Il Racconto del film e l'immaginario della fotografia. Dinamiche intermediali e scambi narrativi nel rapporto cinema-fotografia. Alcuni casi di analisi.
Il découpage e lo ''sguardo'' di Antonioni
Antonioni, insofferente alle regole canoniche e alle abitudini dello spettatore, ha sempre cercato di mettere in discussione il sistema tradizionale del racconto filmico, cercando strade diverse dal normale ordine delle sequenze. Questa ricerca per una forma nuova del raccontare corre ovviamente parallela all'evoluzione del suo stile, dell'attenzione spasmodica per la forma. In questo modo sono ravvisabili due spinte differenti e complementari in ogni film: da un lato una forza che comunque lega i fatti, li articola, tende insomma a costruire un racconto; dall'altro invece una tendenza a sezionare gli eventi e a distenderli nel tempo.
Se si prendono in esame la totalità della sua opera, ciò che maggiormente l'ha caratterizzata è la dilatazione, quella sua tendenza ad "abbassare" le punte del racconto, a diradare il tessuto narrativo.
I famosi "tempi morti" antonioniani sono costituiti da queste pause dello sviluppo narrativo, e l'azione si prolunga oltre il tempo convenzionale. Viene messo in discussione tutto l'arco narrativo del film, persino il finale, che in molti casi, e Blow-up è uno di questi, rimane "sospeso". Quindi questo modo di raccontare affronta direttamente il problema delle codificazioni "forti" dell'apparato narrativo cinematografico, ma allo stesso tempo prende spunto da altri linguaggi.
Per esempio è noto come spesso Antonioni utilizzi degli schemi riallacciabili alla struttura del giallo. Anche Blow-up si configura come una sorta di mistero da svelare: l'immagine del delitto appare come l'oggetto dell'indagine del film. Solamente che, come abbiamo visto, l'andamento narrativo prende altre direzioni rispetto a quelle classiche, depistando lo spettatore abituato ai soliti procedimenti convenzionali. In questo senso Antonioni introduce delle modifiche, delle alterazioni, degli scarti, in modo tale da rendere l'esito imprevedibile, in quello che è stato definito un "giallo alla rovescia".
In pratica la domanda che pone il film, con tutta l'inchiesta che ne consegue, verrà rimpiazzata nel finale da un'altra domanda.
Ma a parte questo riciclo di contenitori narrativi, per Antonioni sono i legami tra le immagini a produrre il racconto, facendo coincidere l'organizzazione della visione con l'organizzazione della storia.
E' ancora un "andare oltre", un arrivare al fondo irriducibile dell'immagine, che è fondo di mistero2. E qui sta lo scarto rispetto ai film precedenti, che mettevano in scena uno "sguardo critico" nei confronti dei sentimenti e della natura umana. Con Blow-up si assiste al passaggio verso una "critica dello sguardo", ossia un cinema dove l'esperienza narrata e l'esperienza dello sguardo che la narra sono ambedue, parimenti, il tema del racconto. Ma perché ciò avvenga è necessaria una forma più adatta a spiegarlo.
Ecco che la prima impressione del film è di una linearità e una consequenzialità che nella tetralogia non c'era. Si passa drasticamente all'oggettività, alla serenità del "cinema della trasparenza", dove si adotta una struttura compositiva classica, razionale, fondata sulla simmetria. Anche nel montaggio notiamo un'asciuttezza di linguaggio priva delle distensioni a cui Antonioni ci aveva abituato.
Diminuiscono le dilatazioni, i vuoti, ma anzi, quando sono presenti, sembrano orientati alla costruzione del personaggio non solo come agente dell'azione drammatica, ma anche come agente dello sguardo.
