La particolare tutela di cui godono i crediti da lavoro subordinato nel fallimento
Il privilegio accordato dalla legge ai crediti da lavoro subordinato
Nel nostro sistema, del resto, il creditore agisce, di regola, con l’azione individuale; solo nel caso del fallimento vi è la preclusione delle azioni esecutive individuali e, come sancito dall’articolo 51 della legge fallimentare, “a partire dal giorno della dichiarazione di fallimento, nessuna azione individuale o esecutiva può essere iniziata o proseguita da un qualsiasi creditore”. Il fallimento determina infatti la cristallizzazione delle posizioni giuridiche preesistenti e quindi la destinazione del patrimonio del fallito al soddisfacimento paritario di tutti i creditori, nel rispetto delle cause legittime di prelazione, che attribuiscono ai crediti cui accedono il diritto ad essere soddisfatti prima degli altri su taluni beni: il creditore da esse assistito è preferito, nel riparto del prezzo ricavato dalla vendita forzata, rispetto agli altri creditori.
Con il privilegio si pone un’ulteriore deroga al principio della par condicio creditorum. Esso trova la sua origine nella legge, a differenza di pegno ed ipoteca che trovano invece il loro fondamento nell’autonomia delle parti, ossia nell’accordo delle stesse.
Come accennato nel paragrafo precedente, il privilegio, in quanto causa di prelazione, è un titolo di preferenza che attribuisce al creditore, titolare dello stesso, la possibilità di recuperare il credito con preferenza rispetto agli altri creditori non privilegiati. Non esiste nel nostro ordinamento una generale qualificazione dei crediti privilegiati fondata su un unico presupposto, ma esistono tanti privilegi quante sono le situazioni della legge qualificate come tali, ciascuna delle quali ancorate ad un determinato presupposto di fatto, costituente il campo d’indagine necessario per il riconoscimento da parte del Giudice Delegato del singolo titolo di prelazione richiesto in sede d’insinuazione al passivo.
La qualifica privilegiata può essere assunta concettualmente nella sua unitarietà come categoria logica, solo in quanto si tratti di contrapporla a quella chirografaria di altri crediti concorrenti; riconoscere un privilegio significa essenzialmente accertare la causa del credito da cui la prelazione assume collocazione in una situazione di concorso.
Come disciplinato dall’art. 2745 c.c., infatti, il privilegio trova la sua origine nella causa del credito: pertanto, determinati crediti, o per motivi di particolare considerazione
sociale o perché derivanti da spese fatte nell’interesse comune oppure perché concernenti l’interesse dello Stato, sono ritenuti meritevoli di maggiore tutela rispetto agli altri e, di conseguenza, il loro titolare viene soddisfatto a preferenza di altri. L’allegazione, nonché l’accertamento, della singola causa di credito costituisce la causa petendi e rappresenta il campo d’indagine singolare e relativo di ciascuna domanda volta al riconoscimento di un privilegio. Grava dunque sul creditore che chiede l’ammissione al passivo tra i creditori privilegiati l’onere di dimostrare l’esistenza dei presupposti di fatto del privilegio. Valgono dunque le considerazioni fatte al precedente paragrafo dedicato all’insinuazione dei crediti da lavoro dipendente ex art. 93 l.f..
Il privilegio si distingue, in base a quanto disposto dagli artt. 2746 c.c. e seguenti, in generale o speciale: mentre il primo si esercita su tutti i beni mobili del debitore e non è opponibile a terzi, il secondo si può attribuire a determinati beni sia mobili che immobili in base al particolare legame tra il credito e l’oggetto del contratto, che porta al cd. “diritto di seguito”, ovvero segue il bene anche se questo viene venduto a terzi.
