La responsabilità e il fallimento del socio unico di una s.r.l. unipersonale

Da quanto detto al paragrafo che precede, emerge una situazione in cui risulta oggettivamente possibile che il socio unico compia abusi a danno della società e conseguentemente a danno dei terzi, che con questa entrano in contatto, tanto da vedere diminuite le garanzie dei propri crediti, specie quando l’unico socio, una volta che abbia adempiuto agli oneri pubblicitari e di conferimento, resti esente da qualsiasi ipotesi di responsabilità. Nella relazione alla proposta di XII direttiva, il legislatore comunitario, in riferimento all’art. 5 e in espressa previsione della sussistenza di un potenziale conflitto di interessi tra socio unico e società, afferma che “qualsiasi patto stipulato tra una società unipersonale o pluripersonale e un socio rischia di far sorgere un conflitto di interessi”, rischio “maggiore per la società unipersonale, per la quale è altresì indispensabile una certa trasparenza di questi patti come per le decisioni dell’unico socio in luogo dell’assemblea dei soci”. Preso atto che i contratti e le operazioni fra socio unico e società sono ammessi dalla stessa legge, non si deve aprioristicamente ritenere che ogni rapporto contrattuale intercorso fra i due soggetti interessati, celi un conflitto di interessi, ma non si può nemmeno dubitare che, in un rapporto di scambio, le rispettive parti perseguano interessi contrapposti e che ciascuna parte tende a realizzare dal contratto il maggior profitto possibile. Nella situazione in cui si discute, potrebbe verificarsi addirittura il caso in cui la società, dal contratto o dall’operazione intercorsa con il socio unico, non tragga alcun beneficio. In tale ipotesi è indiscutibile che il conflitto di interessi sia in re ipsa, in quanto il rapporto è sorto con l’unico scopo di avvantaggiare il socio unico. Difficilmente applicabili al caso di specie, saranno quegli articoli dettati specificatamente in materia di conflitto di interessi, in particolar modo l’art. 2479 ter che al comma 2 prevede che “le decisioni assunte con la partecipazione determinante di soci che hanno, per contro proprio o di terzi, un interesse in conflitto con quello della società” possono essere impugnate, qualora tali decisioni rechino un danno alla società, dai “soci che non vi hanno consentito, da ciascun amministratore e dal collegio sindacale entro novanta giorni dalla loro trascrizione nel libro delle decisioni dei soci” (art. 2479 ter, comma 1, c.c.). Risulta difficile pensare che sia l’unico socio a intraprendere tali azioni; altrettanto difficile risulta l’ipotesi di un intervento da parte dell’amministratore (qualora questo fosse diverso dal socio unico), essendo nominato direttamente dal socio unico e, presumibilmente, soggetto di fiducia di quest’ultimo.