Donne e uomini Moriscos nella Spagna del lungo Cinquecento. Un profilo storico-culturale
Il ruolo delle donne nella preservazione delle tradizioni culturali dei moriscos
Nel corso del XVI secolo, le comunità dei moriscos disseminate nei regni di Spagna hanno cercato di mettere in atto varie strategie volte a preservare la propria sopravvivenza, intesa tanto come pura volontà di mantenere in vita i singoli e le loro famiglie quanto come tutela della propria cultura. Termine qui utilizzato in modo specifico, volendone escludere la sfumatura religiosa, dal momento che, come si è potuto vedere fino a questo momento, e come ancora si sottolineerà nelle prossime pagine, il problema principale della convivenza tra moriscos e cristiani, deriva dalla convinzione di questi ultimi che cultura morisca e religione islamica siano per forza indissolubilmente legate.
L’excursus sulle strategie e il ruolo delle donne nel mantenimento delle tradizioni intende restituire, sulla base della bibliografia di riferimento, un quadro più articolato e calzante alla complessità del fenomeno in oggetto. Del resto, una persona convertita, forzatamente o a maggior ragione volontariamente, avrebbe potuto comunque mantenere le abitudini assimilate durante l’infanzia. Per esempio, un morisco o una morisca convertiti avrebbero potuto mantenere le abitudini relative alla pulizia personale o al modo di cucinare e nonostante questo, accogliere la nuova religione “di stato”. Invece, per gli inquisitori, gli indicatori culturali tesero a trasformarsi in indizio a carico dei neofiti, alimentando attraverso una pluralità di traiettorie lo spettro dell'apostasia.
A fronte di questo quadro, le donne moriscas hanno svolto un ruolo significativo nella preservazione della propria cultura e della loro religione, nel privato delle proprie case, intessendo reti di comunicazione clandestine, ricoprendo il ruolo di capo famiglia laddove la maggior parte degli uomini veniva incarcerata o fatta schiava, partecipando a celebrazioni religiose prive di alcuni passaggi che avrebbero attirato troppo l’attenzione, insegnando ai bambini l’arte e la cucina, le danze e i canti, e fungendo da sprone verso gli uomini, ancora liberi, che segretamente ordivano trame di ribellione. Il ruolo delle donne è stato in effetti essenziale, come osserva Bernard Vincent ne “Los Moriscos y la Inquisición”: “Nel perseguitarle (le donne, ndr) l’Inquisizione indebolisce la ribellione e, di conseguenza, gioca un ruolo politico capitale” 101
Ma il loro non è solo un contributo affettivo, psicologico ed emotivo, come sottolinea Mary Elizabeth Perry102. Tante donne hanno preso parte attiva ai combattimenti legati alla ribellione dell’Alpujarra scoppiata il 24 dicembre 1568, ricoprendo anche il ruolo di mediatrici tra le parti alleate. Un esempio è rappresentato dalla figura di Zarçamodonia che appare in un resoconto di un soldato cristiano della battaglia di Galera. Ginés Pérez de Hita103 riporta di una donna dal corpo robusto, dalle gambe e dalle braccia forti, che non solo prese parte ai combattimenti, impugnando la spada e uccidendo i nemici, ma agì anche come intermediaria tra i soldati moriscos e il contingente turco giunto in supporto, quando tra i due schieramenti iniziarono a scatenarsi attacchi anche fisici104.
Come osserva Elizabeth Perry, certo, non si può presumere che tutte le donne fossero di costituzione tanto robusta da poter combattere armate di spada, come Zarçamodonia, né che tutte ispirassero lo stesso rispetto e venissero ugualmente considerate come mediatrici, ma una testimonianza che ci giunge da un cristiano che nel gennaio del 1569 assistette a una battaglia vicino Almería, racconta di uno scontro che lascia sul campo, per mano cristiana, tra le 1.500 e le 2.000 persone “e tra loro alcune donne, perché combatterono come uomini, nonostante non avessero altre armi oltre a pietre e spiedi per arrostire”105.
La partecipazione delle donne alla sollevazione delle Alpujarras rivela dunque una presa di posizione rispetto alla convivenza con la comunità cristiana e alle politiche assimilatrici delle autorità: non si fecero intimidire dalla certezza della morte o della schiavitù, ma si batterono. con le armi di fortuna a loro disposizione. Come si è già sottolineato, la storia delle donne moriscas racconta di una minoranza nella minoranza: osservate sempre attraverso il punto di vista dei vincitori e degli uomini, difficilmente la loro voce ci giunge in maniera diretta. Nella bibliografia di riferimento di sottolinea come anche i rapporti redatti dall’Inquisizione, in quei casi in cui a essere sotto processo era una donna, risultino scritti da uomini, che fossero gli inquisitori stessi a trascrivere le testimonianze o che fossero gli interpreti chiamati per aiutarle durante gli interrogatori106.
