L'Iconografia del Gran Re nell'Iran achemenide
Il Gran Re sorretto dai suoi sudditi
Il tema del sovrano posto al di sopra delle figure dei rappresentanti dei territori dell’impero da egli retto è attestato in numerosi tra i più importanti monumenti di epoca achemenide: la statua di Dario rinvenuta durante gli scavi del complesso monumentale Susa (Fig. 15), le facciate tombe rupestri di Dario e dei suoi successori a Naqsh-e Rostam, e sugli stipiti di alcune porte nel Tripylon e nella Sala del Trono a Persepolis (Root 1979: 131).
L’essenza concettuale di questo tipo rappresentativo è il rapporto particolare tra monarca e i popoli posti sotto il suo controllo, da intendersi come uno sostegno volontario da parte di questi. L’intenzione è quella di tramettere all’osservatore l’aura di un patto sacrale tra l’uno e gli altri.
Con certezza si può notare il contrasto con la tradizione artistica regale del Vicino Oriente Antico, la cui usanza di porre il re al di sopra delle figure simboleggianti le comunità poste sotto il suo controllo politico-militare sta a significare esclusivamente la volontà di ottenere un dominio assoluto, sottolineando la gerarchia imperiale. L’osservatore deve, dunque, percepire un antagonismo tra dominatore e dominati. Questo tipo di scena trae ispirazione da più tradizioni artistiche precedenti.
Una serie di monumenti di epoca accadica e neo-sumerica ritraggono un monarca in piedi sopra i nemici sconfitti (Ibid.: 134). Due statue da Susa, probabilmente di Manishtusu (2306-2292 a.C.) mostrano il sovrano in atteggiamento di pietà, con alla base i cadaveri nudi dei nemici vinti. Le figure nemiche sono etichettate come governatori di specifici territori conquistati. Scopo di tale rappresentazione è rendere visibile alla divinità protettrice ogni buona azione che il re porta a compimento in nome del dio. Nella stele del figlio di Manishtusu, Naramsin, l’atto della conquista prevale sul pio conto della vittoria al dio. Particolare, invece, la stele di Ur-Ningirsu, ai cui piedi, invece di nemici uccisi, due gruppi di quattro uomini inginocchiati cercano e sembrano ottenere pietà da parte del vincitore.
Nell’arte egizia, il simbolismo dei “Nove Archi” gioca un ruolo importante nelle rappresentazioni artistiche del faraone egizio in relazione al suo impero (Ibid.: 138-139): come un modo metaforico di descrivere le genti sottomesse, essi potrebbero rappresentare i prigionieri di guerra.
Inoltre, a partire dalla XVIII Dinastia (1552-1323 a.C.), varie pedane di troni reali e basi di statue presentano figure nell’atto di sorreggere il faraone: si tratta dei prigionieri stranieri, identificati come nemici, il più delle volte legati e inginocchiati. Si può, di conseguenza, notare un netto contrasto con le rappresentazioni achemenidi, in cui i rappresentanti delle terre dell’impero sono coerentemente mostrati come uomini liberi e dignitosi che possono persino portare armi alla presenza del re.
Le modalità di rappresentazione dei popoli sottomessi al re sulla base della statua di Dario da Susa sono una consapevole rielaborazione del tradizionale schema egiziano (Ibid.: 148): l’innovazione achemenide consiste nell’attribuire pia dignità agli sconfitti. Il gesto dei palmi delle mani in su assume il significato simbolico di sostegno del sovrano vincitore, non limitandosi metaforicamente alla resa.
A Naqsh-e Rostam e Persepolis i popoli soggetti sono rappresentati nella cosiddetta postura “ad Atlante”, con corpi disposti frontalmente, teste e piedi di profilo, e le braccia, piegate ai gomiti, sollevate per sostenere la piattaforma del trono (Ibid.: 147).
Tale postura ha una lunga storia nell’arte del Vicino Oriente Antico. In Mesopotamia è assunta quasi esclusivamente da esseri mitici, come creature metà uomini metà tori o metà scorpioni, oppure geni che sostengono un disco alato (Ibid.: 147-148). Che l’uso tradizionale mesopotamico della posa sopravvive nella Persia achemenide è mostrato da numerosi sigilli decorati con uomini taurini che sostengono un disco alato (cfr. infra cat. n° 24). Anche se non sono note scene nei rilievi mesopotamici di sovrano trasportato sul suo trono, l’evidenza testuale assira suggerisce che il rituale dell’incoronazione consista nel trasportare il re da un luogo all’altro; secondo i testi, i sudditi sopportano il loro fardello sul collo, non dando in alcun modo a colui che osserva la sensazione di supporto quasi gioioso, come nelle opere achemenidi.
Nell’arte egizia, la postura “ad Atlante” è strettamente associata alla sfera religiosa (Ibid.). Viene utilizzata in dipinti monumentali e rilievi rappresentanti creature cosmiche, divinità e monarchi che mettono in atto riti simbolici di sostegno dal significato astrale.
Scene di trasporto del faraone sono abbastanza comuni; in alcuni esempi, egli viene trasportato in una sorta di chiosco a baldacchino, accompagnato all’interno da un’altra figura. Tali raffigurazioni sono simili a quelle della Sala del Trono e del palazzo di Dario a Persepolis, ma anche in questo caso è netta l’evidenza di un antagonismo tra monarca e sudditi: ogni uomo sostiene il peso di un’asta da trasporto sulla spalla ed afferra saldamente l’asta con una o due mani.
Fonti d’ispirazione per questa tipologia di scene provengono anche dal mondo elamita: i rilievi rupestri di Kuhl-i Farah ritraggono il trasporto rituale di un re (Ibid.: 157-158).
Probabilmente non saremo mai in grado di determinare in modo assoluto se i rilievi achemenidi debbano essere letti come pura metafora del potere reale o come descrizione metaforica di un’esibizione cerimoniale di potenza imperiale (Ibid.: 161). Ad ogni modo mi trovo a condividere la tesi di M. Root per cui il motivo del sovrano trasportato dai rappresentanti dei popoli sottomessi, i quali agiscono in maniera armonica ed aggraziata, senza dare la percezione di uno sforzo, è stato di certo progettato per trasmettere un messaggio politico denso di significato. “Il linguaggio simbolico della sua rappresentazione scultorea è il prodotto di un processo di selezione informata e adattamento di molte specifiche idee tradizionali e prototipi formali per la rappresentazione in termini monumentali di una nuova visione dell’ordine gerarchico e della regalità sulla terra: una visione che era discretamente, ma deliberatamente, adagiata in un’aura di religiosità” (Ibid.).
Questo brano è tratto dalla tesi:
L'Iconografia del Gran Re nell'Iran achemenide
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Informazioni tesi
Autore: | Lorenzo Rogliano |
Tipo: | Laurea II ciclo (magistrale o specialistica) |
Anno: | 2020-21 |
Università: | Università degli Studi di Roma La Sapienza |
Facoltà: | Lettere e Filosofia |
Corso: | Archeologia |
Relatore: | Giulio Maresca |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 156 |
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