La pragmatica musicale nella comunicazione liturgica dopo il Concilio Vaticano II. Cum musica fit sacra.
Il canto come musica nel rito
Questa comunanza e analogia tra canto e amore è la stessa che la chiesa ha sempre riconosciuto più o meno esplicitamente, attraverso il riconoscimento di un posto di primo piano dato proprio al canto. Parlare di canto come “musica rituale”, ovvero musica del rito, per il rito, e anche musica come rito, non è un’operazione davvero troppo complessa e artificiosa nell’intenzione. Infatti, il canto è di per sé un atto che prevede già in principio, originariamente, una “disposizione rituale” del cantante. Chiunque canti, o si trovi a dirigere un coro che canta, sa che il cantante, per assolvere al suo ruolo, si dispone in una modalità che definire rituale non è arduo né difficile da comprendere. Come in un rito che preveda riti di inizio, sequenze rituali intermedie che interpellino parola e corpo, e riti conclusivi, così il cantante segue necessariamente (più o meno consapevolmente a seconda del proprio grado di professionalità) un processo analogo.
I riti iniziali di un qualunque canto prevedono, sempre, una determinata posizione e postura, una gestione della respirazione che si auto-organizza in maniera differente rispetto all’uso vocale fonatorio ordinario, e un riscaldamento vocale che non è affatto dissimile a qualunque preparazione necessaria per entrare efficacemente all’interno di un determinato esercizio rituale, sia esso un gioco, una competizione, o una performance artistica, teatrale, o religiosa. Si pensi a come un calciatore entra in campo (entrata preceduta da riscaldamento, consigli, concentrazione, a volte riti propiziatori), o a come un attore si prepara ad entrare in scena (con i consueti riti che coinvolgono regista e gruppo dei teatranti nel comporre un’identità dell’attore che trova sostanza nell’appartenenza al corpo degli attori), o in particolare per il nostro studio a come un fedele si dispone al rito religioso. C’è chi entra nel rito distrattamente, magari in ritardo, con la mente altrove, in maniera decontestualizzata. C’è, invece, chi si prepara, chi arriva per tempo, e si dispone con il silenzio e il raccoglimento all’azione rituale che andrà a vivere. C’è chi riuscirà meglio in questo intento oppure c’è chi sarà disturbato da elementi esteriori o dati dal proprio turbamento interiore personale. Le stesse dinamiche sono quelle che vive colui che canta prima di vivere l’esperienza del canto (un abitare il canto come esperienza che è possibile solo nel caso di condizioni felici, per dirla con Austin, essendo il canto un atto in sé performativo). Chi conosce la tecnica vocale sa che per un cantante questi riti di introduzione prevedono la presa di coscienza dell’atteggiamento corporeo, esercizi respiratori, esercizi per i gruppi muscolari che saranno coinvolti nell’azione canora, esercizi per l’elasticità della lingua, per la scioltezza della mandibola e per l’apertura delle arcate dentarie, per il velo palatino, riscaldamento vocale e altro ancora. Si potrà obiettare: quale battezzato compie tutti questi gesti preparatori, iniziali, per cantare in un rito eucaristico? La stessa obiezione è traducile con: quale battezzato si prepara spiritualmente in modo così profondo a un’eucarestia? Se quanto richiesto dal rito per viverne appieno la propria efficacia non è attuato completamente, non per questo l’intenzionalità del sentire rituale dell’esperienza del sacro ridurrà le proprie aspettative in fase preparatoria. I riti iniziali di qualunque azione liturgica sono sempre volti al creare le condizioni di celebrabilità essenziali per l’efficacia rituale. Lo stesso vale per quanto richiesto dall’esperienza del canto.
Entrando nello svolgimento dell’azione rituale del canto, desideriamo sottolineare due attenzioni che ci sembrano particolarmente significative nell’analogia con il rito, e con il rito religioso: la respirazione e la dizione.
«Per cantare bene bisogna respirare bene: nel modo giusto e al momento giusto», scrive Vanzin nel suo Manuale del direttore di coro. Per comprendere questa “respirazione” del canto in analogia con l’azione rituale religiosa ci viene in aiuto la stessa costituzione sulla liturgia Sacrosanctum Concilium, che al n. 28 recita: «Nelle celebrazioni liturgiche ciascuno, ministro o semplice fedele, svolgendo il proprio ufficio si limiti a compiere tutto e soltanto ciò che, secondo la natura del rito e le norme liturgiche, è di sua competenza». E al numero 30 continua: «Per promuovere la partecipazione attiva si curino le acclamazioni dei fedeli, le risposte, il canto dei salmi, le antifone, i canti, nonché le azioni e i gesti e l’atteggiamento del corpo. Si osservi anche, a tempo debito, un sacro silenzio». La partecipazione del cantante all’azione canora, così come la partecipazione del battezzato all’azione rituale, necessita di un suo respiro, che va fatto bene in maniera armonica, precisa, assembleare ma a tempo debito, “al momento giusto”. Chi canta non può respirare quando vuole, indipendentemente da quanto richiesto dalla linea melodica indicata sullo spartito e prescindendo dagli altri componenti del coro. Allo stesso modo, un fedele nel rito non può stare in piedi quando gli altri sono seduti, o in ginocchio mentre tutti sono in processione. Occorre un respiro corretto ed equilibrato, conveniente a quanto richiesto dall’azione rituale, canora e religiosa. Non posso respirare sempre, o una tantum. Così come non posso “farmi sentire”, “agire attivamente”, sempre, nella celebrazione: c’è il tempo giusto per ogni cosa, per ogni inspirazione ed espirazione, perché possa riconoscere nell’azione rituale, religiosa o canora, un’azione realmente ispirata (efficace), secondo un respiro corretto, ovvero consono al ritmo delle sequenze rituali.