Quest'ultimo diviene un soggetto "culturalmente identificato", che diventa anche un correlato oggettivo di un particolare "sentimento" di realtà. Come abbiamo detto prima, Thomas vive di immagini che sono, dopotutto, la rappresentazione della realtà. L'episodio del "coito fotografico simulato", oppure l'acquisto dell'elica, o ancora la lotta per la conquista del pezzo di chitarra, indicano una condizione esistenziale in cui l'apparenza delle cose è più importante della loro verità. Thomas vive in questa condizione, e anche il contatto con la dura realtà degli operai non produce nessun senso critico, ma anzi spinge il fotografo a volerne ricavare un album da pubblicare. L'apparenza di realtà, il mondo delle immagini, diventa per il protagonista di questo film più importante della vita vera, che irrompe d'improvviso e mina ogni certezza pregressa.
Questo senso dell'apparenza di vita è anche alla base dell'atteggiamento culturale della sensibilità mod. George Slover individua questo collegamento all'inizio e alla fine del film, quando fanno la loro comparsa i mimi. Essi stessi, come il fotografo, sono il correlato oggettivo di questa particolare sensibilità nei confronti del mondo. Appena entrano in scena, e poi nel finale durante la partita di tennis inesistente, i mimi rompono lo sguardo "trasparente" che ritroviamo nel resto del film. La finzione dei mimi rivela, duplicandola, la finzione stessa dell'atteggiamento di Thomas, costringendolo a una riflessione sul senso. Thomas, nel finale del film, non arriva a nessuna verità, e il mistero della morte, che aveva avviato l'indagine, rimane irrisolto.
Questo ci viene spiegato dalle parole dell'autore stesso:
Io non so com'è la realtà. La realtà ci sfugge, mente continuamente. Quando crediamo di averla raggiunta, la situazione è già un'altra. Io diffido sempre di ciò che vedo, di ciò che un'immagine ci mostra, perché "immagino" quello che c'è al di là; e ciò che c'è dietro un'immagine non si sa. Il fotografo di Blow-up, che non è un filosofo, vuol andare a vedere più da vicino. Ma gli succede che, ingrandendolo, l'oggetto stesso si scompone e sparisce. Quindi c'è un momento in cui si afferra la realtà, ma il momento dopo sfugge. Questo è un po' il senso di Blow-up.
In compenso, alla prima domanda che poneva il film e che rimane senza risposta, se ne aggiunge un'altra, quella che riguarda l'immagine, il suo statuto estetico, l'importanza che noi le diamo.
Quando il fotografo ritorna nello studio e non trova più le foto, si rammarica del fatto di aver perso le immagini, e così chiede al suo amico scrittore di andare nel parco con lui a fotografare il cadavere. L'unica immagine rimasta è una macchia biancastra, ormai la foto è un "oggetto estetico" che "sembra un quadro di Bill", l'amico che dipinge quadri astratti senza referenti reali. Quindi il dolore che Thomas prova è per la privazione delle immagini, non per la privazione del reale, subordinato a queste ultime.
Nell'ultima scena del parco, in compagnia dei mimi, avviene comunque una sorta di momento epifanico, in cui questo squilibrio viene in superficie. La partita simulata è una sorta di rappresentazione di questo delirio, che per metafora arriva a spiegare anche il vivere sociale, fatto di apparenze prive di significato. E come in una recita, bisogna adeguarsi alle regole del gioco. Ecco perché i mimi, portatori di una sensibilità estetica che ha privato la realtà del suo senso, sono allo stesso livello del fotografo. Quest'ultimo, ripreso dall'alto in campo lunghissimo, rimasto solo svanisce d'improvviso nel nulla. Ecco che si inserisce un "altro sguardo", quello dell'autore, che viola i codici della "trasparenza" e ci riporta alla questione del senso. Il campo verde che si apre davanti ai nostri occhi è l'atto grazie al quale lo sguardo si rende presente nella narrazione, cosicchè il vero oggetto di riflessione del film, l'enigma presentato attraverso questa simmetria circolare, è in sostanza lo stesso soggetto dello sguardo.
Questo brano è tratto dalla tesi:
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Informazioni tesi
Autore: | Nicola Doria |
Tipo: | Laurea II ciclo (magistrale o specialistica) |
Anno: | 2009-10 |
Università: | Università degli Studi di Roma La Sapienza |
Facoltà: | Lettere e Filosofia |
Corso: | Forme e tecniche dello spettacolo |
Relatore: | Andrea Minuz |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 109 |
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