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Presenze e immagini dell'Islam nella Commedia di Dante

Il Profeta per l'Occidente cristiano

Le glosse sul Maometto della Commedia non chiariscono quali furono le conoscenze di Dante sull'Islam, ma al tempo stesso definiscono le prospettive e i preconcetti che il lettore trecentesco e quattrocentesco poteva avere nei riguardi della figura del Profeta. La visione sull'Islam non subisce particolari variazioni tra il XIV e il XV secolo, tuttavia è riscontrabile una spinta storiografica verso fonti ritenute più affidabili. Manca però quasi del tutto una forma di conoscenza diretta: il Medioevo Cristiano soddisfa i propri interessi verso il mondo musulmano rifacendosi agli antichi pamphlet anti-islamici che dall'Oriente cristiano si diffusero in Occidente attraverso la Spagna. Erano questi dei libelli dove il dato storico veniva falsato ad arte col fine di negare ogni pretesa di verità in quella religione così pericolosamente in espansione.

Da un verso la condotta di Maometto doveva essere presentata come violenta e corrotta, una biografia non adattabile alla santa vita di un profeta; dall'altro andava inficiata ogni originalità della dottrina musulmana, Maometto, oltre a negare la Trinità e l'Incarnazione, altri non era che un misero strumento governato da un monaco cristiano antagonista o eretico.

Eppure, paradossalmente, all'origine di questo errore storico contribuì anche la letteratura agiografica islamica, anch'essa molto incline ad elementi mitizzanti. Stando alla tradizione musulmana, il Profeta sarebbe stato indottrinato da due eremiti arabi avversi al politeismo ed esperti lettori delle Sacre Scritture, i cosiddetti hanìf. Il primo fu Bahira (poi verrà nominato Nistur o Sergios), che in Siria ravvisò nel Maometto fanciullo il carisma, i segni della “profezia” e per questo lo educò all'incontaminata religione abramitica, stornandolo dall'idolatria pre-islamica. Il secondo educatore fu il monaco Waraqua ibn Nawfal, congiunto di Kadigia, prima moglie del Profeta. Ecco allora due personaggi positivi, determinanti per l'Islam, che la polemica cristiana deformò in un solo sacerdote nestoriano, a volte giacobita o ariano, che una volta giunto a la Mecca plagiò Maometto.

Per quanto sia caotico, in questo ciclo di racconti giunti in Occidente è possibile isolare tre filoni dominanti. Nel primo il monaco e Maometto raggirano Kadigia, facendole credere che gli attacchi epilettici del marito siano provocati dalle apparizioni di Gabriele, inducendola a diffondere per prima la novità dell'Islam. L'inganno del Profeta era il centro della versione “bizantina” tradotta nel IX secolo in latino dal bibliotecario Anastasio e riscontrabile negli annali dei benedettini Sigiberto di Gembloux e Hugo de Fleury (XI-XII sec.). Un secolo dopo Jacopo da Varazze si affiderà a queste fonti per la sua Legenda aurea (XIII sec.).

Il secondo ramo di leggende ci tramanda invece un Maometto capo di una banda di ladroni omicidi e seguace del monaco nestoriano Sergio. L'alleanza tra loro mira a convertire le genti arabe, puntando solo ad accrescere le ricchezze di entrambi. La sorgente di questa narrazione fu uno scritto polemico, cristiano, redatto in arabo nel IX secolo e latinizzato da Pietro da Toledo nel XII secolo, testo noto come Apologia di al-Kindi, parte integrante della Collectio Toledana. In quegli anni la cristianità orientale subiva numerose conversioni all'Islam e la funzione del libello in questione era proprio quella di limitarle. L'Apologia trovò quindi la sua fortuna in Occidente.

Nel terzo sviluppo Maometto è un alto prelato della Chiesa romana, un certo Nicolò (poi Nicolao o Nicola), che vuole rifarsi sulla Curia per una mancata nomina. Tale “fabula” è compiutamente esposta nella testimonianza più antica pubblicata dal D'Ancona, il Liber Nicholay, che secondo D'Alverny risalirebbe al XIII secolo. In esso Maometto, ovvero Niccolò, uno dei sette diaconi cardinali della Chiesa di Roma, viene scelto per predicare la Buona Novella in Spagna e Barberia grazie ai propri meriti eruditi. Il papa in punto di morte lo elegge successore di sé, ma Niccolò è lontano e pertanto i cardinali nominano un papa vicario dalla salute cagionevole. Maometto-Niccolò torna a Roma, ma trovando il pontefice ancora vivo non gli riconosce alcun potere, lascia la città adirato e per rappresaglia diffonde un culto eretico nelle zone da lui stesso precedentemente convertite al Cristianesimo, niente di più falso.
[…]

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Presenze e immagini dell'Islam nella Commedia di Dante

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Informazioni tesi

  Autore: Emanuele Totaro
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2011-12
  Università: Università degli Studi di Bologna
  Facoltà: Lettere
  Corso: Lettere
  Relatore: Giuseppe Ledda
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 81

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