Morte e immaginario nel pensiero di Edgar Morin
Istituzionalizzazione della morte e difesa dal 'contagio': il funerale
Il primo dato umano della morte è, dunque, la sepoltura: "la conservazione del cadavere implica un prolungamento della vita, e il non abbandono dei morti presuppone la fede nella loro sopravvivenza". Sapiens avrebbe potuto gettare via i suoi morti, abbandonarli magari nella foresta, ma sente il bisogno di consegnarli ad un altro mondo in cui essi possano continuare a vivere. Come sottolinea Morin: "non esiste praticamente nessun gruppo arcaico, per quanto «primitivo» possa essere, che abbandoni in suoi morti o li abbandoni senza riti". Insieme alla sepoltura fa il suo ingresso nella storia il funerale; esso è un rito di passaggio dalla comunità dei vivi a quella dei morti. Dal momento in cui avviene il decesso il morto viene, per così dire, istituzionalizzato', ossia relegato all'interno di un insieme di riti e pratiche che "sanciscono e determinano il cambiamento di stato del morto, ma istituzionalizzano anche un insieme di emozioni: sono il riflesso dei profondi turbamenti che una morte provoca nella cerchia dei vivi" istituzionalizzare il morto vuol dire 'chiuderlo' all'interno di un insieme di pratiche e riti funerari che proteggono la comunità dei vivi dall'angoscia provocato dal contatto con la morte.
Un particolare nucleo di turbamento è costituito dall'orrore per la decomposizione del cadavere, che fra molte popolazioni è considerata contagiosa: "Così presso gli Unalit dell'Alaska, scrive Morin, il giorno successivo a una morte, gli abitanti del villaggio di sentono tutti deboli, privi di vitalità". Freud, in Totem e tabù, ritiene che l'istituzione di tabù intorno al defunto "Andrebbe ricercata nell'istintiva ripugnanza che il cadavere ispira e nell'alterazione che ben presto presenta"
Il contagio dalla morte viene evitato con un periodo di quarantena al quale la famiglia del morto, a diretto contatto con lui, viene condannata e che consiste nel periodo del lutto: "l'«impurità » del morto si identifica dunque con la sua putrefazione, è il tabù d'impurità che colpisce i parenti, obbligati a indossare segnali distintivi o a nasconderlo".
Ancor oggi nella nostra comunità è possibile assistere a manifestazioni luttuose: abiti scuri vengono indossati per un lungo periodo, a volte per sempre, ad indicare non solo il 'contagio' ma anche una forma di 'partecipazione' alla morte del proprio caro.
Alla base di tutti i tabù e le credenze intorno alla morte vi è sempre la coscienza di essere destinati a perdere la propria individualità: "dolore, terrore, ossessione hanno tutti un denominatore comune, la perdita dell'individualità". Ogni rituale, credenza, mito sulla morte hanno una radice comune che è la salvaguardia del nostro io: "il complesso della perdita dell'individualità è quindi un complesso traumatico, che presiede a tutti i turbamenti provocati dalla morte"
Quando piangiamo la morte degli altri è sempre della nostra morte che ci addoloriamo! a tal proposito Freud dice "L'uomo non poteva più evitare di pensare la morte, che il dolore provocato dalla scomparsa di un persona cara gli faceva toccare con mano. Ma nello stesso tempo, non voleva ammetterne la realtà, perché non poteva immaginare se stesso al posto del morto". L'uomo è dunque incapace di pensare in maniera autentica alla propria morte "Il fatto è che per noi è assolutamente impossibile raffigurarci la nostra morte, ed ogni volta che tentiamo di farlo, ci rendiamo conto di assistervi da spettatori".
Questo brano è tratto dalla tesi:
Morte e immaginario nel pensiero di Edgar Morin
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Informazioni tesi
Autore: | Mario Orfila |
Tipo: | Tesi di Laurea |
Anno: | 2002-03 |
Università: | Università degli Studi di Messina |
Facoltà: | Lettere e Filosofia |
Corso: | Filosofia |
Relatore: | Giuseppe Gembillo |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 169 |
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