Crescita di Chlorella vulgaris in acque reflue da vinificazione: studio della cinetica di crescita e del contenuto in lipidi
Impiego delle microalghe in campo ambientale
Il settore ambientale è forse quello di maggior interesse per l’impiego di microalghe. Questi microorganismi hanno infatti numerosi pregi che vanno dalla capacità di “intrappolare” agenti tossici e inquinanti, alla capacità di produrre idrogeno o di essere utilizzate a scopi energetici (come nel caso della produzione di biodiesel). L’ostacolo maggiore al loro utilizzo è l’attuale costo di produzione, calcolato in circa 5 €/kg di biomassa secca (Norsker et al, 2010).
E’ ben noto come le microalghe siano in grado di contribuire alla riduzione dell’anidride carbonica atmosferica impiegandola come fonte di carbonio. Tra tutti gli organismi fotosintetici conosciuti le microalghe sono quelli con la più alta produttività e possono fissare maggiori quantità di anidride carbonica per unità di superficie rispetto a tutte le altre piante superiori. Inoltre sono in grado di adattarsi alle più diverse condizioni ambientali e il fatto che crescano in ambiente acquatico permette di applicare le comuni tecniche di controllo senza alcuna difficoltà, come il ripristino automatico dell’acqua perduta per evaporazione, e di conseguenza non sono soggette ad inibizione del processo fotosintetico per perdita di umidità (come, invece, può accadere in piante a foglia larga). Esistono in letteratura molti lavori che cercano di stabilire quali siano le condizioni migliori per ottenere un’alta capacità di fissazione della CO2 (Soletto et al., 2008; Lee et al., 2009). Oltre all’intensità luminosa e all’apporto di anidride carbonica, che non dovrà esser esageratamente alto per evitare un’acidificazione del terreno con conseguente arresto della crescita, la scelta del mezzo di coltura in laboratorio dipende da moltissime altre variabili (come ad esempio la geometria del fotobioreattore) La migliore cinetica di crescita e la miglior fissazione del gas in questione si ha in fotobioreattori tubulari verticali (VTPs), dove si massimizza la superficie di contatto tra gli organismi e la luce così come l’interfaccia gas/terreno (Stewart & Hessami, 2005).
Come moltissimi altri microorganismi, le microalghe sono in grado di accumulare metalli pesanti (zinco, cadmio, mercurio, piombo e nichel) nel loro citoplasma in modo da rimuoverli quasi completamente dal mezzo in cui sono immerse, questa loro abilità suscita l’idea di una loro applicazione nel trattamento di acque reflue industriali. Normalmente la captazione dei metalli è governata sia da processi di trasporto attivo sia da meccanismi passivi (Gupta et al., 2000), che dipendono dalla durata dell’esposizione al metallo e dal pH a cui l’alga è sottoposta (El-Naas et al., 2007).
Le microalghe sono anche in grado, tramite biofotolisi, di produrre idrogeno gassoso a partire da acqua e energia solare. Per entrare in competizione con fonti alternative di idrogeno, come ad esempio i processi di elettrolisi fotovoltaica, i processi di biofotolisi dovrebbero comportare un’efficienza di conversione dell’energia solare superiore al 10 % (Benemann, 2000). Per ottenere una così alta efficienza, oltre ad un intervento genetico sul microorganismo (finalizzato alla riduzione della clorofilla e degli altri pigmenti) si può incrementare la produzione di H2 con fermentazioni al buio. Il fatto che sia l’energia solare a dare l’input per la produzione di bioidrogeno rende questa applicazione facilmente adattabile alla produzione su larga scala, ma con un aumento dei tempi e dei costi.
Date le attuali condizioni economico-politiche e le sempre più drammatiche condizioni ambientali, ben presto insorgerà il bisogno di ricorrere a biocombustibili. La prima generazione di biocombustibili è derivata da prodotti vegetali come la canna da zucchero, il mais e la barbabietola da zucchero, la seconda generazione da derivati lignocellulosici e scarti forestali, mentre la terza propone biocombustibili derivanti da microalghe.
Questi ultimi vengono considerati tecnicamente vantaggiosi, ma quali sono i vantaggi nel creare biocombustibili a partire da microalghe?
• Il biodiesel si ottiene dai grassi, e alcune microalghe contengono una percentuale di lipidi compresa tra il 20-50 % del peso secco della biomassa; inoltre portano ad una produzione di olio tutto l’anno, quindi hanno produttività maggiore di tutte le altre piante dai cui semi si è in grado di ricavare olio, che seguono i cicli stagionali.
• Crescono in terreni liquidi, necessitando però di meno acqua rispetto alle altre colture vegetali (e questo è positivo per la produzione in paesi dove non è sempre garantito l’accesso a grandi quantitativi di acqua).
• Per quanto riguarda il mantenimento della qualità dell’aria, la biomassa algale effettua la biofissazione della CO2 emessa (1 kg di biomassa algale secca utilizza circa 1,83 kg di CO2)
• I nutrienti per le microalghe (in special modo nitrati e fosforo) possono esser ottenuti dal trattamento di effluenti organici delle industrie agro-alimentari (Zeiler et al., 1995).
• L’impiego di microalghe non necessita di erbicidi e/o pesticidi.
• Assenza parziale o totale della produzione di autoinibitori (Grobbelaar, 2000).
Il biodiesel è comunemente prodotto a partire da olii derivati da diversi semi (semi di colza, semi di girasole, palma, semi di soia, etc.) attraverso una reazione di transesterificazione con alcoli, soprattutto con metanolo.
Nel 1855 fu effettuata da Duffy e Patrick la prima transesterificazione di oli vegetali, e quaranta anni dopo Rudolf Diesel progettò e mise in funzione il primo motore diesel ad Augusta, in Germania. Negli anni Novanta la Francia ha lanciato la produzione di biodiesel tramite transesterificazione dell’olio di colza, e Renault e Peugeot hanno certificato dei motori da autocarro per l’utilizzo con questo biodiesel parziale.
Le microalghe potrebbero esser ritenute una validissima alternativa essendo i maggiori produttori di olio sul pianeta, di conseguenza il biodiesel prodotto da microalghe può essere superiore di 10-20 volte rispetto a quello ottenuto da semi di oleaginose o da oli vegetali (Gouveia & Oliveira, 2009).
Le proprietà chimico-fisiche del biodiesel di natura microalgale, come viscosità, densità, acidità, temperatura di ebollizione ecc., sono totalmente comparabili con quelle del diesel ed altrettanto valide.
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Crescita di Chlorella vulgaris in acque reflue da vinificazione: studio della cinetica di crescita e del contenuto in lipidi
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Informazioni tesi
Autore: | Giulia Fossa |
Tipo: | Laurea I ciclo (triennale) |
Anno: | 2015-16 |
Università: | Università degli studi di Genova |
Facoltà: | Scuola di Scienze Mediche e Farmaceutiche |
Corso: | Biotecnologie Mediche e Farmaceutiche |
Relatore: | Attilio Converti |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 79 |
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