La qualità e le proprietà culturali organizzative nel modello giapponese
Il modello giapponese la discussione sui costi umani in Europa
Come ricorda Giuseppe Bonazzi: “fin da quando il modello cominciò ad essere conosciuto nel mondo, la letteratura manageriale ha insistito sul fatto che esso non è un patrimonio esclusivamente giapponese ma può essere esportato con pochi adattamenti nei nuovi contesti” (Bonazzi, 1993: 30).
Questa è la ragione per cui sono entrate nell’uso definizioni come Jit o produzione snella che denotano un corpus di tecniche e di pratiche dotate di una validità universale che prescinde dall’origine storica del modello (Womack, Jones e Roos, 2000).
L’esperienze dell’ultimo decennio dimostrano in effetti che tecniche e stili di management di origine giapponese sono stati adottati con successo da parte di imprese occidentali.
Tuttavia, man mano che negli anni ’80 aumentava la penetrazione del modello giapponese in Occidente, si invigoriva il dibattito sulle conseguenze sociali e sui costi umani che esso comporta.
La principale discussione ruota intorno al quesito se in quel modello il lavoro umano diventa più intelligente o solo più gravoso o ancora tutte e due le cose insieme (Bonazzi, 1993).
La discussione trae origine dal fatto che come sottolineano i testi sull’argomento un sistema produttivo che culmina nel Jit/Tqm è efficientissimo se tutto ruota bene ma è estremamente fragile se sorge un qualunque intoppo.
Di conseguenza per poter funzionare quel sistema richiede un ambiente sociale estremamente collaborativo ed estrema dedizione al lavoro. Secondo esperti in materia , tale ambiente, può essere ottenuto anche in stabilimenti occidentali ma è sottointeso che le fabbriche giapponesi restano l’ambiente ottimale.
Le ragioni possono essere trovate in alcune caratteristiche storiche della società giapponese:
- la coscienza di gruppo, il senso di eguaglianza, il desiderio di migliorare e la diligenza nel fare le cose;
- le elevate capacità professionali e l’alta scolarità media;
- l’importanza centrale del lavoro nella vita delle persone. Questi tratti, egli dice, si riflettono nel mondo dell’impresa dove alcune pratiche alimentano direttamente un clima di collaborazione;
- il sistema di impiego tendenzialmente a vita;
- le scarse differenze tra gli operai e gli impiegati,
- la possibilità di carriera direttiva aperta anche agli operai;
- i sindacati aziendali dove è normale la sovrapposizione delle cariche (tipicamente il caposquadra è anche il delegato di fabbrica e spesso i funzionari del sindacato sono dei dirigenti imprestati dall’impresa).
Queste condizioni fanno da cornice affinché il Jit funzioni al meglio.
Nel Jit, come scrivono i testi di management, il lavoro operaio diventa più responsabile ma più impegnativo; più flessibile ma più diligente; più di gruppo ma più controllabile; meno burocratico ma non meno vincolante sul piano dei rapporti di lavoro (Bonazzi, 1993)
Questo brano è tratto dalla tesi:
La qualità e le proprietà culturali organizzative nel modello giapponese
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Informazioni tesi
Autore: | Gianni Tammone |
Tipo: | Tesi di Laurea |
Anno: | 2003-04 |
Università: | Università degli Studi di Roma La Sapienza |
Facoltà: | Sociologia |
Corso: | Sociologia |
Relatore: | Tatiana Pipan |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 161 |
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