Per quanto riguarda il privilegio accordato ex lege ai crediti da lavoro dipendente, l’art. 2751 bis c.c. riconosce privilegio generale sui beni mobili del datore di lavoro alle retribuzioni, dovute sotto qualsiasi forma, a tutte le indennità dovute per effetto della cessazione del rapporto di lavoro, al risarcimento del danno conseguente alla mancata corresponsione da parte del datore di lavoro dei contributi previdenziali ed assicurativi obbligatori, al risarcimento del danno conseguente al licenziamento inefficace, nullo o annullabile. Operando una lettura costituzionalmente orientata dell’art. 2751 bis n. 1 c.c., si può osservare come il favore prelatizio tenda ad assumere in sé l’intero spettro tipologico dei crediti nascenti dal contratto di lavoro subordinato; la giurisprudenza ha infatti progressivamente dilatato il tenore letterale della norma, al fine di estendere quanto più possibile il privilegio a favore del “soggetto debole” del rapporto lavorativo.
In particolar modo, si è addirittura giunti nel corso del tempo ad interventi della Corte Costituzionale in materia di risarcimento del danno per infortunio e malattia professionale, che verranno approfonditi nel corso della trattazione.
La legge non estende il privilegio a tutte quelle pretese connesse al lavoro subordinato da una relazione meramente occasionale, come ad esempio il prestito obbligazionario del datore di lavoro sottoscritto dal lavoratore o tutte quelle che non costituiscano un rapporto di corrispettività con la prestazione del datore di lavoro, quali il compenso per il patto di non concorrenza ex art. 2125 c.c., gli sconti praticati dal datore sui propri prodotti o servizi, le elargizioni una tantum per spirito di liberalità, il credito risarcitorio per mancata assunzione, per violazione delle norme sul collocamento, per illegittima esclusione dalla selezione del personale con conseguente perdita di chance.
Il curatore fallimentare, tenuto ad accertare la sussistenza del privilegio, deve, in primis, verificare l’effettività del rapporto di subordinazione, quale vincolo di dipendenza gerarchica e disciplinare del prestatore nei confronti del datore di lavoro; successivamente, egli deve verificare la correttezza degli importi richiesti, sulla base di quanto documentato nelle buste paga, che il creditore avrà cura di produrre ed allegare al ricorso.
Il credito deve essere ammesso al lordo delle ritenute fiscali ed al netto di quelle previdenziali, spettando all’INPS la legittimazione a richiedere l’ammissione al passivo del credito previdenziale. Il credito così determinato è soggetto a rivalutazione monetaria, da calcolare in base agli indici dei prezzi determinato dall’ISTAT e da conteggiare fino alla data in cui lo stato passivo diventa definitivamente esecutivo. Per espressa previsione di legge (art. 54, co. 3, l.f.), il privilegio accordato ai crediti del prestatore di lavoro subordinato si estende anche agli interessi maturati nell’anno in corso alla data di dichiarazione del fallimento nonché nell’anno precedente (art. 2749 c.c.). Viceversa, gli interessi maturati successivamente alla dichiarazione del fallimento, c.d. interessi post fallimentari sono collocati in privilegio nei limiti della misura legale “fino alla data del deposito del progetto di riparto nel quale il credito è soddisfatto, anche se parzialmente”. Pertanto, la data finale di computo degli interessi è spostata “in avanti”, in considerazione del fatto che fra il realizzo del bene e la distribuzione del prezzo può intercorrere anche un notevole lasso temporale. In tal modo, gli interessi decorreranno fino alla data dell’effettivo pagamento. Gli interessi e la rivalutazione monetaria che non vengano espressamente richiesti nella domanda di insinuazione al passivo non possono essere calcolati e pagati autonomamente dal fallimento in sede di riparto, né possono essere richiesti con domanda tardiva di insinuazione.
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La particolare tutela di cui godono i crediti da lavoro subordinato nel fallimento
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Informazioni tesi
Autore: | Riccardo Gilberto Renesto |
Tipo: | Tesi di Laurea Magistrale |
Anno: | 2011-12 |
Università: | Università degli Studi di Ferrara |
Facoltà: | Economia |
Corso: | Economia, Mercati e Management |
Relatore: | Andrea Lolli |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 149 |
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