La ''Drammaturgia Sociale'' di Giuliano Scabia

Discutere di teatro è parlare di un già stato. Il teatro è qualcosa di vitale che difficilmente può recuperarsi a parole, tanto più un teatro costituito di eventi unici e di per sé irripetibili come il primo teatro a partecipazione di Scabia. Tuttavia, da sempre, Scabia stesso ha provveduto a seminare tracce, a lasciare materiali, ad alimentare ricordi. Ecco perché oggi, a circa quarant’anni da quel periodo denso, è possibile mettere in luce alcuni degli aspetti che hanno caratterizzato quel momento e che tutt’ora possono essere valida materia di riflessione. La ricerca attorno a quelle tracce ha messo in luce innanzitutto il ruolo fondamentale che riveste l’idea di partecipazione. Tutto, di quel teatro, sembra ruotare attorno al concetto di partecipazione ed è proprio per questo motivo che dedicheremo gran parte del presente studio alla sua trattazione. La partecipazione è il segno di una scelta di fondo che Scabia decide di seguire fin dagli esordi. Essa si inserisce in quella che De Marinis chiama “linea utopica della ricerca teatrale contemporanea”. (DE MARINIS, M., 1983, p. 106.) Di questo intendiamo qui discutere. Utopico è quel teatro che si mette allo specchio e si interroga su se stesso fino a chiedersi cosa è in fondo il teatro, fino a porre ai suoi stessi osservatori qualche dubbio. In una memoria che risale al 1975, nell’ambito del “Laboratorio Internazionale del Teatro Vagante” promosso dalla Biennale di Venezia un intervento tra il pubblico chiede: “Vorrei cercare di capire. In tutto questo il teatro dove sta?” Ciò significa che esistono abitudini radicate, precisi orizzonti d’attesa e che spesso, anche chi si occupa di teatro pone ben precisi paletti.