Il pensiero politico di John F. Kennedy e la nuova frontiera
Il Liberalismo di John F. Kennedy
La crisi affrontata dal presidente Kennedy durante il suo mandato è una crisi diversa da quelle precedenti: indefinibile e invisibile, che sotto alcuni aspetti era anche più profonda di quella degli anni 30' ma meno avvertita dagli americani, non incidendo sulla loro esistenza quotidiana. Nel momento storico in cui Kennedy divenne presidente, l'economia stava progredendo, il 95% della popolazione attiva aveva un lavoro, le truppe americane non si battevano in paesi stranieri e la nazione godeva di un generale benessere. I problemi veri erano nascosti da un progresso lento che riguardava solo un'esigua parte della popolazione.
Le discriminazioni razziali, l'enorme divario tra poveri e ricchi, un'assistenza sanitaria arretrata e una scuola pubblica in declino costituivano l'altra faccia della medaglia di un'America ancora profondamente ancorata agli stereotipi. L'immagine alto borghese degli Stati Uniti nel mondo era artificiale e generica e non rispecchiava la reale situazione. Certo gli Stati Uniti erano sempre la più ricca nazione del mondo ma questo primato era minacciato dalla mancanza d’idee che affliggeva la classe governativa americana. Le questioni sul tavolo erano molte ma gli uomini politici americani erano privi di metodi e progetti in grado di risolverle. D'altro canto la nazione era disposta a prestare maggiore attenzione alle questioni sociali? Era disposta ad accettare provvedimenti che diminuivano i privilegi di alcuni a beneficio di tutti? Era disposta ad accogliere la teoria della redistribuzione della ricchezza? Avrebbe accettato di veder turbata la sua quieta esistenza in nome dell'impegno civile? La risposta è negativa; negli USA così come in tutti paesi, ed è forse uno dei pochi tratti che accomuna le genti del mondo, il benessere diffuso comporta apatia. I capi di Stato devono quindi attendere un qualche evento che induca le nazioni a prestare ascolto.
Il segreto presidenziale di J.F.K. divenne la tempestività: poiché “l'esperienza è una maestra più potente dell'esortazione”. Il disastro, in ogni sua forma, sembra esser il miglior modo di sollecitare la nazione all'attenzione e all'impegno. Consente di superare le opposizioni e di concertare politiche comuni in grado di generare concreti miglioramenti.
J.F.K. fu spesso criticato di non svolgere al meglio, nonostante le sue capacità oratorie e il suo carisma, il suo ruolo di pubblico educatore. L'opinione pubblica è un qualcosa con cui il presidente deve entrare in profonda comunione, captandone gli umori e gli stati. Kennedy sapeva cogliere la “psicologia del pubblico”. E sapeva bene che la sua presenza costante in televisione non aiutava di certo le cause da lui perorate. La noia era il nemico di ogni presidente, la noia della nazione nell'ascoltare il dibattito politico che viene meno solo nei gravi momenti.
Kennedy non voleva di certo diventare un predicatore o un seccatore nazionale e non voleva sfruttare i sentimenti di massa come strumento politico. Rifiutava qualsiasi istrionismo, nazionalismo e mediocrità e nutriva una certa avversione per gli estremismi e cercava di resistere alle influenze delle emozioni collettive.
Sperava di poter diventare il presidente di tutti e di conseguire i suoi scopi senza provocare traumi e sofferenze.
La sua personalità era senz'altro la miglior arma di cui lui disponesse per destare la nazione dal suo torpore e spingerla a desiderare qualcosa di nuovo. Così Howard K. Smith giudicò J.F.K. non come un uomo incapace di stabilire un contatto bensì “una personalità capace di comunicare in modo brillante”.Il suo atteggiamento era molto critico nei confronti delle idee e delle istituzioni che negli anni cinquanta avevano spinto al consolidamento dell'errato comportamento della società americana. La “critica sociale”, durante il periodo Eisenhower, era vista come un'offesa inaccettabile alla grandezza della nazione, ma già durante la campagna elettorale, J.F.K. aveva concentrato il suo sguardo sul degrado del sistema di vita americano. Il sistema trascurava i giovani e gli anziani, le minoranze etniche, le città, i paesaggi, le scuole. Tutto era esposto al rischio di esser fagocitato dalla logica economicista; il materialismo del profitto e dell'utile cancellava gli scopi e gli ideali della nazione. Era necessario dare nuovo impulso al suo spirito autocritico senza incappare nell'accusa di cospirazione. Fu così che la letteratura di protesta cominciò a frugare negli angoli nascosti e intoccabili della società. Furono diffusi scritti che analizzavano la persistente miseria, le discriminazioni razziali, l'impoverimento del suolo, l'inquinamento delle acque, l'avvelenamento dell'atmosfera, la distruzione dell'ambiente. Gli anni di Kennedy furono il tempo dell'autoanalisi e del tentativo di distruggere i preconcetti con l'intenzione, trasmessa da J.F.K. alla nazione, di guardarsi con occhi nuovi.
Come uomo politico, J.F.K. era profondamente rispettoso delle idee: sperava da tempo, come disse nel 1960, di “riaprire le vie di comunicazione tra il mondo del pensiero e la sede del potere” perché la modernità imponeva nuove sfide alla politica ed era compito del governo civile gestire le attese della popolazione.
Per questo era essenziale l'impiego delle eccellenti risorse intellettuali del paese come funzionari responsabili da affiancare agli uomini “pratici”.
L'autocritica, le idee e l'umorismo, come reazione alla banalità e alla pomposità, di J.F.K. costituirono lo spirito della Nuova Frontiera che diede nuova forza vitale al mondo della politica, del giornalismo, dei giovani e delle università. Kennedy racchiudeva in sé quegli aspetti come l'essere un eroe di guerra, un cattolico, un uomo politico e il possedere quell’eleganza e disinvoltura da divo del cinema, che gli consentirono di far breccia nell'immaginario collettivo convincendo il paese ad adottare un nuovo stile e modificare il clima sociale.
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Il pensiero politico di John F. Kennedy e la nuova frontiera
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Informazioni tesi
Autore: | Samantha Amicucci |
Tipo: | Laurea I ciclo (triennale) |
Anno: | 2011-12 |
Università: | Libera Univ. degli Studi Maria SS.Assunta-(LUMSA) di Roma |
Facoltà: | Scienze politiche, sociali ed internazionali |
Corso: | Scienze politiche e delle relazioni internazionali |
Relatore: | Rocco Pezzimenti |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 67 |
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