Non è un paese per buoni - Figurazioni del nemico nel cinema americano dopo l'11 Settembre
Il torture-porn
La revisione del new horror anni Settanta non si limita solamente al fenomeno remake appena analizzato ma si palesa in un vero e proprio filone di pellicole imparentate con i film di Craven e Hooper dei quali vengono proposte una serie nutritissima di varianti e rifacimenti più o meno dichiarati. La differenza più evidente con gli originali, oltre all’annullamento o all’inversione delle metafore politiche originarie, consiste nella copiosa quantità di gore che gli horror moderni possono permettersi di mostrare, inimmaginabile qualche decennio fa. Come nota Roy Menarini, fino al decennio scorso “l’horror sembrava depotenziato di qualsiasi energia critica, impegnato com’era a studiare se’ stesso e a decostruire i propri meccanismi in senso postmoderno” Negli anni 2000 è tornato di prepotenza lo splatter con una ferocia mai vista prima, con il filone torture porn, “cruda serie di film che negli anni Settanta sarebbero stati confinati a un consumo radicale di nicchia e ora invece fanno bella mostra nelle sale di prima visione”. Il motivo per cui i limiti dei visibile si siano nettamente allargati va sicuramente rintracciato. Dopo l’11 settembre e la guerra in Iraq non era possibile immaginare un cinema horror che non prendesse coscienza dell’avvento della “nuova barbarie”. Il ricorso alla tortura – si veda Abu Graib - e le numerose notizie di rapimenti ed esecuzioni da parte di terroristi Medio Orientali hanno lasciato una traccia evidente sulla produzione orrorifica dell’ultimo decennio. C’è il bisogno pressante di esorcizzare questi orrori mostrando quello che i media ufficiali hanno censurato. Se l’horror di Hooper, Craven e Romero era quindi un riflesso del Vietnam e dello scandalo Watergate, il torture porn attuale è un chiaro prodotto delle conseguenze dell’11 settembre come la guerra in Iraq.
Una delle differenze principali con gli esponenti del new horror è che se allora i “mostri” si nascondevano negli angoli più bui e nascosti del suolo americano, oggi la fonte di minaccia è dislocata fuori dai confini americani. Rimane invariato quindi il topos del gruppo di giovani che si avventura incautamente in una landa ostile, ma questo landa ostile è oggi l’America latina. Le vittime non sono più Hippies e contestatori ma giovani benestanti.
In Turistas (Id, John Stockwell, 2007), un gruppo di turisti ricchi in vacanza in Brasile diviene vittima di un folle dottore che espianta organi ai ricchi occidentali per donarli ai bambini poveri del luogo.
In Borderland (Id, Zev Behrman, 2007) e Rovine (Ruins, Carter Smith, 2008 ), invece, la meta di giovani avventati in cerca di facile divertimento è il Messico. In entrambi i casi la vacanza diventerà un incubo a causa di gente del luogo dedita a riti satanici e sacrifici. Nel film di Smith sono addirittura le piante di un sito di rovine Maya ad uccidere.
Un film che ha invece saputo riflettere in maniera un po’ più elaborata sul rapporto tra l’occidente e il suo “nemico” è Hostel di Eli Roth (Id, 2005), seguito dal suo sequel (Hostel 2, Eli Roth, 2007). Nel primo capitolo due compagni di college americani, Paxton e Josh, viaggiano per la vecchia Europa nella speranza di poter provare eccitanti esperienze sessuali. Durante il viaggio conoscono Oli, che li convince a recarsi in un ostello slovacco, vicino Bratislava, ritenuto una sorta di eden del sesso libertino popolato da donne dell’Est di facili costumi. In effetti sul posto i ragazzi hanno subito facilità a stringere amicizia con alcune ragazze del posto, ma non si accorgono della trappola in cui stanno per cadere. Oli sparisce, mentre Josh viene rapito, torturato e ucciso da un uomo d’affari olandese. Anche Paxton viene catturato e torturato, ma durante la tortura il suo carnefice scivola in una pozza di sangue e il ragazzo riesce a liberarsi e ad ucciderlo. Inizia così la sua fuga, durante la quale uccide altre tre torturatori e libera un’altra ragazza prigioniera. Si viene nel frattempo a scoprire che esiste una vera e propria organizzazione clandestina che permette a ricchi uomini d’affari occidentali di suppliziare e uccidere ignari e sprovveduti turisti, previo il pagamento di ingenti somme. Il film si conclude con la vendetta di Paxton che riesce ad uccidere tutti i torturatori, l’ultimo dei quali è l’olandese killer del suo amico, che Paxton sgozza in un bagno della stazione di Vienna.
