Le Politiche d'asilo fra Unione Europea e Italia
Il Consiglio e il Consiglio europeo
Proseguiamo la nostra analisi passando ora allo studio del Consiglio, che rimane l’istituzione europea più influente e guardiana degli interessi degli Stati membri, particolarmente nei riguardi della rilevanza sovrannazionale delle questioni GAI. Il Consiglio come istituzione europea esiste fin dall’adozione del Trattato di Roma nel 1957. Il Consiglio Europeo fu creato nel 1970 e informalmente istituzionalizzato quattro anni più tardi, assurgendo all’ufficialità con il Trattato di Lisbona, diventando un’istituzione sovrannazionale dell’Unione Europea a tutti gli effetti. Il Consiglio Europeo, in cui sono presenti primi ministri, cancellieri e presidenti, è formalmente convocato due volte all’anno. Dal 2009 il Consiglio Europeo è presieduto permanentemente da un Presidente eletto a maggioranza qualificata per due anni e mezzo. Questo ha comportato un conseguente incremento del ruolo del Consiglio Europeo come esecutivo intergovernativo dell’UE ma, al contempo, ha ridotto l’influenza dei singoli stati membri nella loro presidenza semestrale (Alexandrova e Timmermans 2013). Il Consiglio ha svariate formazioni a cui partecipano i vari ministri degli Stati membri competenti per la materia in oggetto; gli incontri si tengono solitamente a Bruxelles una volta al mese. Il Consiglio è considerato il cuore del sistema istituzionale dell’UE e condivide, assieme al PE, il potere decisionale a seguito nell’entrata in funzione della procedura legislativa ordinaria, la cosiddetta co-decisione. Prima del Trattato di Lisbona - per quanto riguarda la materia oggetto nel nostro studio, ma anche per altre materie - la regola di voto era l’unanimità, il che vuol dire che ogni Stato membro otteneva automaticamente un diritto di veto ed era in grado di bloccare una proposta. Con il Trattato di Lisbona e il nuovo sistema di voto a maggioranza qualificata (QMV), basato sulla cosiddetta “doppia maggioranza”, è diventato molto più difficile per gli Stati membri fare ostruzionismo. Nonostante ciò il ricorso al voto durante le sedute del Consiglio risulta essere un evento piuttosto raro vista la cultura altamente consensuale dell’istituzione, sviluppatasi nel corso del tempo e supportata dalla Commissione (Lewis 2016, 139-148). Alla base, il consenso cerca di bilanciare gli interessi degli Stati membri in merito alla maggiore o minore integrazione europea. È la principale regola informale nel processo decisionale dell’UE e risale al celeberrimo “compromesso di Lussemburgo”. Da allora, la regola informale coesiste con gli obblighi dei trattati ed è sopravvissuta a numerosi tentativi di abrogazione. Tuttavia, il consenso tra gli Stati membri non implica che l’unanimità sia continuata. Il consenso, inoltre, non indica necessariamente che un accordo sia stato raggiunto; è infatti possibile che sia stata assicurata la maggioranza qualificata senza un voto formale o una esplicita opposizione. Nel caso in cui si proceda con un voto, le astensioni contano come “no” per una proposta, in quanto è necessario soddisfare il quorum per l’adozione della stessa; conseguentemente, le astensioni vengono considerate voti negativi e possono essere intese come opposizione esplicita. Contrariamente alla regola dell’unanimità, quindi, l’opposizione con il QMV conta e diventa visibile (Roos 2018, 426).
I tre principali filoni interpretativi e di studio riguardo i processi del Consiglio sono:
▪ intergovernativo e statocentrico, che cerca di spiegare se e perché gli Stati membri hanno condiviso la propria sovranità in seno al Consiglio per uno specifico settore di policy (Moravcsik 1998);
▪ neo-istituzionale, tramite l’analisi della rational choice e l’approccio sociologico si cercano di risolvere i dubbi lasciati irrisolti dal primo approccio (Tsebelis 1990);
▪ neo-intergovernativo, dove l’enfasi viene spostata dal Consiglio come istituzione legislativa a quella di istituzione europea che assume potere esecutivo e facilita il coordinamento di policy (Bickerton, Hodson e Puetter 2015).