La questione degli interpreti merita l’apertura di una parentesi: la maggior parte della popolazione femminile morisca era analfabeta. Non solo, ma era anche incapace di parlare in spagnolo. Nel loro insieme, le donne costituivano in effetti la fascia di popolazione meno alfabetizzata e meno istruita107 e mantenevano un legame più stretto con la lingua araba. Questo succedeva principalmente perché, avendo meno parte nelle attività commerciali e avendo meno contatti con i cristianos viejos, le occasioni di parlare castigliano si riducevano notevolmente, limitandone sostanzialmente l’apprendimento e favorendo il mantenimento della lingua araba, tanto nel parlato quanto, nell‘eventualità, nello scritto.108 Le difficoltà nel ritrovare le loro voci in maniera diretta derivano pertanto proprio da questo primo scoglio nella comunicazione.
Pur con questi limiti, la bibliografia di riferimento presenta uno spettro di testimonianze che rivelano il ruolo ricoperto dalle donne nella sopravvivenza della cultura morisca. A partire da quattro esempi di cronaca che hanno come protagoniste donne moriscas, che consentono di approfondire in filigrana le strategie messe in atto più o meno consapevolmente. Grazie a queste testimonianze è possibile riconoscere il ruolo che le donne hanno avuto nel preservare le preghiere arabe, la cultura della preparazione dei cibi, le tradizioni legate ai riti di passaggio (nascita, matrimonio e morte), i rituali della pulizia del corpo, le danze e le musiche109.
Queste donne si chiamano Leonor Hernandez, Fatima detta Ana, Madalena indicata solo come “Morisca” e Maria de Aguilar, una morisca convertita e sposata con un marito musulmano. Il primo caso riguarda Leonor Hernández, una donna sui cinquant’anni che, si legge in un rapporto dell’Inquisizione del 1592, viene denunciata dal figlio Juan Martín, interrogato dopo che gli fu era stato rinvenuto addosso un foglio con delle scritte in arabo tratte dal Corano. Juan Martín testimoniò di aver preso questo foglio da un moro per curare delle malattie, infatti, le iscrizioni dovevano fungere da preghiera e in un qualche modo da talismano. Tale testimonianza aprì tuttavia la strada verso un'indagine che si estese agli altri parenti. In particolare, portò alla denuncia della madre, accusata dal suo stesso figlio di essere stata lei a insegnare a lui e ai suoi fratelli la lingua araba, nonostante fosse stata convertita al cristianesimo110.
Come segnala Elizabeth Perry, dopo l’arresto di Leonor e la sua condanna a vita in prigione, non sappiamo cosa ne sia stato di lei: spesso l’Inquisizione non aveva i mezzi per seguire le vicissitudini delle persone che condannava. Potrebbe essere morta poco dopo l’incarcerazione, potrebbe essere stata liberata e aver poi condotto una vita tranquilla. Non sappiamo se abbia continuato a professare la propria fede. Possiamo però presumere che l’arresto e il conseguente auto da fe111 abbiano in qualche modo separato la sua famiglia, divisa dai tradimenti delle confessioni ottenute sotto tortura.
La vicenda di Leonor suggerisce diverse letture rispetto al clima dell’epoca. Sono anni in cui spesso le autorità cristiane puntano la loro attenzione proprio sulle donne, questo perché, come già sottolineato, era frequente che gli uomini fossero assenti, o perché lontani per lavoro oppure perché già incarcerati o resi schiavi o perché fuggiti o ancora perché radunati sulle montagne impegnati nell’organizzazione di nuove rivolte112.
Le donne acquisivano il ruolo di capo famiglia e diventavano le nuove vittime delle indagini del tribunale dell’Inquisizione. In tempi difficili come quelli vissuti dai Moriscos in Spagna nel lungo ‘500, anche i ruoli di genere venivano pertanto riadattati per adeguarsi alle nuove esigenze. La trasformazione dei ruoli tradizionali avvenne bilateralmente: se per i moriscos diventò necessario che le donne ricoprissero ruoli di capo famiglia, o che prendessero parte attiva alle battaglie, da parte dei cristiani risultava comodo svilire i moriscos di genere maschile, accusandoli di essere effemminati e presupponendo che fossero le loro stesse pratiche legate, per esempio al rituale del bagno, a infiacchirli, portandoli alla sconfitta.113 Ecco che quindi la definizione di maschile e femminile viene da ambo le parti piegata alle proprie esigenze.
