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Fatima Mernissi: analisi del linguaggio di una scrittrice marocchina.

Il velo: imposizione o simbolo di identità?

La parola araba ḥiğāb viene dalla radice trilittera ḥ-ğ-b che significa velare, coprire, rendere qualcuno invisibile. La Mernissi riporta che i Fuqahā' usano l’espressione “discesa del ḥiğāb”, riferendosi a due avvenimenti: da una parte la discesa del versetto coranico (33, 53) dal cielo, cioè la rivelazione fatta da Dio al Profeta, dall’altra la discesa di un ḥiğāb materiale, di stoffa, una cortina che il Profeta tirò tra sé e l’uomo che si trovava sulla soglia della sua camera nuziale.
Durante la vita di Mulammad non vi è nulla che testimoni l’uso del velo da parte delle sue numerose mogli. In genere si fa risalire la rivelazione circa il velo al versetto 33 della sura 53, per questo ricordato dalla stessa Mernissi nelle sue opere come “versetto dello ḥiğāb”.

“O voi che credete! Non entrate negli appartamenti del Profeta a meno che non siate stati autorizzati per un pranzo, e in questo caso aspettate che sia servito. Se siete stati invitati, entrate, ma ritiratevi non appena avete finito di mangiare, senza abbandonarvi a conversazioni familiari. Una simile negligenza dispiace al Profeta che ha ritegno a dirvelo. Dio, però, non ha ritegno a dire la verità. Quando andate a domandare qualcosa (alle spose del Profeta), fatelo dietro un ḥiğāb. Ciò è puro per i vostri cuori e per i loro.”

È importante ricordare, tuttavia, che in tale sura la parola ḥiğāb sta ad indicare una tenda, qualcosa che serve a separare un luogo da un altro; in questo caso, dunque, ci si allontana dalla figura del ḥiğāb presente nell’immaginario collettivo, cioè quella del velo che serve a coprire una donna. Quindi questa parola non designa nel Corano ciò che per i musulmani tradizionali rappresenta invece un codice d’abbigliamento femminile islamico; essa non sta ad indicare un oggetto, ma un’azione : quella di velarsi, di tirare una tenda, di creare un’opacità che impedisca uno sguardo indiscreto. Il passaggio della parola ḥiğāb dall’indicare un’azione all’indicare un oggetto avviene nel XIV secolo con il giurista Ibn Taymiyya, che fu il primo ad utilizzare la parola ḥiğāb per rappresentare un velo che distingue le donne musulmane dalle non musulmane : esso diventa segno distintivo dell’identità e dell’appartenenza. Ritornando alla sura, questa è un’esortazione all’educazione che si deve avere in casa del Profeta. Vi è un ḥadd tramandato dal testimone Anas, discepolo e seguace di Mulammad, in cui si ricorda che, nel giorno delle nozze tra il Profeta e Zaynab, tutta a la comunità musulmana di Medina fosse stata invitata al pranzo nuziale.
Tuttavia, una volta terminato il pranzo, tre invitati tardarono ad abbandonare la casa, costringendo Mulammad a tirare una cortina (sitr) che dividesse la stanza in una parte destinata ai tre ospiti particolarmente invadenti e un’altra riservata alle attenzioni di Zaynab verso il marito. È quindi una circostanza particolare a rendere necessaria la separazione fra gli estranei alla casa di Mulammad e le donne. […]

Questo brano è tratto dalla tesi:

Fatima Mernissi: analisi del linguaggio di una scrittrice marocchina.

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Informazioni tesi

  Autore: Cira Ponzo
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2007-08
  Università: Università degli Studi di Napoli "L'Orientale"
  Facoltà: Lettere e Filosofia
  Corso: Lingue e culture moderne
  Relatore: Rosanna Budelli
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 105

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