Hostel è senza dubbio il più esemplare rappresentante del torture porn. Il film di Eli Roth, può essere letto in vari modi, tutti quanti validi: la violenza delle scene di tortura del film, in apparenza fine a se stessa e al puro piacere morboso degli amanti del genere, è in realtà gratuita tanto quanto le violenze perpetrare nelle carceri irachene dagli americani. Secondo Matteo Bittanti infatti, “Hostel è in fondo l’adattamento cinematografico di Abu Ghraib, il carcere-mattatoio in Iraq”.
Ma l’elemento di maggior interesse del film è rappresentato dall’immagine dei torturatori e dal loro rapporto con i torturati. In fondo vittime e carnefici non sono poi tanto dissimili: le vittime sono studenti americani dipinti come sprovveduti e ignoranti che si recano in Slovacchia con la mentalità della conquista “sessuale” di una parte di mondo che considerano inferiore a loro e che quindi credono di poter sottomettere – le ragazze dell’Est facili – per poter sfogare le loro fantasie sessuali represse, ma si ritrovano essi stessi sottomessi da ricchi occidentali repressi appartenenti alla loro stessa cultura. Non a caso il film usa le soggettive giocando con l’identificazione in modo da mettere in crisi l’orientamento dello spettatore, che tende a identificarsi ora col torturato, ora con il torturatore. Nel finale del film la stessa vittima si fa carnefice uccidendo con crudeltà tutti i criminali e trasformandosi nel loro riflesso. Come nota Gregory Burris Roth gioca con questa doppiezza per tutto il film. “Quando Paxton guarda il killer americano, egli forse realizza che la persona che sta guardando è in realtà una versione leggermente più vecchia e più repressa di se’ stesso.
Anche qui come in A History of Violence abbiamo a che fare con un lato b violento che emerge nelle situazioni di necessità da parte dei più insospettabili. Quando Paxton uccide l’olandese nel finale gli taglia la gola esattamente come l’uomo aveva ucciso l’amico Josh. “Persino Paxton, studente di legge e autoproclamatosi vegetariano, è capace di tali atrocità”.
L’immagine del nemico che fornisce Hostel è chiaramente ben diversa da quella che mettono in scena film apparentemente simili come Rovine, Borderland e Turistas. In quest’ultimi, il plot si sviluppa in modo simile a Hostel, con un gruppo di giovani che va in vacanza in un luogo fuori dai confini americani in cerca di avventura ma trova solo comunità locali in cui dominano sette di assassini, spietati commercianti di organi e arretrati e ostili indigeni. Che siano il Messico o il Brasile l’orrore si insedia in luoghi sconosciuti e “altri”, lontani da noi, e i “mostri” sono selvaggi o assassini del luogo. In Hostel, nonostante l’ambientazione dell’est europeo, i nemici sono americani o occidentali, che torturano e uccidono altri occidentali. [...]
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Non è un paese per buoni - Figurazioni del nemico nel cinema americano dopo l'11 Settembre
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Informazioni tesi
Autore: | Francesco Pognante |
Tipo: | Laurea II ciclo (magistrale o specialistica) |
Anno: | 2010-11 |
Università: | Università degli Studi di Torino |
Facoltà: | Lettere e Filosofia |
Corso: | Editoria, comunicazione multimediale e giornalismo |
Relatore: | Silvio Alovisio |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 168 |
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