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«The girl who wanted to be God»: Sylvia Plath scritti editoriali tra letteratura e prodotti culturali

Interpretazione di Sylvia Plath in Italia

Il primo studio in Italia su Sylvia Plath viene fatto da Renato Oliva nel 1969, un anno dopo l’arrivo della traduzione de La campana di vetro in Italia. Nella sua analisi, lo scrittore si occupa di analizzare gli elementi cardine sia della sua produzione poetica che del suo unico romanzo, attuando un’alternanza tra i due con brevi estratti che possano permettere di illustrare la ricorrenza continua dei temi.
Oliva difatti nel testo scrive: «L’universo poetico della Plath, fluido e alla ricerca di un centro, è sottoposto, attraverso i propri movimenti di contrazione ed espansione, a costante metamorfosi. Il fenomeno è riscontrabile anche in The Bell Jar che, per la sua natura di romanzo (tradizionale), sembrerebbe meno adatto a certi esperimenti31
Nelle poesie si può trovare un alternarsi di surrealismo, gotico, un io continuamente soggetto a metamorfosi. Il ritorno continuo alla presenza del mare; in Ocean 1212-W e in The Bell Jar il ricongiungimento con l’acqua è il luogo che rappresenta il riposo e la pace. Il pensiero di Renato Oliva si pone in un momento storico in cui iniziano ad esserci molti recensori delle poesie di Sylvia Plath, soprattutto in Gran Bretagna e ognuno si prende il proprio spazio per dare il proprio giudizio in merito alla sua produzione poetica. Secondo Oliva nonostante la produzione artistica di Sylvia Plath attinga a materiale autobiografico, la lotta per la sopravvivenza si sviluppa all’interno di un orizzonte poetico, capta ciò che si trova nell’inconscio e lo trasferisce nella poesia sotto forma simbolica. Per lo studioso c’è una continuità tra l’esperienza personale e l’esperienza poetica.
Rispetto al pensiero di Renato Oliva, c’è lo studioso Giuseppe Sertoli, secondo il quale: «Il mondo poetico della Plath resta chiuso nel cerchio ferreo della malattia, sempre al di qua o al di là della letteratura».32
Anche negli anni successivi continueranno ad esserci studiosi che vincoleranno la poesia e la prosa di Sylvia Plath all’interno dell’aspetto esclusivamente psicologico e patologico. Oliva in merito al suo lavoro aggiunge dicendo che: «Il critico può solo cercare di dimostrare che, benché arte e malattia siano inscindibili, i risultati poetici raggiunti da Sylvia Plath hanno valore autonomo e significato universale; e rammaricarsi che la ricerca in certe direzioni non sia stata portata a termine».33 Legare il lavoro poetico di Sylvia Plath ad esperienze autobiografiche non ridimensiona la sua rilevanza in ambito artistico.

La prima biografia mai stata scritta su Sylvia Plath risale al 1976 da Edward Butscher con Sylvia Plath: Method and Madness e suggerisce che senza la morte del padre non sarebbe mai diventata una poetessa.
Un’ altro studio su Sylvia Plath molto importante qui in Italia è stato portato avanti da Biancamaria Pisapia che nel 1974 nel suo L’arte di Sylvia Plath metteva in risalto il contrasto tra due mondi, quello quotidiano e quello dell’immaginazione e individuava nell’unione di questi due mondi la base della produzione letteraria e in prosa. Ma nota anche come nelle sue opere ci sia la sovrapposizione della sua esperienza personale con alcuni degli eventi più crudeli della nostra storia.
Sylvia Plath ha sempre osservato ciò che accadeva politicamente intorno a lei, le scuole che ha frequentato le davano anche i giusti mezzi per interpretare ciò che accadeva nel mondo. Era interessata non solo a quello che accadeva negli Stati Uniti d’America ma il suo occhio arrivava anche ai fatti avvenuti precedentemente oltreoceano, alla guerra mondiale da pochi anni conclusa.
Heather Clark in Red Comet ci racconta che nel luglio del 1950, Sylvia scrive il primo poema che viene pubblicato internazionalmente Bitter Strawberries sull’ansia della guerra fredda. Nel poema le fragole apparentemente dolci, nel momento in cui vengono colte si trasformano in frutti acidi, e ciò può essere interpretato come una manifestazione fisica della pestilenza della guerra ma non solo, il poema suggerisce anche un tema che ritornerà ad essere presente ne La campana di vetro, donne senza potere che non possono fare altro che essere controllate dal patriarcato, non hanno il potere di cambiare il corso degli eventi. Andando così a far sovrapporre l’esperienza personale a quella di fatti realmente accaduti alla sua epoca.
Tra i racconti non pubblicati di Sylvia, come ci suggerisce Tracy Brain, possiamo trovare Brief Encounter, che ci permette di capire l’attenzione che la scrittrice riservava a ciò che accadeva intorno a lei. Un racconto inedito del 1952 dove troviamo l’esplorazione delle conseguenze della guerra. L’incontro tra due sconosciuti, una ragazza e un militare di ritorno dalla Corea senza una gamba. I due, di fronte a come la guerra ha ridotto il mondo non possono fingere. Non possono partecipare ai festeggiamenti come se niente fosse, soprattutto dopo il modo in cui il militare è tornato a casa. Una presa di coscienza non solo per il militare, ma anche per la ragazza.
Nel 1976 Giovanni Giudici scrive: «Troppi elementi hanno contribuito, nei trentacinque anni che ci separano ormai dalla sua morte, a fabbricare dalle sue ceneri un personaggio, quasi un mito di consumo, con scarsa giustizia per un’opera poetica destinata a reggersi splendidamente da sé, senza bisogno di puntelli aneddotici»34 per riferirsi soprattutto a quei critici che includono il suicidio della Plath come parte integrante della sua opera.
Secondo Giudici, il parlare di morte della Plath può essere interpretato come un modo per esorcizzarla, dove dietro quell’atto si cela un forte amore per la vita. Riconosce che bisogna ringraziare per la sua enorme diffusione i modelli in cui Sylvia è stata posta, nella poesia confessionale soprattutto, ma precisa anche che non ritrova corrispondenza tra quel tipo di poesie e Sylvia Plath.

