Gli Stati Uniti e l'Europa negli anni della presidenza Nixon
Impegni americani con l’Europa a rischio: l’emendamento Mansfield
L’11 maggio 1971 Kissinger apprese senza alcun preavviso che il leader della maggioranza in Senato Mike Mansfield aveva rinnovato la proposta di ridurre le forze militari americane in Europa, fissando il limite massimo di 150.000 uomini, pari al cinquanta per cento delle forze esistenti, entro il 31 dicembre 1971. Come afferma Kissinger stesso, egli godeva del rispetto di tutti per la sua lealtà e integrità ed era sia uno dei più strenui oppositori alla guerra nel Sud-est asiatico, sia un isolazionista, desideroso di ridurre al minimo l’ingerenza americana al di fuori dei propri confini.
Era opinione diffusa in Senato, oltretutto, che fosse necessario forzare un po’ la mano agli alleati europei in quanto si stimava che non si sarebbero assunti le loro responsabilità in ambito militare finché non fossero stati costretti. Tuttavia il governo americano stava andando nella direzione di un rafforzamento in Europa in accordo con gli alleati, di conseguenza, se tale emendamento fosse passato, avrebbe messo in crisi l’intera Alleanza Atlantica. La decisione del governo di opporsi ad esso incontrò notevoli difficoltà: in primo luogo l’entusiasmo dei sostenitori, più preoccupati per il Vietnam che per l’Europa, e volenterosi di smantellare la struttura di una politica estera ritenuta basata sulla guerra fredda ed artefice delle tensioni internazionali. In secondo luogo la determinazione dei liberali, agguerrita nella richiesta di controllo del Congresso sull’amministrazione governativa.
E’ pur vero che a causa dell’eccessiva segretezza con la quale Nixon affrontava certe iniziative, il Congresso non era a conoscenza di tutte le mosse internazionali che stava compiendo il governo proprio in quel momento. La notizia dell’emendamento venne trasmessa infatti nella settimana in cui si stavano raggiungendo importanti accordi per il SALT, si stava organizzando il viaggio a Pechino, si cercava di risolvere la questione Berlino e si progettavano nuovi incontri con i nordvietnamiti. Il Congresso era sicuramente a conoscenza degli sforzi con l’Unione Sovietica per il SALT e per Berlino, nonché degli accordi con gli alleati NATO riguardo gli obiettivi comuni, perciò era evidente una forte presenza di oppositori alla politica governativa. Per evitare delle serie conseguenze politiche alcuni senatori si dichiararono disposti ad un compromesso che avrebbe consentito di evitare un ritiro immediato ma, Kissinger, lo rifiutò categoricamente per non creare fastidiosi precedenti. C’erano infatti numerosi emendamenti che attendevano solo la presa in esame in Senato, il che avrebbe comportato l’abbandono del seppur modesto rafforzamento della NATO. L’obiettivo era quello di allontanare ogni emendamento che avrebbe potuto scoraggiare gli alleati europei e mandare in fumo i negoziati con l’Unione Sovietica.
Non si voleva correre il rischio di «vietnamizzare l’Europa». Trovare sostegno in Senato era però difficile, così Kissinger decise di chiedere consiglio a Dean Acheson. Secondo il consigliere, egli era l’incarnazione del vero spirito americano, colui che «promosse la svolta dall’isolazionismo alla consapevolezza che, senza l’appoggio della potenza americana, il mondo non avrebbe avuto la pace». Quest’ultimo indicò a Kissinger gli uomini di cui si poteva fidare in Senato, ma suggerì, per sbrogliare la situazione, che Nixon riunisse immediatamente una schiera di ex segretari di Stato, segretari per la Difesa, alti commissari per la Germania, comandanti della NATO e capi di Stato Maggiore.
