Gli Albanesi ad Altamura: tra immigrazione ed integrazione

Le interviste effettuate agli immigrati albanesi hanno tenuto conto dello schema dell’intervista, però nel momento in cui si considera come biografica l’intervista presenta dei cambiamenti.

Quando un’intervista è condotta non attraverso domande puntuali, ma rilanci che portino alla luce il mondo dell’intervistato, nel rispetto cioè del suo universo di senso, allora standardizzazione e direttività tendono – pur non scomparendo mai – a decrescere, anche se la strutturazione può essere molto forte per quanto riguarda la traccia di intervista, che non funziona però attivamente e dunque non influenza, se non secondariamente, la direttività stessa. Solo in questo caso si può parlare di intervista biografica, che è senz’altro un’intervista discorsiva, tenta di essere un’intervista in profondità, può essere un racconto o una storia di vita, può essere o può non essere un’intervista focalizzata, non è un’intervista libera – perché risponde a una sistematizzazione metodologica e tecnica – è senz’altro un’intervista ermeneutica – nessuna intervista può prescindere dall’atto interpretativo – ed è anche un’intervista motivazionale perché le motivazioni, come è ovvio, sono tra le dimensioni conoscitive di qualsiasi strumento di rilevazione.

La parola dell’intervistato, dunque il racconto, come ogni racconto è allora anche un auto-racconto, espressione dell’‘intenzionalità riflessiva’, intesa come l’operazione di dare significato a un’esperienza vissuta come ritorno su di sé a partire dall’esperienza dell’Altro. Operazione necessaria perché l’esperienza emerga, nell’attualità, alla coscienza e sia dunque comunicabile attraverso la parola.
L’intervista biografica è un particolare tipo di racconto, che si fonda e si svolge sulla base di accordi che lo regolano e che sono iscritti in un ‘patto’ stabilito tra l’intervistato e l’intervistatore.

Questo patto comporta da parte dell’intervistato, tra l’altro, l’impegno alla sincerità, per quanto sia possibile, e dunque alla fedeltà, considerata tale all’interno dell’impostazione delineata sopra. Il patto vale anche per il ricercatore, ovviamente, che si vincola a rispettare, per esempio, l’accordo concernente l’utilizzo prodotto durante l’intervista. Ma il ricercatore si impegna anche ad agire in modo che il suo ascolto e la sua condizione facilitino e favoriscano la sincerità e dunque la fedeltà del racconto. Il rispetto di questo patto da ambedue le parti in causa è la necessaria premessa al raggiungimento di una comune comprensione dell’esperienza raccontata.