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Gli anni settanta e il diritto del lavoro

Il pensiero e l'insegnamento lasciato da Gino Giugni

Gino Giugni, cuore socialista e riformista, padre dello Statuto dei lavoratori, è stato uno dei protagonisti più influenti della politica e del mondo del lavoro. Profondo sostenitore della linea "promozionale" nell'ambito del dibattito scientifico che scaturì durante l'iter parlamentare della legge 300/1970, Giugni riteneva che lo stesso diritto sindacale avesse una sua autonomia e dignità scientifica. Nonostante il suo generale plauso alla teorizzazione dell'ordinamento intersindacale, in Italia, però, non è riuscito a decollare un sistema di giurisdizione intersindacale, di amministrazione congiunta del contratto collettivo, genuinamente autonomo e autosufficiente rispetto alla giurisdizione statuale. La causa di ciò è che il sindacalismo vigente in Italia è un sindacalismo non soltanto di impronta marcatamente conflittuale, ma che non ha mai dimostrato un'adeguata capacità di gestione delle conquiste; è un sindacalismo che trae impulso prevalentemente da spinte ideologiche (il classicismo marxista e il solidarismo cattolico), che si esalta nei momenti di lotta: anima del sindacato italiano è la protesta contro il sistema capitalistico. La crisi che esso sta attraversando è anche una conseguenza della perdita di credibilità di un sindacato che per decenni ha mobilitato i lavoratori per grandi obiettivi astrattamente apprezzabili, ma della cui realizzazione il sindacato si è occupato ben poco, fin dal momento della loro progettazione; esso ha, in sostanza, risentito della concezione del riformismo come obiettivo intermedio, che ne prepara un altro: la palingenesi finale, unica fase veramente risolutiva.
Con queste premesse, gestire i risultati delle rivendicazioni diventa del tutto secondario; e del tutto secondario è anche acquisire quella cultura amministrativa, quella capacità gestionale, che è invece una caratteristica saliente del sindacalismo in altri Paesi. A causa di ciò, il sindacato non ha saputo neppure gestire le riforme che andavano implementate nei luoghi di lavoro: si pensi all'inquadramento unico e alle "150 ore". Il clamore e l'entusiasmo che furono alimentati intorno a queste due conquiste, entrambe della tornata di rinnovi del 1973, fu enorme, ma i risultati furono poverissimi: l' inquadramento unico avrebbe richiesto tutta una iniziativa di riorganizzazione del lavoro in azienda, che non ebbe corso (basta dare un'occhiata alla stampa sindacale degli anni '80, colma di interventi e articoli sul problema dei rapporti tra operai ed impiegati); quanto alle "150 ore", che dovevano essere una grande occasione di acculturazione e elaborazione autonoma di cultura da parte del movimento sindacale, la loro gestione venne in un primo tempo delegata a gruppi di insegnanti "matti", per poi ridursi a pura e semplice occasione per far conseguire la licenza media inferiore agli operai che non l'avevano. A proposito del mercato del lavoro, Giugni parla di disimpegno del sindacato; e un po' per questo, un po' per troppo impegno degli amministratori pubblici, nelle strutture a composizione paritetica a reggere il governo sono sempre questi ultimi: le Commissioni regionali per l'impiego, che dovrebbero essere i veri organi di governo del mercato del lavoro, sono un complesso di disimpegno, di disinteresse, di lassismo, a volte anche di corruzione spicciola, nel senso dei sindacati che fanno approvare progetti fasulli che servono solo a far assumere qualcuno; poi, talvolta, c'è anche la corruzione vera e più grave. Le Commissioni sono rimaste sotto il dominio della burocrazia, di chi ha in mano i fascicoli."E' un sindacato capace soltanto di conflitto e non di gestione dei conflitti"; si deve sperare che il sindacalismo italiano superi la cultura del rivendicazionismo come puro strumento di agitazione e, questa speranza, non può che fondarsi su di un consolidamento dell'esperienza della contrattazione collettiva, anche a livello aziendale. Il diritto del lavoro vigente, dopo lo Statuto dei lavoratori, presenta una formazione a strati, alluvionale; c'è, anzitutto, uno strato di norme che risalgono al periodo corporativo e sono quelle in cui resta ancora evidente l'impronta di una concezione del mercato del lavoro come mercato concorrenziale. Il secondo strato è quello proprio del periodo corporativo, che è durato oltre la sua vigenza e che, secondo una valutazione della dottrina, aveva lasciato il suo segno soprattutto nella struttura contrattuale accentrata a livello nazionale; anche quest'aspetto, a distanza di quasi mezzo secolo, è superato, ma
una traccia dell'eredità corporativa può essere vista nell'art 2077 c.c.: se questo articolo sia vigente o no non ha molta importanza, ciò che conta è che viene applicato il principio in esso contenuto, del favor nei confronti del trattamento migliorativo per il lavoratore, e cioè la concezione di un diritto del lavoro in cui la legge pone una base, la contrattazione ne pone una più in alto e la contrattazione individuale ne pone, eventualmente, un'altra ancora a livello più elevato. Giugni era "favorevolissimo" alla privatizzazione del rapporto di impiego alle dipendenze di Stato e enti pubblici, purchè non le si attribuisce effetti miracolosi; perchè le grandi novità che dovrebbero derivarne, cioè la maggiore flessibilità di utilizzazione del personale e la licenziabilità per motivi disciplinari o di eccedenza di organici, ci sono già. La privatizzazione deve servire a creare un telaio normativo che consenta meglio di esercitare poteri di cui la pubblica amministrazione già dispone, ma che non sa usare; è necessaria la responsabilizzazione del datore di lavoro, che vuol dire controllo a priori di legittimità delle procedure. Giugni si augurava e sperava che la nuova legislazione riuscisse a definire e consacrare i nuovi principi concernenti la rappresentatività del sindacato e desse ulteriore impulso alla flessibilità del mercato del lavoro, anche con parziali revisioni della l. n. 223/1991, che non può certo considerarsi un approdo definitivo. Per quanto riguarda la procedura civile, Giugni riteneva, senza dubbio, efficace una velocizzazione dei processi; ma i tempi dei processi sono immobili e ai "tempi immobili" della politica italiana si contrappongono "i tempi che corrono della politica internazionale". L'Italia è un "paese infelice" - dice Giugni- nel quale si è perso di vista l’interesse generale. L’opinione pubblica, poi, non è affatto matura e al momento non è sul binario giusto. Ci vorrebbe più impegno, impegno da parte di tutti, giovani e meno giovani, perchè la politica è impegno; sono necessarie idee nuove e serve un ricambio generazionale Bisogna insegnare ai giovani la strada della ricerca del nuovo. Compito arduo in un paese come l'Italia, in cui, appena si vuole cambiare qualcosa attraverso una riforma, tutti sono pronti ad alzare gli scudi ed il paese resta fermo e dove regna una sfiducia generalizzata nelle Istituzioni, e questo accade tra i giovani ma anche meno giovani.

Questo brano è tratto dalla tesi:

Gli anni settanta e il diritto del lavoro

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Informazioni tesi

  Autore: Adele Varriale
  Tipo: Tesi di Laurea Magistrale
  Anno: 2008-09
  Università: Università degli Studi di Napoli - Federico II
  Facoltà: Giurisprudenza
  Corso: Giurisprudenza
  Relatore: Raffaele De luca Tamajo
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 127

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Parole chiave

aldo moro
statuto dei lavoratori
processo del lavoro
gino giugni
scale mobili
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