La concezione della Realtà in Lalla Romano - Elsa Morante - Anna Maria Ortese

Essere consapevole di questo grande sistema presentato dalle scrittrici, eluderlo e contestarlo, sembra essere compito dei Pochi Felici. Questi diversi, emarginati dal resto dell’umanità “degradata” e dalle istituzioni, amano la vita nelle sue più varie manifestazioni e sostengono la croce del dolore del mondo, l’occulta sofferenza degli assorditi e ciechi Infelici

Molti. Non sono i personaggi che soccombono alle chimere della menzogna e dei sortilegi, che vivono in deliri di castelli ed eroi, di cavalli alati ed incantesimi, non sono Don Chisciotte, la cui salvezza alla ripugnanza che sente della realtà la trova nella finzione. Sono gli altri personaggi–atteggiamenti che Elsa Morante ben definì come il Pelide Achille, amante della realtà, e Amleto che sceglie di non essere perché quella stessa realtà gli ispira ripugnanza.

Su questi diversi, angeli terrestri (Ortese), sono imperniate le opere delle tre scrittici: col loro universale Rispetto, si pongono come la quiete in mezzo al caos di una civiltà in giro vertiginoso verso la morte. “Ne esistono d’ogni razza sesso e nazione/epoca età società condizione e religione” (Morante, 1996, p.120), sono coloro che nella difesa della verità, poiché altro non conoscono, lottano con le idee, il silenzio e la costanza, e per essa sacrificano il proprio corpo alla morte, sparizione solo fisica visto che continuano a vivere negli altri Pochi Felici.

Di fama Internazionale, Elsa Morante cita: Rembrandt, Platone di Atene, Giovanni Bellini, Arturo Rimbaud, Giovanna Tarc, Volfango A. Mozart, Antonio Gramsci, Giordano Bruno, Simona Weil, Benedictus Spinoza. Esseri umani, donne e uomini, sostenuti e guidati dalla “fame di esistere” e dalla sola idea di comprendere il Reale, cercarne la verità, portarla alla luce dell’innocenza e vivere con questa scoperta - ricordo: felici. Confinati alla “terra d’ombra”, sbalzati dalla vita attiva della Storia, al cui margine tutto è solo tentativo, vivono i diversi: sono di sempre: sono i cercatori d’identità, propria e colletiva, e nazionale, e d’anima [...] Che non credono, o credono poco, ai partiti, le classi, i confini, le barriere, le fazioni, le armi, le guerre. Che nel denaro non hanno posto alcuna parte dell’anima, e quindi sono incomprabili. Quelli che vedono il dolore, l’abuso; vedono la bontà o l’iniquità, dovunque siano, e sentono come dovere il parlarne.(Ortese, 1997, p.30)