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I miti e le leggi. Un percorso attraverso i dialoghi di Platone

Il mito delle Leggi

La difficoltà di appurare con certezza la cronologia dei dialoghi, e i rispettivi rapporti che di conseguenza ciascuno di essi stringe con gli altri, ha sempre costituito un punto difficile nell’interpretazione della filosofia platonica. Se, in un modesto numero delle sue opere, l’autore ci ha lasciato alcune tracce che consentono di stilare dei – seppure brevi – segmenti temporali certi del suo pensiero, molti altri testi invece sono rimasti invece spesso vittime dell’incertezza relativa proprio al frangente storico in cui Platone li avrebbe dati alla luce. A tale questione va inoltre aggiunto il fatto – oggi largamente accettato – che il filosofo sembra essere tornato più è più volte sui suoi dialoghi durante tutta la propria vita, correggendoli e riaggiustandoli costantemente. Questo dilemma, ad esempio, ha toccato solo in scarsa misura opere quali la Repubblica che – pur essendo frutto di molteplici sistemazioni – come si è velocemente osservato è sempre stata riconoscibile nel suo legame con alcuni episodi storici distinti e con gli eventi che hanno scosso Atene e nel dettaglio la vita privata dello stesso autore. Diverso è invece il caso del Critone, il dialogo che ospita il passo in esame, che pur non essendo stato problematizzato a fondo fin da subito per questi aspetti è stato in seguito oggetto di numerose ipotesi cronologiche.
Relativamente di recente è stata con insistenza motivata la sua appartenenza all’ultimo periodo della produzione del filosofo piuttosto che al primissimo, come era stato sostenuto invece da una folta tradizione ermeneutica. Questo filone esegetico, in forza di quell’evidente vicinanza scenografica che il dialogo stringe con le opere che più delle altre trattano da vicino la morte del maestro – come l’Apologia o ancora il Fedone – ha considerato a lungo il Critone come uno dei primi tentativi del giovane autore di salvarne la memoria e il messaggio. In verità la stessa figura drammatica di Socrate risulta nel Critone profondamente mutata, o se si vuole evoluta, in rispetto a quella apparsa fra le pagine dell’Apologia – scritto certamente del primo periodo – dove essa presenta tratti ancora fortemente legati al Socrate storico. Questo rappresenta un segnale non facilmente trascurabile e induce al contrario a ripensare la collocazione temporale dell’intero dialogo riportandoci al già menzionato percorso di emancipazione che Platone avrebbe messo in moto solo a partire dal periodo più maturo dellasua produzione, nella quale in modo sempre più acuto è posta in scena una caratterizzazione di Socrate non più a stretta immagine e somiglianza del maestro, ma sempre più al servizio delle proprie originali convinzioni filosofiche.
Il linguaggio estremamente semplice e diretto del testo non deve perciò ingannare e apparire come una forma di acerbità di espressione ma al contrario come la strategia di un Platone nettamente maturato che intende tornare a imbastire un discorso fluido e quanto più fruibile possibile di modo da rendere più chiaro ad un certo uditorio temi civili di grande importanza e difficile comprensione, come il comportamento e il rispetto nei confronti della costituzione della città. In quest’ottica bisogna inquadrare quindi anche la celebre Prosopopea delle Leggi, una delle invenzioni mitiche platoniche più suggestive e affascinanti di tutto il corpus, adottata dall’autore con indubbia efficacia per portare alle conclusioni più alte il suo breve dialogo.
Fino alla sue battute conclusive però la scena del Critone era rimasta fondamentalmente la medesima: un confronto a due, assai lineare, all’interno del carcere in cui Socrate era stato trattenuto in attesa del compiersi della pena capitale sentenziata a suo discapito dal tribunale di Atene. Nella prigione egli e il suo anziano amico Critone avevano infatti iniziato a discutere – in particolare per iniziativa di quest’ultimo – sulla possibilità di evadere e fuggire oltre i confini di Atene, e mettere fine così a tutta la drammatica vicenda. Critone aveva pensato ad ogni particolare: a raccogliere il denaro necessario per corrompere la guardia e portare Socrate fuori di lì, e a organizzargli un’accoglienza e permanenza sicura presso altri amici in Tessaglia (44 e- 45 c). L’aspetto economico non era mai stato un problema e Critone sapeva bene che la condanna a morte si sarebbe così potuta evitare qualora Socrate si fosse lasciato persuadere cogliendo il momento opportuno167 per dileguarsi. Ad ogni modo le motivazioni addotte dal amico preoccupato di strappare Socrate al suo destino non fanno leva sul maestro. Critone apporta con tenacia tutta una serie di ragionamenti: in particolare insiste sull’importanza di non mettersi in cattiva luce agli occhi degli ateniesi e sull’importanza di salvare la reputazione stessa dei suoi amici oltre che la propria vita (44 b-d) – a fuga fallita i concittadini avrebbero potuto biasimarli, giudicandoli più interessati alle proprie sostanze che non alla liberazione dell’amico – ; ricorda la necessità di non abbandonare i propri figli, destinati a crescere in assenza della figura del padre, e in generale di non privare la famiglia del ruolo guida che egli ricopre (45c-46a).

Questo brano è tratto dalla tesi:

I miti e le leggi. Un percorso attraverso i dialoghi di Platone

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Informazioni tesi

  Autore: Gianni Pisano
  Tipo: Tesi di Laurea Magistrale
  Anno: 2009-10
  Università: Università degli Studi di Cagliari
  Facoltà: Lettere e Filosofia
  Corso: Scienze Filosofiche e Storico Filosofiche
  Relatore: Elisabetta Cattanei
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 92

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