Il neoliberismo nelle imprese pubbliche: il caso F.s.
Il ruolo chiave della politica nel processo neoliberista
F.S. è una società gestita dallo Stato (come ad esempio la RAI) ed interagisce da sempre con la vita sociale del paese; spesso si è trovata, suo malgrado, protagonista dell’arena politica alternando momenti di sviluppo a periodi di crisi. La politica ha gestito queste imprese spesso per raggiungere obiettivi di consenso del governo di turno (ad esempio concedendo benefit ai dipendenti in occasione di consultazioni elettorali) ma senza mai occuparsi di renderle efficienti nell’erogare i servizi a cui sono demandate.
Durante il primo conflitto mondiale parteciparono in maniera importante allo sforzo bellico fornendo i mezzi necessari a garantire sia il pronto intervento delle truppe al fronte sia il continuo approvvigionamento di materiali e vettovaglie all’esercito. Dopo la guerra gli scioperi del 1920 degli agenti ferroviari e di altri impiegati pubblici, come i postelegrafonici, rappresentarono uno dei periodi di maggiore tensione di quel periodo di lotte sociali che culminò con l’occupazione di numerose fabbriche nell’autunno dello stesso anno.
In particolare la proclamazione dello sciopero fu la causa indiretta di una spaccatura interna al movimento dei Fasci di combattimento, che da quel momento intrapresero un nuovo percorso politico. Lo stesso Mussolini inizialmente si era schierato dalla parte dei lavoratori ma, al momento della proclamazione dell’agitazione, si mostrò contrario all’astensione dal lavoro nei pubblici servizi. Non tutti condivisero questa posizione e due esponenti schieratisi dalla parte dei ferrovieri furono costretti ad abbandonare il movimento. Infatti, pochi giorni dopo l’inizio di questo sciopero, i Fasci cominciarono la loro svolta a destra lasciandosi alle spalle ogni tentativo di appoggiare le lotte proletarie e di rivolgendosi direttamente al ceto medio.
I disservizi nazionali le cui cause erano fatte risalire, tramite abile propaganda, ai frequenti scioperi del personale metteva in luce l’incapacità dello Stato nel frenare le rivolte sociali ed erigeva i fascisti come unica forza in grado di difendere gli interessi nazionali. Le forti critiche espresse dai fasci sulla gestione dell’azienda riscuotevano forte successo nella classe media esasperata dai numerosi disservizi. Nello stesso anno iniziarono le azioni di boicottaggio del trasporto di armi destinate agli eserciti in guerra contro la Russia. Gli ultimi governi liberali di Nitti, Giolitti e Bonomi furono costretti ad applicare molte concessioni ai ferrovieri per placare il ricorso allo sciopero e a registrare l’aggravamento della situazione finanziaria dell’azienda. In particolare questo era dovuto all’aumento dei costi dei carburanti (carbone) e alle spese del personale.
Gli agenti prima della guerra erano circa 154.000 e arrivarono nell’anno 1921 a 235.000 circa per effetto della stabilizzazione del personale avventizio assunto durante al conflitto e dei reduci assunti per rispondere alle necessità imposte dalla lotta alla disoccupazione. Facile sottolineare come le decisioni politiche nazionali e internazionali si ripercuotano sulla gestione dell’impresa ferroviaria utilizzata come ammortizzatore sociale del primo dopoguerra ma senza preoccuparsi se le maestranze introdotte, finita l’emergenza fossero all’altezza del ruolo ricoperto.
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Il neoliberismo nelle imprese pubbliche: il caso F.s.
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Informazioni tesi
Autore: | Stefano Astesiano |
Tipo: | Laurea I ciclo (triennale) |
Anno: | 2011-12 |
Università: | Università degli studi di Genova |
Facoltà: | Scienze della Formazione |
Corso: | Scienze della comunicazione |
Relatore: | Salvatore Palidda |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 118 |
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