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Regressione e resilienza democratica: Il caso dell'Europa Centro-Orientale

Il fenomeno: Democratic Backsliding

Il fenomeno dalla cui analisi prende inizio la ricerca, è noto presso la letteratura scientifica come "democratic backsliding" (Bermeo 2016; Waldner e Lust 2018), "democratic deconsolidation" (Foa e Mounk 2017), "de-democratization" (Bogaards 2018) o "autocratization" (Lührmann e Lindberg 2019) e consiste nel recente decadimento di alcune "democrazie consolidate" e di conseguenza, nell'erosione o trasformazione in senso illiberale e autoritario dei pilastri su cui la democrazia si fonda. In tale ambito di ricerca, la terminologia usata tende a variare dovendo fare i conti con la necessità di concettualizzare i diversi modi in cui specifici regimi nel mondo si muovono in senso opposto rispetto all'auspicato progresso democratico.

Nel 1974 ebbe inizio quella che Huntington definiva la "terza ondata di democratizzazione". Anteriormente a questa data, solo il 30% degli Stati presentava le connotazioni necessarie di una democrazia elettorale, cioè un sistema in cui i cittadini, tramite il suffragio universale ed elezioni corrette e libere, scelgono i loro leader. In quel periodo, si conta che vi fossero circa 46 democrazie a livello globale, la maggior parte concentrate nell'Occidente sviluppato e, in minima parte, nei piccoli stati reduci dall'esperienza coloniale inglese. Esistevano poche altre democrazie in via di sviluppo come l'India, Israele e Turchia. Nei tre decenni successivi, l'espansione del "paradigma democratico" fu continua e apparentemente inarrestabile.

Sebbene alcune di queste democrazie presentassero già dei tratti illiberali, è bene ricordare che a tale diffusione corrispose un importante sviluppo dei diritti civili e politici. Tuttavia, dal biennio 2006-2007, si registra l'arrestarsi di questa tendenza positiva, assumendo valori stabili se non leggermente peggiori dal punto di vista della libertà globale. Questo cambiamento potrebbe essere concepito in modi diversi: da un lato, si potrebbe evincere che si tratti di un periodo di equilibrio per cui libertà e democrazia non hanno visto un aumento ma neppure un netto declino; dall'altro potrebbe essere visto come l'inizio di una lenta decadenza democratica.

Proprio quest'ultima prospettiva viene accolta dalla maggioranza degli studiosi ritenendo che, alle spalle di questa mancanza di miglioramenti o della modesta erosione dei livelli globali di libertà, vi siano numerose cause. Larry Diamond afferma che dal 2000 vi sono stati 25 crolli democratici, di cui 18 hanno avuto luogo dopo il 2005. La maggior parte di queste crisi appare come il risultato dell'abuso di potere e della violazione delle istituzioni da parte di leader e partiti democraticamente eletti. Oltre a quello che viene definito come "fallimento democratico", ulteriore elemento che si colloca in questo arco temporale è il declino del livello di libertà in diverse nazioni, il quale risulta essere nient'altro che l'esito di una pessima azione di governo.

In particolare, il declino dei diritti politici è collegato, il più delle volte, ad un malfunzionamento a livello statale di due elementi essenziali già citati: rule of law (Stato di diritto) e trasparenza, strettamente connessa alla corruzione. Questo è stato certamente il caso di alcuni stati africani ma anche dell'Asia e dell'Europa post-comunista. Il modus operandi dei soggetti ai vertici dello Stato è il medesimo: abuso di potere, mancanza di trasparenza e responsabilità, clientelismo.

Tali leader costruiscono artificiosamente il proprio nemico, consistente nell'opposizione, il quale viene intimidito e ostacolato al fine di poter accumulare quanto più potere possibile. Non solo viene ridotto lo spazio appartenente all'opposizione politica ma spesso soprattutto, quello della società civile e dei media. Ciò in un contesto in cui le strutture statali e quelle economiche si rivelano deboli e soggette a vuoti di potere e competenze.