Le moriscas ebbero sempre un’importante presenza durante le celebrazioni delle nascite, dei matrimoni e dei funerali: come regola generale, in tempi di pace, esisteva una stretta distribuzione dei sessi, nei rituali che accompagnano questi avvenimenti, per esempio era il padre che dava il nome al figlio neonato ed erano le donne che preparavano la futura sposa prima delle nozze. Tuttavia, come sottolinea Elizabeth Perry, durante i decenni della persecuzione della cultura morisca, attraverso il loro crescente protagonismo le donne subentrarono, ripensando e adattando le loro tradizioni. Mantennero altresì le posizioni previste dalla tradizione: sono loro a occuparsi di lavare via il battesimo dai neonati, a preparare la sposa e a occuparsi del corpo dei defunti. Sono loro a seguire le tradizioni apprese fin dalla più tenera età114. Le autorità cristiane ne sono consapevoli, e per questo esigono, per esempio, che le matrone che assistono ai parti siano cristianas viejas. Vengono invece perseguite le amortajadoras, le donne che assistono ai funerali, perché consapevoli che avrebbero usato le pratiche islamiche e non quelle previste dal cristianesimo115.
Gli incontri clandestini si rivelarono il momento migliore per poter stringere i rapporti tra le donne della comunità e funsero da occasioni di socializzazione molto importanti per mantenere una rete di sostegno e sicurezza. Furono molte le valenciane di Carlet o di Benimodo accento che si riunirono sulle montagne o in villaggi remoti per praticare le loro danze e i loro canti: come ricorda Bernard Vincent in una visita inquisitoriale nella regione di Ronda e di Malaga. nel 1560, vengono multate decine di donne per aver partecipato a festeggiamenti con leilas e zambras.116
Questo nuovo ruolo di capo famiglia veniva primariamente svolto tra le mura e nell’intimità delle loro case, che assurgono così anche a luoghi sicuri dove praticare la propria religione e la propria cultura, al riparo da occhi indiscreti.
[…]
101 VINCENT, Bernard. "Los Moriscos y la Inquisición (1563-1571)". En: Chronica Nova. 1982, vol. 13, p 203
102 PERRY, Mary Elizabeth. “The Handless Maiden. Moriscos and the politics of religion in early modern Spain”. Princeton University Press, 2007, pp. 88-108.
103 PÉREZ DE HITA, Ginés. “Guerras civiles de Granada”.
104 Elizabeth PERRY, “The Handless Maiden”, p. 88-90
105 Elizabeth PERRY, “The Handless Maiden. Moriscos and the politics of religion in early modern Spain”. Princeton University Press, 2007, p. 88.
106 Elizabeth PERRY, “Between Muslim and Christian Worlds: Moriscas and Identity in Early Modern Spain” pp. 178
107 Eugenio CISCAR PALLARÉS, “Cruz o firma en la práctica procesal” pp. 58-59
108 La capacità di firmare e, di conseguenza, una certa alfabetizzazione, si riscontra principalmente nelle donne delle classi sociali più alte; tra di loro, le più anziane che si trovassero a fare una firma poco sicura, che indicasse una scarsa padronanza dello scritto, mostravano comunque un livello culturale più alto. Tra le mogli dei mercanti, dei commercianti, dei notai, dei medici e a maggior ragione degli artigiani e degli agricoltori, la maggior parte, se deve firmare, apporta una X. Id.
109 Elizabeth PERRY, “Between Muslim and Christian Worlds: Moriscas and Identity in Early Modern Spain”, pp. 177-178
110 Elizabeth PERRY, “Between Muslim and Christian Worlds: Moriscas and Identity in Early Modern Spain” pp. 179-181
111 Gli auto da fe erano le cerimonie con cui gli Inquisitori punivano coloro ritenuti colpevoli: prevedevano una processione pubblica estremamente umiliante in cui veniva dichiarato il crimine per cui si era stati condannati. Quando il condannato non fosse riuscito ad arrivare vivo alla cerimonia di auto da fe, non si rinunciava al proclamarne i crimini, atto che quindi non permetteva ai suoi familiari rimasti di mantenere un certo riserbo, ma che li proiettava alla pubblica gogna.
112 Elizabeth PERRY, “Between Muslim and Christian Worlds: Moriscas and Identity in Early Modern Spain” pp. 177-178
113 Elizabeth PERRY, “Between Muslim and Christian Worlds”, p. 187 in PULGAR citato in L. P. HARVEY, “Islamic Spain 1250-1500” e J. J. LOZANO “Judíos, Moriscos y Conversos”
114 Bernard VINCENT, “Las mujeres moriscas”
115 Ivi, p. 546
116 Idem
Questo brano è tratto dalla tesi:
Donne e uomini Moriscos nella Spagna del lungo Cinquecento. Un profilo storico-culturale
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Informazioni tesi
Autore: | Ilaria Veronica Tomasello |
Tipo: | Laurea I ciclo (triennale) |
Anno: | 2022-23 |
Università: | Università degli Studi di Milano |
Facoltà: | Lingue e Letterature Straniere |
Corso: | Lingue e letterature straniere |
Relatore: | Maria Matilde Benzoni |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 63 |
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