Questo gruppo avrebbe dovuto redigere una dichiarazione nella quale si annunciava l’appoggio al governo nel mantenere gli impegni presi con gli alleati. Nixon accettò il suggerimento e la riunione fu indetta per il 13 maggio. Nella Cabinet Room, Nixon si rivolse a questa «vecchia generazione» di politici (già artefici e sostenitori della politica estera di Truman) che comprendeva Acheson (segretario di Stato ai tempi di Truman), John Mc Cloy (alto commissario per la Germania dal 1949 al ’52), Henry Cabot Lodge (ambasciatore Stati Uniti presso l’ONU dal 1953 al ’60), Lucius Clay (comandante in capo delle forze americane in Europa dal 1947 al ’49), ecc..., ricordando come Truman, al momento del varo dell’Alleanza Atlantica, avesse avuto il Congresso repubblicano dalla sua parte, e che, solo grazie a un consenso rinnovato, sarebbe stato possibile trovare una via d’accordo col mondo comunista. Tutti i presenti furono d’accordo anche se vi era qualcuno disposto anche ad un compromesso. Acheson, in concordanza con Kissinger, rifiutò tale ipotesi e propose di provvedere subito ad una dichiarazione in appoggio al Presidente per evitare ripensamenti.
Le firme arrivarono già il 15 maggio, e la dichiarazione escluse qualsiasi compromesso. Nel frattempo erano giunte le dichiarazioni di Willy Brandt e di Manlio Brosio a sostegno di Nixon, i quali affermavano che una riduzione delle truppe stanziate nel vecchio continente «avrebbe dato l’impressione che gli Stati Uniti volessero abbandonare l’Europa». Il 16 maggio fu chiaro che la strategia di Acheson stava trovando consensi generalizzati. Infatti il New York Times pubblicò un editoriale intitolato «la follia del senatore Mansfield», nel quale si criticava l’emendamento reo di essere giunto in un momento poco opportuno e, se fosse stato introdotto, di poter compromettere «tutti i negoziati che gli Stati Uniti e i loro alleati stavano conducendo». C’è da dire che il 15 maggio era arrivato un altro inaspettato sostegno, quello di Breznev.
Durante un importante comizio nella provincia sovietica della Georgia, egli si dichiarò «pronto ad iniziare i negoziati per la riduzione bilaterale dei contingenti militari in Europa». Questo intervento, come afferma Kissinger, fu la «manna dal cielo» che i sostenitori più incerti dell’emendamento Mansfield e i suoi più accaniti avversari stavano aspettando (era anche difficile da spiegare, in quanto una riduzione di truppe Stati Uniti in Europa avrebbe posto l’Unione Sovietica in posizione di forza nei negoziati). Ora tutti loro si potevano unire con il pretesto che l’imminente apertura di negoziati avrebbe reso prematuro il ritiro di truppe.
Così la battaglia in Senato alla fine fu vinta dal governo e l’emendamento non trovò molti sostenitori (61 voti contrari contro 36 favorevoli). Venne prontamente indetta una riunione del consiglio dei ministri degli Esteri della NATO dove si affidò a Brosio il compito di indagare sulle reali intenzioni sovietiche circa i negoziati. L’Urss a sorpresa fece infatti un passo indietro, allontanando l’ipotesi di quei negoziati che Breznev stesso aveva annunciato, e rifiutandosi perfino di incontrare Brosio. Riepilogando, questo anomalo comportamento sovietico, che in un primo momento aveva di fatto aiutato il presidente Nixon in difficoltà, metteva in risalto senza ombra di dubbio l’incertezza di affrontare negoziati bilaterali con gli Stati Uniti esattamente come stava capitando in America. Kissinger intravedeva anche una rigidità nella politica sovietica incapace di portare a proprio favore un colpo di scena fulmineo, troppo legata alla volontà di attenersi alla linea d’azione progettata. Il successivo passo indietro viene invece spiegato così dal consigliere alla sicurezza nazionale: «Forse si erano pentiti di averci fatto un favore, consentendoci di vincere la battaglia in Senato».
Questo brano è tratto dalla tesi:
Gli Stati Uniti e l'Europa negli anni della presidenza Nixon
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Informazioni tesi
Autore: | Alessandro Antonini |
Tipo: | Laurea II ciclo (magistrale o specialistica) |
Anno: | 2010-11 |
Università: | Università degli Studi di Pisa |
Facoltà: | Scienze Politiche |
Corso: | Relazioni internazionali |
Relatore: | Marinella Neri Gualdesi |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 171 |
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