L’ “io” protagonista delle poesie della Plath, è un “io” intercambiabile. Al suo posto è possibile inserire altre persone come anche maschere.
Nel 1985 arriva in Italia, Le muse inquietanti, raccolta di poesie di Sylvia Plath scelte da Amelia Rosselli e Gabriella Morisco. La raccolta è preceduta dall’introduzione di quest’ultima, dove cerca di liberare la poesia della Plath dalle etichette e misletture che hanno accompagnato l’interpretazione del bagaglio poetico della poetessa. Lei la definisce la reincarnazione della White Goddess descrivendola come : «Una fanatica antesignana del femminismo militante e l’ultima delle eroine romantiche che vive e si dibatte in un contesto inevitabilmente ostile; la donna contemporanea dai tanti volti, dalle tante maschere che si alternano per nascondere il vuoto di un’esistenza alienata».35
Il titolo della raccolta proviene da una delle poesie di Sylvia, e forse è anche legata all’immagine di questa White Goddess che Gabriella Morisco descrive. Le muse inquietanti si ispira non solo al quadro omonimo di De Chirico ma anche alla favola della Bella Addormentata del Bosco. La poesia inizia con una domanda alla madre, dove le viene recriminato qualcosa che non ha fatto e questo fa evocare le fate cattive, in chiave moderna. Le fate subiscono una metamorfosi, prima in madrine e poi in muse. I versi finali della poesia vengono descritti così: «Il volto vuoto delle muse si è riflesso in quello della figlia che indossa, ormai imperturbabile la sua nuova maschera enigmatica».36 Gabriella Morisco individua un elemento ricorrente nell’opera plathiana, il tema della morte e in merito al suo utilizzo scrive: «Morte come anticipazione e potenzialità, come separazione, negatività totale e totalità assoluta, come unica verità e come mezzo di affermazione e unificazione dell’io»37, c’è un forte approfondimento della morte nelle sue poesie anche utilizzando metafore che mirano all’esplorazione e all’espressione del tema. La completa esplorazione del tema si ha nella poesia Poem for a Birthday, componimento composto da sette poesie dove nell’ultima The stones, l’io poetico ha compreso che vuole essere e non essere contemporaneamente. C’è una fusione tra l’essere inanimato e l’essere pensante. La vita che l’aspetta ora è una vita che comprende in essa anche la morte.
«Travestirsi, usare una maschera, contraffare la propria voce è comunque un dramma di alienazione e di morte che riflette il rifiuto di un’identità omogenea e il profondo disagio per un’esistenza ad una sola dimensione»38 scrive Gabriella Morisco per giustificare non solo la sua ricerca incessante della morte ma anche per la presenza del doppio che nasce nella sua scrittura. Come traspare una Sylvia diversa nei Diari così appare una Sylvia diversa nelle lettere alla madre e questo si riflette nella narrativa e nella produzione poetica. Il dilemma di dover vivere una vita sola e l’incapacità di vivere a pieno quella che si ha con sé. L’io poetico della Plath si moltiplica andando a raccogliere l’esperienza e la coscienza femminile. Con questo Gabriella Morisco vuole ribadire l’impossibilità di incanalare la poesia della Plath in una poesia femminista, in quanto esse non sono mosse da nessuna ideologia. Visto anche che negli anni Cinquanta in America i confini della lotta femminista non erano definiti. L’io poetico più che una funzione ideologica ha la funzione di controllare l’esperienza.
Nadia Fusini nel suo saggio del 2002 che introduce i Meridiani Mondadori Sylvia, perché la poesia?, definisce la sua poesia mediatlantica, né americana, né inglese. Sylvia ha vissuto la sua vita a metà tra l’Inghilterra e l’America e questo ha influito non solo nella sua esperienza ma anche nella composizione della sua poesia.