La teoria intergovernativa, che sottolinea gli interessi degli Stati membri nella cooperazione europea, domina lo studio del processo decisionale nell’area GAI per quanto riguarda il Consiglio. L’evoluzione tardiva di questo settore di policy facilita la spiegazione sostenuta da studiosi che adottano questo approccio. Infatti, è stato solo dall’entrata in vigore del Trattato di Maastricht nel 1993 che si iniziò a parlare di politiche GAI. L’approccio intergovernativo ha sottolineato che la cooperazione intergovernativa all’interno e all’esterno del Consiglio ha creato un luogo in cui i funzionari nazionali dei ministeri dell’interno potevano elaborare un’agenda europea più restrittiva incentrata sulla sicurezza (Geddes 2000, 93). Il cosiddetto “venue shopping” permetteva quindi l’adozione di politiche più restrittive, fuggendo dai veto players e dalle limitazioni giudiziarie provenienti dalle arene nazionali (Guiraudon 2000, 261). Le preferenze e gli interessi di politica nazionale guidavano le posizioni degli Stati membri nella definizione delle politiche europee (Guiraudon e Lahav 2006; Lavenex 2001). Seguendo la teorizzazione di Guiraudon del “venue shopping”, le teorie statocentriche spiegano i policy outcomes conseguite dal Consiglio proprio come prodotto dell’utilizzo dell’UE da parte degli Stati membri per perseguire interessi di politica nazionale. Le regole del processo decisionale del Consiglio spiegherebbero questa logica. Infatti, le decisioni basate sull’unanimità conferivano ad ogni Stato membro il potere di veto su una policy rendendo, di fatto molto, più probabile che i policy outputs fosse il minimo comune denominatore. La successiva trasposizione e implementazione della legislazione europea permetteva di minare in maniera comparativa gli standard più elevati di alcuni Stati membri (Maurer e Parkes 2007). Numerosi studiosi hanno però dimostrato che il prodotto di policy ipotizzato dalla teoria del “venue shopping” non è necessariamente il minimo comune denominatore, come esposto da Thielemann e El-Enany (2010) ma soprattutto da Zaun (2017) – di cui parleremo più approfonditamente al termine di questo capitolo.
Il secondo approccio - prendendo spunto da varianti del neoistituzionalismo, in particolare la rational choice - cerca di analizzare gli Stati membri come attori influenzati dall’ambiente istituzionale a livello europeo al fine di giungere ad una comprensione più sfumata delle preferenze mutevoli degli Stati membri e del loro comportamento durante i negoziati in seno al Consiglio. Partendo dall’assunto che gli Stati membri siano attori orientati all’obbiettivo che cercano di massimizzare la propria utilità dei policy outputs, stabiliscono che le preferenze degli Stati sono determinate endogenamente oppure determinate in modo esogeno dalle regole e dalle norme, quindi dalle istituzioni con cui lo Stato membro interagisce. In questa impostazione si applica una “logica del consequenzialismo” che spiega perché gli Stati membri si astengano da contrattazioni a breve termine di quid pro quo nel Consiglio e, quindi, sia più probabile il verificarsi di situazioni di stallo. Viene preferito invece il compromesso e il consenso, in quanto concepito come garanzia di un guadagno a lungo termine che riconosce la “reciprocità diffusa” del processo decisionale dell’UE (Lewis 2015, 225); la “logica dell’adeguatezza” evidenzia le aspettative collettive derivanti da un comportamento appropriato fra gli attori del Consiglio (Lewis 2005). Esempio di come le istituzioni possono influire sul comportamento degli attori è dato dall’analisi condotta da Aus (2008) che ha dimostrato come entrambi gli approcci siano applicabili alle policy GAI. Infatti, durante le negoziazioni del Regolamento Dublino III gli Stati membri hanno attraversato processi distinti per l’adozione della legislazione. All’inizio dei negoziati, una fase di contrattazione intergovernativa aveva spinto gli attori a cercare di ottenere risultati che potessero massimizzare il loro interesse. Sull’orlo dello stallo, gli Stati membri hanno iniziato a considerare la reciprocità diffusa dei loro veti e le ricadute su altre aree di policy. La “logica del consequenzialismo” ha quindi preso piede e il risultato fu una serie di posizioni di compromesso (Aus 2008, 114). Le negoziazioni in seno al Consiglio sul Dublino II hanno seguito una sequenza: le posizioni di compromesso non erano possibili sia per via del reciproco contrattare, sia perché gli Stati membri avevano seguito le specifiche regole informali del Consiglio che consentivano il consenso (ivi, p. 116). Dopo essersi scambiati tutte le argomentazioni ed essersi resi conto che l’opposizione non avrebbe portato ad una contrattazione di successo, gli Stati membri si sono rassegnati al processo decisionale consensuale piuttosto che rimanere isolati all’opposizione (ibid.). Ulteriore e ancor più importante esempio di come le procedure istituzionali determinino le posizioni degli Stati membri in senso al Consiglio GAI viene dai cambiamenti del processo decisionale. L’entrata in vigore dei cambiamenti istituzionali avvenuti con l’adozione dei Trattati di Amsterdam (1999), Nizza (2003) e Lisbona (2009) ha portato alla completa comunitarizzazione del processo decisionale passo dopo passo giungendo infine al voto a maggioranza qualificata.
