La contemporaneità dell'archivio fotografico: i ritratti di Virgilio Artioli rivisitati da Christian Boltanski
Il ritratto fotografico
E’ indubbio quindi che l’attività di maggior rilievo e fortuna dello studio sia stata la produzione dei ritratti, di cui gran parte fototessere per documenti di identità. E’ da notare come i ritratti di Artioli conservati in fototeca siano tutti negativi in bianco e nero. Questo perché tale tecnica garantiva una miglior qualità dell’immagine. La fotografia a colori, per quanto praticata, non era assai diffusa per i risultati peggiori e le difficoltà di elaborazione.
Anche se Artioli, sempre attento alle novità del mezzo, adottò il colore, esso non aveva le qualità cromatiche e la stabilità di oggi (che è comunque ancora molto inferiore a quella del bianco e nero). Morini riporta l’esperienza di Luciano Barbin, stampatore presso lo studio Artioli, secondo il quale si faceva mezz’ora di prova per poter stampare correttamente dieci minuti.
La stampa a colori richiede infatti una precisa temperatura, un terzo di grado, altrimenti avviene l’ossidazione del colore. Essa era dispendiosa e dava scarsi risultati. Si capisce dunque come la fotografia a colori non si sia diffusa fino alla metà degli anni ’60, quando iniziarono ad aprire laboratori di stampa con sistema di integrazione automatica, presso i quali si servì anche Artioli.16 L’uso del bianco e nero da parte di Artioli è dunque una scelta stilistica garante della qualità tanto rinomata dei suoi ritratti, senza contare che le fotografie a colori non furono accettate per diverso tempo nei documenti d’identità, proprio per la scarsa qualità dell’immagine.
La sala posa
Vediamo dunque la prima fase del ritratto fotografico, la ripresa. Essa si svolgeva all’interno dello studio in un locale adibito, la sala posa, sita al piano terra, alla quale si accede direttamente dal negozio. E’ un locale rettangolare con una caratteristica volta a botte. Essa è tuttora utilizzata allo scopo: il fotografo Marco Moratti ha portato avanti la tradizione dello studio Artioli del ritratto.
Vedendo la sala posa oggi possiamo perfettamente immaginare come era al tempo di Virgilio. Vicino all’ingresso si trovava un piccolo camerino, una zona dove il cliente poteva rassettarsi per apparire al meglio al momento dello scatto, in luogo degli sfondi odierni possiamo immaginare i fondali dipinti di marine, fiori o più semplicemente diversi tipi di tendaggi, il medesimo cavalletto con il banco ottico montato sopra e al posto dei flash le lampade dell’epoca. La posizione delle luci poteva essere esattamente quella attuale: una luce principale e diffusa a illuminare lateralmente e dall’alto il soggetto (luce alla Rembrandt) mentre una luce secondaria direzionata schiarisce lo sfondo perché non si crei un’ombra fastidiosa. Questa seconda fonte di illuminazione può essere sfruttata inoltre per creare un interessante controluce, che risalti la sagoma del viso.
Oggi come allora, infatti, l’uso sapiente del controluce è il marchio dello studio. Guglielmo Morini ricorda come Artioli “usava molto la luce di taglio sui capelli: l’ha inventata lui a Reggio. Quella che si chiamava “colpo di spazzola”.”
Questo brano è tratto dalla tesi:
La contemporaneità dell'archivio fotografico: i ritratti di Virgilio Artioli rivisitati da Christian Boltanski
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Informazioni tesi
Autore: | Giulia Serri |
Tipo: | Laurea II ciclo (magistrale o specialistica) |
Anno: | 2010-11 |
Università: | Accademia di Belle Arti |
Facoltà: | Comunicazione e Didattica dell'Arte |
Corso: | Fotografia |
Relatore: | Laura Gasparini |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 187 |
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