Nelle poesie, tra le tante cose, ricorda la vista dell’oceano Atlantico dalla sua casa d’infanzia, la nostalgia delle sponde del mare americano. Quando abbandona la sua nazione non lo fa con facilità ma si porta dietro colpe e rimpianti ma arrivata in Europa sa di aver trovato la sua seconda casa. Gli autori inglesi sono una fonte inestimabile d’ispirazione ma continuano ad esserlo anche gli autori americani, soprattutto nell’ultima parte della sua vita.
Nadia Fusini attacca coloro che catalogano la poesia di Sylvia all’interno dei concetti di autrice femminista, autrice autobiografica o confessionale. Per lei Sylvia, impersona di volta in volta nelle poesie una persona differente, innalza una nuova maschera ogni volta che si mette a scrivere.
L’io viene trasformato attraverso un processo di transustanziazione, una nuova creazione plasmata ogni volta.
Nadia Fusini scrive : «La poesia nasce quando trova un corpo e una lingua in cui incarnarsi e Sylvia si fa tramite di questo processo».39 L’unicità della sua poesia non è data dall’incessante preoccupazione per la morte ma per la ricerca di una costante rinascita. Traduce crisi interiori in poesia, ognuna con una propria autonomia ed indipendenza capace di rigenerarsi e a rinascere, fino a quando non ci sarà un “io” a parlare ma “l’altra”. Nelle poesie prendono forma maschere dove lei ha immaginato, di volta in volta, la sua esistenza nascere.
Nelle poesie che scrive non possiamo rintracciare la sua voce perché esse nascono dall’immaginazione da sole, come i sogni, possono essere interpretate come delle incarnazioni poetiche.
«È un fatto reale: lei è stata abbandonata, è sola e nessuno la ama. Ciò che temeva si è avverato. Nella ripetizione di un’esperienza di perdita e di lutto (il marito, come il padre, la tradiscono; la madre è lontana, se si avvicina, la opprime) si impone il peso della condanna, la realtà della sventura40 Sylvia Plath credeva nell’amore, era ossessionata dall’idea dell’amore. Nadia Fusini ci dice che quello che temeva di più era la separazione, ma nel mondo non vince chi ama ma chi odia. È la separazione impossibile da ricucire con il padre, la separazione necessaria con la madre per vivere e l’ultima separazione con Ted che si insinuano dentro di lei. Lei che era una perfezionista non avrebbe potuto sopportare una separazione del genere.




31 Renato Oliva, La poesia di Sylvia Plath. «Studi Americani», 15, 1969, p. 343.
32 Ivi, p. 355.
33 Ivi, p. 340.
34 Sylvia Plath, Lady Lazarus e altre poesie, prefazione di Giovanni Giudici. Milano, Mondadori, 1976, p. 9.
35 Sylvia Plath, Le muse inquietanti, introduzione di Gabriella Morisco. Milano, Mondadori, 1985, p. 9.
36 Ivi, p. 12.
37 Ivi, p. 13.
38 Ivi, p. 18.
39 Sylvia Plath, Opere, a cura di Anna Ravano. Milano, Mondadori, 2002, p. XVI.

40 Ivi, p. XLI.

Questo brano è tratto dalla tesi:

«The girl who wanted to be God»: Sylvia Plath scritti editoriali tra letteratura e prodotti culturali

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Informazioni tesi

  Autore: Giorgia Giammaria
  Tipo: Laurea II ciclo (magistrale o specialistica)
  Anno: 2023-24
  Università: Università degli Studi di Roma La Sapienza
  Facoltà: Lettere e Filosofia
  Corso: Editoria e scrittura
  Relatore: Enrico Pio Ardolino
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 106

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