Infine l’ultimo approccio, quello neo-intergovernativo, sostiene che l’integrazione europea sia promossa al di fuori del metodo comunitario. Intensificando il coordinamento delle politiche in seno al Consiglio Europeo, si sostiene che gli Stati membri promuovano l’integrazione europea senza il coinvolgimento di istituzioni realmente sovrannazionali, creando una sorta di “integrazione senza sovranazionalizzazione” (Bickerton, Hodson e Puetter 2015, Fabbrini e Puetter 2016). Queste forme di cooperazione consentono un maggiore coordinamento politico volontario fra gli Stati membri senza la piena inclusione della Commissione e della CGUE a livello sovrannazionale (Bickerton, Hodson e Puetter 2014, 704). Recenti studi hanno dimostrato come il Consiglio Europeo si sia evoluto da un organismo che stabiliva le priorità generali per l’UE ad un’istituzione che risulta sempre più coinvolta nelle politiche quotidiane del Consiglio. Rappresentazione di quanto descritto è, dal 2009, la Presidenza permanente del Consiglio che permette un maggior coordinamento politico direttamente fra gli Stati membri nel Consiglio Europeo. Un ulteriore indicatore di questo sviluppo è la frequente delega di specifiche funzioni ai cosiddetti organi de novo, cioè alle agenzie semi-autonome dell’UE che permettono un’azione collettiva senza autorizzare le istituzioni sovrannazionali (Bickerton, Hodson e Puetter 2014, 713; Scipioni 2018). L’analisi del coordinamento delle politiche degli Stati membri durante la crisi migratoria nel 2015 e 2106 mostra chiaramente come il Consiglio Europeo abbia assunto un ruolo di gestore della crisi nell’area GAI. Tuttavia, le diverse preferenze degli Stati membri riguardo alle soluzioni della crisi, come i sistemi di trasferimento volontari o obbligatori per i rifugiati, hanno portato a una paralisi e all’incapacità di risolvere i problemi. Maricut, nella sua analisi, scopre che nell’area GAI la maggioranza degli Stati membri preferisce concretamente una “integrazione senza (piuttosto che con) sovranazionalizzazione” (Maricut 2016, 546). Allo stesso tempo sostiene che, malgrado la graduale sovranazionalizzazione dopo Lisbona, il neo-istituzionalismo nell’area GAI sia osservabile in modi molti simili ai vecchi schemi del processo decisionale intergovernativo (ivi, p. 542). Ciò che è indubbio è il ruolo decisivo svolto dal Consiglio Europeo nel definire l’area GAI. I capi di stato e governo si sono regolarmente incontrati in questo ambito a partire dal 1975. Esempi di questa influenza sono i tre programmi quinquennali sulle questioni GAI prodotti da altrettante riunioni del Consiglio Europeo: Tampere nel 1999, l’Aia nel 2004 e Stoccolma nel 2009. Fra tutti, il programma di Tampere formulato sotto la presidenza finlandese oltre ad aver concettualizzato l’”Area of Freedom, Security and Justice” ha anche avuto una duratura influenza sulle successive motivazioni per lo sviluppo delle politiche GAI. Inoltre, ha gettato le basi per la successiva adozione della Carta dei Diritto Fondamentali dell’UE (Lavenex e Wallace 2005, 469). Con la fine del programma di Stoccolma, gli Stati membri hanno smesso di definire obbiettivi nei settori GAI nei piani quinquennali. Questo suggerisce un importante cambiamento nelle intenzioni degli Stati membri di sviluppare sistematicamente e controllare parzialmente l’agenda in questa area (Maricut 2016, 543). Questo può significare che gli Stati membri abbiano limitato la funzione della Commissione nel sorvegliare l’attuazione piuttosto