La violenza agita sulle donne. Studio del fenomeno dal punto di vista dell'uomo maltrattante
Il ruolo dell’educatore nel contrasto alla violenza sulle donne
A questo punto della trattazione, trovo opportuno elencare le pratiche rieducative e riabilitative che un educatore può utilizzare per aiutare l’uomo maltrattante ad uscire dalla violenza. Come prima cosa, però riporto alcune caratteristiche generali dell’educatore tra cui quella dell’empatia e del non giudizio: infatti, ponendoci nella condizione di volere riabilitare un uomo maltrattante, l’educatore deve abbandonare totalmente il proprio parere, applicando un “decentramento cognitivo”, al fine di entrare nella logica del paziente che gli si presenta davanti. Occulto, (2007), si esprime in questo modo in merito agli interventi dell’educatore:” l’educatore è un attivatore di relazioni sociali non soltanto a favore delle categorie più deboli e bisognose, ma orientate anche a mobilitare le risorse ufficiali necessarie per il riscatto sociale.” Quando si vuole parlare di un “progetto educativo”, in generale è importante stilare alcune linee guida che possono essere applicate in generale alle situazioni educative e che riporto qui di seguito:
• Preparazione del progetto e relativo programma di intervento: riguarda la raccolta di informazioni conoscitive, la formulazione di ipotesi di intervento programmato e soluzione auspicabile, individuazione di eventuali risorse dei soggetti, contesti e partner che potrebbero essere coinvolti e l’elaborazione di un programma definito a livello contenutistico e metodologico.
• Formulazione delle finalità funzionali al percorso formativo: vengono tracciati gli obbiettivi generali concernenti quelli derivanti da progetti della struttura in cui si lavora, riformulati alla luce dell’utenza
• Intervento educativo: è una fase centrale e prevede di elaborare gli interventi che si intende attuare, osservare le procedure operative dei soggetti e dei partner coinvolti in una collaborazione
• Conoscenza dell’utenza: si tratta di risalire al profilo dell’utente che si sta studiando o ad una determinata situazione, al fine di captare tutti gli elementi centrali che si possono riferire al soggetto indagato
• Scelta degli strumenti di lavoro: si tratta di selezionare accuratamente i mezzi adeguati al fine di promuovere determinati interventi
• Valutazione e autovalutazione: in quest’ultima fase, vengono valutati l’efficacia delle attività realizzate, lo stato di benessere dell’utenza a fine trattamento.
Dopo aver indicato delle linee guida a livello pratico, adeguate alla maggior parte delle situazioni rieducative, vorrei concentrarmi espressamente sulle strategie finalizzate a combattere la violenza sulle donne. Secondo Vasari e Andrea Spada(2015), solo di recente si è iniziato a parlare di mettere in pratica un intervento psicologico-riabilitativo delle persone che agiscono violenza, in quanto nei decenni precedenti ci si dedicava solo alla donna che chiedeva aiuto. L’obbiettivo di chi lavora con gli uomini maltrattanti è quello di “mostrare” la propria violenza a coloro che la stanno agendo, portando i maltrattanti a guardare la cosa in modo diverso, evitandogli di farli cadere in un pensiero “auto giustificativo”, come spesso accade quando si vuole prendere in considerazione il punto di vista dell’offender. Secondo gli studiosi, ciò che dovrebbe fare l’educatore in questo caso, sarebbe fornire all’uomo dei metodi pratici per uscire da quello che viene chiamato “analfabetismo emotivo”, ovvero l’incapacità di riconoscere le proprie emozioni e quindi agire in un modo piuttosto che in un altro; l’uomo, analfabeta emotivo, fatica a instaurare una relazione di comunicazione affettiva e per questo motivo si rapporta nell’unico modo che conosce, ovvero con la violenza; il compito dell’educatore, appare in questo caso quello di fornirgli altri mezzi per spiegare il proprio punto di vista. Tra i vari approcci psicologici, osservando tra le varie letterature, si è potuto constatare quello cognitivo- comportamentale come quello più adeguato a perseguire il trattamento del maltrattante. I comportamentisti indicano il disturbo di personalità come una modalità appresa e il comportamento verrà modificato solo tramite l’utilizzo di rinforzi positivi o negativi, premi e punizioni. Una parte di questi programmi, appunto, è orientata a far cessare il comportamento violento, annoverando l’ipotesi che il maltrattante abbia il dovere di imparare a gestire il conflitto interiore e ad utilizzare metodi alternativi di sfogo della rabbia. Tra i metodi diretti possiamo ricordare punizioni, sovracorrezioni
e tecniche di autocontrollo. Questi metodi sembrano avere un ottimo risultato in ambiente protetti quali possono essere gli ambienti terapeutici, ma è più difficile proteggere i soggetti, quando essi non sono in questi ambienti; per questo motivo, risulta necessario offrire ai soggetti una sorta di “compito a casa”, in riferimento alla loro violenza, per migliorare sempre di più e abbandonare tali comportamenti.
