattici autoctoni.
Ciononostante, non possiamo dire che esso riporti già a livello grafico una lingua fedele a quella dell’arcipelago e che quindi sia scritto in lingua autoctona. Per rendere oralmente in giapponese testi come il Kojiki, ammesso che essi fossero concepiti per essere letti, bisogna effettuare una serie di operazioni di decodifica, a volte guidate dalle glosse contenute nel testo stesso, cambiando l’ordine delle parole, integrando elementi grammaticali, flessioni o altre caratteristiche di cui i caratteri cinesi non potevano rendere conto ecc. Si potrebbe dire, a limite, che tali testi siano scritti in lingua cinese per la lingua autoctona.
Questo brano è tratto dalla tesi:
Moji-ka. Il conseguimento di una scrittura standard per la lingua giapponese
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Informazioni tesi
Autore: | Armando Pomante |
Tipo: | Tesi di Laurea Magistrale |
Anno: | 2009-10 |
Università: | Università degli Studi di Firenze |
Facoltà: | Lettere e Filosofia |
Corso: | Lingue e Civiltà Orientali |
Relatore: | Ikuko Sagiyama |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 208 |
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