Il processo di internazionalizzazione degli Studi Legali

La crescita delle attività di cui si occupa uno studio legale ha fatto sì che l’espansione internazionale fosse un passo necessario nello sviluppo di queste organizzazioni. Il processo di internazionalizzazione per uno studio legale è alquanto differente sia da quello delle aziende manifatturiere sia da quello di altri servizi professionali, settore del quale essi fanno parte. La particolarità sta nel fatto che, alle difficoltà classiche che una società di servizi professionali incontra nel svilupparsi in mercati che non conosce (organizzative, lingua e cultura differente per fare qualche esempio), dobbiamo aggiungerne un’altra, ovvero la materia di cui gli studi si occupano: la legge. Sì perché mentre una consulenza manageriale, finanziaria, di architettura e quant’altro, con tutte le difficoltà che si possono riscontrare operando in un mercato sconosciuto, si esegue con prassi generiche abbastanza simili tra Paese e Paese (gli indici di bilancio si calcolano secondo standard internazionalmente riconosciuti, una parete si disegna nello stesso modo sia in Italia che in Cina!), per uno studio legale l’oggetto del proprio lavoro cambia radicalmente, le basi mutano ed occorrono studi appositi per poter operare in maniera efficace anche all’estero.
Ora, non dobbiamo vedere questo ostacolo come una specie di barriera insormontabile, un mercato estero non è una fortezza inespugnabile e vedremo che vi sono vari modi per riuscire ad inserirsi, però è un fatto rilevante e soprattutto nuovo per una società di servizi professionali.
Oltre a questo, vanno considerati tutti gli altri aspetti legati all’inserimento in mercati esteri, quali organizzazione, coordinamento, lingua ed altri che gli avvocati non sono abituati a trattare, in quanto questi non fanno parte del loro bagaglio culturale. Ci occuperemo di queste problematiche nel corso della trattazione. Dobbiamo sin da subito chiarire alcuni punti fondamentali, che possono sembrare elementari, ma servono a darci una visione iniziale del processo in questione.
Il primo nodo da sciogliere riguarda “che cosa” venga internazionalizzato: il “prodotto” legale o il processo che porta a raggiungere il prodotto finale? Ci troviamo infatti di fronte ad una internazionalizzazione di processo, il prodotto non può essere globalizzato in quanto, come detto sopra, le diversità dei sistemi legislativi, delle prassi non consentono una standardizzazione del prodotto finale (anche se questo in parte può essere smentito dal fatto che, per alcuni accordi internazionali, si utilizzano “schemi” comuni), per cui vengono globalizzate le competenze e l’affidabilità che uno studio possiede.
Altro punto consiste nel fatto di capire se il sistema legislativo e la struttura del settore legale incidano o meno sulla capacità di internazionalizzazione, quindi se i fattori interni del sistema-Paese di cui un determinato studio fa parte influiscano sulla capacità di affacciarsi e di competere in un mercato diverso da quello di origine. Ora, è innegabile che gli studi americani ed inglesi sono favoriti (e la pratica lo dimostra) in questo processo, a causa di fattori quali la lingua, dei rapporti con i Paesi che appartenevano all’impero britannico, il fatto di poter contare su un sistema industriale ed economico egemone rispetto alle altre nazioni; tutti questi fattori fanno sì che la globalizzazione sia ampiamente facilitata dal sistema-Paese in cui essi operano riginariamente.
Secondo uno studio effettuato da Glenn Morgan e Sigrid Quack, ciò non risulta sempre vero; studiando l’espansione internazionale degli studi inglesi e tedeschi, hanno notato che per questi ultimi è stato il processo di internazionalizzazione a generare i cambiamenti nella struttura del settore e nelle sue regole, viceversa rispetto a quello che normalmente accade. Si è quindi venuto a generare un processo di tipo bottom-up. Fatte queste iniziali considerazioni, andiamo ora ad analizzare i principali driver e problemi dell’espansione internazionale.