La crisi finanziaria globale e la grande recessione del 2007-09 sono alla base del fenomeno del democratic backsliding, il quale non ha colpito esclusivamente le democrazie "deboli" già considerate a rischio, ma anche nazioni che, come la Polonia e l'Ungheria, erano considerate baluardi del processo di democratizzazione dell'Europa post-comunista. In tale caso, non si tratta di un processo indotto da colpi di stato, guerre civili o rivoluzioni. Quello a cui si assiste è un declino della qualità della democrazia, guidata da partiti che democraticamente assumono i maggiori poteri politici.

Fattori quali la recessione, ineguaglianza, immigrazione, austerity e cambiamenti sociali estremamente rapidi sono divenuti terreno fertile per politiche volte a provocare esclusione, portate avanti da partiti politici tendenzialmente populisti, i quali facendo leva su una popolazione sofferente, hanno indirizzato e tutt'ora indirizzano il malcontento nei confronti di élites corrotte che avrebbero agito contro gli interessi del popolo sovrano.

Il termine "populismo" rappresenta una delle parole chiave della politica contemporanea e trova le sue radici in un'irriducibile contrapposizione tra "il popolo", visto come un'entità omogenea, coesa e moralmente superiore, e le élites, che sistematicamente agiscono contro gli interessi del primo fino al punto di svuotare e far venire meno il principio fondamentale della sovranità popolare. Proprio questa idea permette al populismo di divenire uno strumento politico capace di influenzare la competizione elettorale e il funzionamento dei regimi democratici. L'elemento che permette di distinguere tra i diversi partiti populisti è il modo in cui il popolo viene rappresentato.

Nel caso europeo, tali partiti tendono a svilupparsi nell'area conservatrice, motivo per cui la religione, la nazionalità, la cultura, le tradizioni e la sovranità dello Stato diventano i simboli da proteggere e salvare in quanto minacciati da influenze e dinamiche esterne come i flussi migratori e la globalizzazione. Il fenomeno è stato dunque identificato come "ethnopopulism", in grado di fabbricare i nemici del popolo e di adattarli agli eventi ma soprattutto capace di vincere le elezioni e di mantenere il proprio potere nel corso del tempo. Tuttavia, il populismo, non è necessariamente un veicolo verso il decadimento democratico.

L'etnopopulismo però, riscontrabile in Polonia e in Ungheria, è di per sé anti-pluralista e la volontà di difendere gli interessi del "vero popolo" comporta che i leader e i partiti appartenenti all'opposizione vadano delegittimati in quanto ritenuti pericolosi. Una volta assunto il potere esecutivo, rafforzato da importanti maggioranze parlamentari, l'azione viene rivolta alle istituzioni giudiziarie, ai media indipendenti e alla società civile. La ricerca, come già ricordato, viene collocata all'interno di uno spazio ben preciso, l'Europa Centro Orientale, soffermandosi su quattro paesi: Ungheria, Polonia, Repubblica Ceca e Slovacchia. La scelta di tali paesi deriva soprattutto dalla necessità di circoscrivere la ricerca ad un'area geografica precisa interessata da tali fenomeni e dal fatto che essi possono essere considerati come "most similar cases" e dunque, casi simili in tutto tranne che in alcune variabili, le quali permettono di identificare le cause che spiegano il loro differente comportamento e andamento politico.

Questo brano è tratto dalla tesi:

Regressione e resilienza democratica: Il caso dell'Europa Centro-Orientale

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Informazioni tesi

  Autore: Gaia Caristi
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2021-22
  Università: Università degli Studi di Messina
  Facoltà: Scienze Politiche
  Corso: Scienze politiche e delle relazioni internazionali
  Relatore: Eugenio  Cusumano
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 161

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Parole chiave

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repubblica ceca
slovacchia
ungheria
democrazia
comparazione
scienza politica
crisi democratica
illiberalismo
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