Una soluzione al contrasto della violenza sulle donne, ce la può offrire Rogers (1961), con la sua formula del “centrarsi sull’uomo focalizzandosi sulla violenza” che riporto di seguito:
• Centrarsi sull’uomo: comporta la necessità di comprendere il contesto di valori, significati e relazioni entro cui si innesta veramente la violenza, partendo dal presupposto di inserirsi in un clima di accoglienza e assolutamente non giudicante
• Focalizzarsi sulla violenza: parla della necessità di non abbandonare la rotta del contrasto di ogni tipologia di violenza o comportamento abusivo, evitando di accettare determinate situazioni
I 2 punti centrali appena descritti, sono stati precedentemente ripresi dal modello di Miller e Rollnick che si struttura nei seguenti punti:
• Esprimere empatia
• Aggirare le resistenze
• Trasmettere messaggi di contrasto all’uso della violenza
• Sostenere l’autoefficacia
• Aumentare la frattura interiore
A questo proposito, vorrei parlare della motivazione al cambiamento del maltrattante, tenendo conto del modello precedentemente descritto. Si spiega che la motivazione, è in primis un fenomeno altamente instabile e variabile, difficile, soprattutto da mantenere nel tempo anche se essa è decisamente forte. Ricordiamo due tipi di motivazione: intrinseche (es. io uomo desidero cambiare per diventare migliore) ed estrinseche (es.
se io uomo non riesco a cambiare la mia compagna mi denuncerà). La motivazione, dipende moltissimo dal tipo di relazione stabilita rispetto a differenti comportamenti; il cambiamento, a questo proposito, appare più attuabile se è voluto sia da fattori esterni sia da fattori interni della persona. Nel modello di Miller e Rollnick, ci sono 3 elementi essenziali, importanti per il cambiamento che agiscono in modo circolare e uno necessario all’altro:
• Frattura interiore: la percezione delle contraddizioni esistenti tra la propria condizione attuale e valori, aspirazioni e mete ideali (Festinger, 1957)
• Autoefficacia: si tratta della fiducia nella capacità di attuare un comportamento e di raggiungere uno specifico obbiettivo in un tempo determinato (Bandura,1997)
• Disponibilità al cambiamento: il grado di riconoscimento del problema, di volontà di modificare un comportamento o di prendere una decisione (Prochaska e Diclemente, 1986).
Questo brano è tratto dalla tesi:
La violenza agita sulle donne. Studio del fenomeno dal punto di vista dell'uomo maltrattante
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Informazioni tesi
Autore: | Silvia Berti |
Tipo: | Laurea I ciclo (triennale) |
Anno: | 2019-20 |
Università: | Università degli Studi di Bologna |
Facoltà: | Scienze dell'Educazione |
Corso: | Educatore sociale e culturale |
Relatore: | Giacomo Mancini |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 71 |
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