che promuovere un’ulteriore integrazione nell’area. Inoltre, l’abbandono di strategie a lungo termine consente una maggiore flessibilità e un’eventuale risposta politica ad hoc per eventi attuali. A tal proposito, la discontinuità rispetto al passato potrebbe stare ad indicare che gli Stati membri stiano cercando di sviluppare il Consiglio Europeo - anche nell’area GAI - per diventare ancor di più il potere esecutivo dell’UE (Roos 2018, 429). L’attuale AFSJ è sempre stata dominata dagli Stati membri e ha funzionato in un modo intergovernativo fin dagli anni ’90 (Lavenex e Wallace 2005, 498; Ripoll Servent e Trauner 2014). Un settore e delle politiche così strettamente collegate alle questioni che toccano il nucleo della sovranità nazionale non poteva che essere comunitarizzato assicurando un ruolo centrale per il Consiglio Europeo e il Consiglio. Di conseguenza, si può affermare che questo settore politico sia un ibrido, in cui coesistono modalità decisionali sovrannazionali e intergovernative (Maricut 2016, 552).
Per concludere il nostro intervento sul Consiglio, analizziamo ora le relazioni con le altre istituzioni sovrannazionali europee. Alla luce dei vari cambiamenti nei trattati durante gli anni 2000, si è discusso copiosamente riguardo alla condivisione del potere del Consiglio con il PE e la Commissione nei settori GAI. L’enfasi è stata posta sul ruolo degli attori sovrannazionali nell’area, esaminando le relazioni fra le varie istituzioni dell’UE, ed è quello che stiamo cercando di fare anche noi in questa sede. Ad esempio, come analizzato nel paragrafo precedente, la Commissione è stata considerata essere un “imprenditore di policy” che è riuscita a gestire e inquadrare abilmente l’agenda europea, esercitando un elevato impatto su negoziati e risultati delle policy (Kaunert 2009, 2010; Roos 2013). Con l’introduzione della co-decisione con il Parlamento europeo, la Commissione ha ricoperto gli effetti del cambio del trattato sulle relazioni di potere fra Consiglio e PE. Contrariamente alle aspettative che prevedevano un cambio sostanziale nel processo decisionale a seguito del coinvolgimento del PE nell’area GAI, le osservazioni nell’area delle politiche d’asilo hanno evidenziato un differente risultato (Ripoll Servent e Trauner 2014). Mentre la posizione del PE – da posizioni più liberali a quelle più restrittive – può essere cambiata a causa della crescente maturità dell’istituzione nella procedura di co-decisione, poco o nulla si sa del Consiglio e di come si sia adattato alla presenza del PE al tavolo dei negoziati. Altrettanto scarne sono le informazioni dei comportamenti del Consiglio durante i trialoghi con la Commissione e il PE; o ancora delle dinamiche che entrano in gioco nel Consiglio circa il comportamento di voto degli Stati membri, delle loro alleanze e scissioni sottostanti che guidano le decisioni in materia GAI (Roos 2018, 431), sollevando quindi serie questioni di trasparenza e accountability (Lewis 2016, 151-153).
Questo brano è tratto dalla tesi:
Le Politiche d'asilo fra Unione Europea e Italia
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Informazioni tesi
Autore: | Luca Gatto |
Tipo: | Laurea II ciclo (magistrale o specialistica) |
Anno: | 2018-19 |
Università: | Università degli Studi di Bologna |
Facoltà: | Scienze Politiche |
Corso: | Scienze delle pubbliche amministrazioni |
Relatore: | Lucia Quaglia |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 297 |
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