Letteratura della migrazione. Identità, nazione, figuralità nelle opere di L. A. L. Wadia, U. C. A. Farah, G. Ghermandi
Italianità
Qual è l'identità dell'Italia? Quale la sua immagine contemporanea? Quali le affinità e quali le differenze rispetto al passato? Qual è l'idea che l'altro ne ha? Quali i problemi? Nel paragrafo si cerca di ricavare gli indici di italianità messi in risalto da Laila Wadia in «Amiche per la pelle».
In questo romanzo della migrazione l'autrice sembra voler evidenziare le caratteristiche dell'italianità più enigmatiche e problematiche, quegli aspetti del nostro paese che, nonostante siano sotto agli occhi di tutti, vengono ignorati perché prenderne piena coscienza significherebbe ammettere l'incoerenza e i paradossi della nostra cultura. Povertà e ricchezza, ignoranza e sapere, razzismo e multiculturalismo, integrazione e ghettizzazione, pregiudizi e realtà sono i bordi estremi di ferite mai veramente suturate della società italiana di cui il fenomeno della migrazione favorisce la riapertura. Già Angelo Del Boca aveva infierito nello squarcio dell'identità italiana mal celato nel mito degli Italiani brava gente, ora anche la letteratura con decisione separa i lembi della lacerazione nazionale.
Laila Wadia incarna la caratteristica incoerenza italiana negli unici personaggi triestini della storia, Laura e il signor Rosso. Nel delineare la personalità di questi due protagonisti l'autrice mette infatti in risalto le contraddizioni presenti nei loro pensieri e nelle loro azioni.
«Laura è una di quelle donne che hanno dato anima e cuore al loro mestiere per trentacinque anni nonostante la paga da fame. Ora divide il suo tempo tra il "Comitato per la salvaguardia dei fiori del Carso" e il "Comitato per il bilinguismo a Trieste"» (APP, 47). Laura è rimasta nubile, forse perché non sta mai zitta come suggerisce Bobo, infastidito dal femminismo dell'insegnante; ella nonostante sia in pensione, dopo aver duramente lavorato con passione e dedizione, ama tenersi attiva occupando il proprio tempo in modo “socialmente utile”. Sempre oberata da impegni, tra un comitato e un sit-in, si dedica altresì all'acculturamento di Shanti, Bocciolo di rosa, Marinka e Lule cercando di farle uscire dalla monotonia dell'ambiente domestico, di renderle consapevoli del loro ruolo di persone e non solo di mogli casalinghe e di portarle alla coscienza del mondo globalizzato.
Laura è una che si danna l'anima per la qualità dell'aria che respiriamo, dell'acqua che beviamo, dei detersivi che usiamo. Ogni volta che nomini un cibo precotto o un gelato industriale, diventa paonazza in viso e urla che le multinazionali ci stanno avvelenando. All'inizio stentavo a comprendere il suo ragionamento. Non trovavo niente di male nella qualità della vita in Italia. Anzi. Le facevo notare che si vive bene qui – acqua potabile che sgorga dai rubinetti, tante bellissime macchine sulle strade e nessuno che suona il clacson, verdure lavate e pulite messe in vassoi di polistirolo. Laura s'infuriava. «è uno specchio per le allodole! Ci stanno ammazzando. Ma non lo capisci? Più macchine vendono, più ci uccidono. Più cibi in scatola mangi, più ti ammali, e più sono contenti perché ti possono vendere le loro medicine schifose!» (APP, 55-56)
Laura mette in guardia le donne sulle apparenze del benessere smascherandone i meccanismi economici e i valori cinici che riducono le persone a meri consumatori all'interno di un contesto in cui il solo dio è il denaro. Si tratta di congegni invisibili alle immigrate che provengono da luoghi in cui l'acquisizione di acqua potabile può essere a volte un miraggio. Se le sue parole molto spesso fanno fatica a essere comprese dalle protagoniste, esse sono invece percepite come pericolose armi dai loro uomini: «Per i nostri mariti, Laura è una ficcanaso e una minaccia. Una che ci riempie la testa di mine vaganti, concetti a noi finora sconosciuti come pari opportunità ed emancipazione femminile» (APP, 52). Questi dissapori tra mondo muliebre progressista e mondo maschile “tradizionale” si trasforma in scontro aperto.
L'incomprensione tra i due universi, pur sempre nella completa buona fede, porta Bobo a insultare apertamente Laura, la quale non è capace di trattenersi dal propinare all'uomo uno dei suoi discorsi femministi, il quale però, purtroppo, risulta per nulla efficace, perché non adatto al contesto:
«E che c'è di male a lavarsi i calzini e a farsi da mangiare?» chiede Laura.
«Che c'è di male? Prova tu ad alzarti alle quattro di mattina per andare a cercare lavoro. Sgobba tutto il giorno per quaranta miserabili euro. Questo c'è di male, donna. Capisci? Ci sono dei ruoli in una famiglia: la donna sta a casa e cura i figli, gli uomini vanno a guadagnare la pagnotta».
«Grazie a Dio da noi in Italia non è più così da un pezzo. Noi non teniamo le donne segregate in casa a fare i lavori domestici. Non le schiavizziamo».
«Schiavizziamo? Ma che diavolo dici, donna! Guarda là, mia moglie ti sembra forse una schiava? Shanti è una schiava? Lule ti sembra sfruttata? Noi uomini, che stiamo fuori di casa quattordici ore al giorno a spaccarci la schiena, cosa siamo allora?». (APP, 88)
Le condizioni della donna immigrata, segregata in casa a occuparsi dei figli, appare così assolutamente paritaria a quella dell'uomo immigrato, costretto a svolgere duri lavori in uno stato di sfruttamento. Il maschilismo di Bobo può così essere letto come un atto d'amore e altruismo volto alla sopravvivenza della famiglia, tanto quanto la muta subalternità di Marinka al marito può risultare affettuosa riconoscenza e impegno verso il compagno di vita e i figli. Emerge in questo modo l'incoerenza dei pensieri e dell'agire di Laura. [...]
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Letteratura della migrazione. Identità, nazione, figuralità nelle opere di L. A. L. Wadia, U. C. A. Farah, G. Ghermandi
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Informazioni tesi
Autore: | Alessandra Giro |
Tipo: | Tesi di Laurea Magistrale |
Anno: | 2012-13 |
Università: | Università degli Studi di Padova |
Facoltà: | Lettere e Filosofia |
Corso: | Filologia Moderna |
Relatore: | Emanuele Zinato |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 163 |
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