L’altro aspetto che ci pare significativo rispetto all’analogia con il rito religioso è quello dell’ortoepia, della dizione come corretta pronuncia della Parola, cantata e (quindi) celebrata. Nel cristianesimo è da sempre stata centrale l’attenzione alla Parola, come Voce di Dio. La rivelazione stessa nel testo sacro vive dei momenti in cui il popolo di Israele ascolta la voce di Dio. La comunicazione della Parola di Dio al popolo eletto è la via della conoscenza della volontà di Dio e lo strumento principe dell’incontro con Lui. La Parola ha un ruolo così centrale nella rivelazione cristiana da costituire la cifra del rapporto col divino, nell’incontro tra la razionalità umana e l’irrazionalità costitutiva di ogni trascendenza. Per questo motivo i padri predilessero sempre il canto sopra la musica strumentale, per il suo evidente legame con la Parola, che avrebbe riempito di significato un’esperienza, quella “solo” musicale, altrimenti troppo esposta al rischio dell’alienazione del fedele in un piacere (quello musicale appunto) esclusivamente edonistico, e prodotto, quindi dominato, dalle regole della mera tecnica umana. Allora, date queste premesse, la dizione diventa qualcosa di assolutamente importante, come per il ministero del lettorato la giusta pronuncia per la proclamazione efficace della parola. Della dizione Charles Gounod scriveva che «è in certo qual modo “l’estetica dell’articolazione”. Solo la dizione può conferire al discorso la varietà delle espressioni». Essa «consiste nella giusta distribuzione dei “tempi di suono” in ciascuna parola, nella rapidità maggiore o minore, nella organizzazione dei rapporti di senso fra parola e parola. Ravviva il discorso ed inserisce nel corpo morto della parola la circolazione delle linfe delle idee del sentimento. Ed è in questo che difettano questi cantanti che -Dio mio!- “cantano bene” o “non male”. La loro voce è “a posto”, ma non “dicono” e quindi il loro canto “non dice niente”». Quanto queste parole possono a buon diritto essere applicate ad una riflessione sulla regia del rito per la competenza dell’ars celebrandi! Non basta che un cerimoniere faccia le cose giuste, ma occorre anche che le realizzi nel modo corretto, perché la forma della celebrazione sia Gestalt di un’esperienza di trascendenza. Non sono sufficienti cose dette e cose fatte, occorre che si possa entrare nel corpo del rito, non solo rubriche e parole. Come scrive Bonaccorso, la Parola di Dio si è fatta carne in Gesù Cristo. Quindi la rivelazione non può in alcun modo limitarsi a “dire parole” e non tener conto del corpo della parola, che è la phoné, la voce che si fa necessariamente canto, indipendentemente da se sto tecnicamente cantando o meno. Quello che vogliamo dire è che il battezzato è il cantante la fede. La voce del battezzato che prega e celebra, infatti, è strumento di lode, e in questo senso non può non cantare, canta “sempre e per necessità”, nella propria articolazione, nel modo della dizione, nel tono impiegato, nella risonanza timbrica e vocale. Anche un’acclamazione recitata ha qualcosa del respiro e della dizione del canto. Lo stesso Ordinamento Generale del Messale Romano, al n. 38 parla di «testi che devono essere pronunciati a voce alta e chiara. La voce deve corrispondere al genere del testo, secondo che si tratti di una lettura, di un’orazione, di una monizione, di un’acclamazione, di un canto; deve anche corrispondere alla forma di celebrazione e alla solennità della riunione liturgica». Se applicassimo tecnicamente queste osservazioni, l’importanza decisiva del canto e delle sue dinamiche, ovvero delle competenze necessarie per “dar corpo” alla Parola di Dio e farla uscire dalla crudeltà della schiavitù della parole (per dirla con A. Artaud) come mero dire privo di corpo. Il canto è il corpo della parola, e in quanto tale restituisce alla Parola di Dio la carne che le è propria, nella pluralità di linguaggi e in una visione olistica che tiene insieme verbale e non verbale, razionale e fisiologico. Il canto non è solo “emettere voce”. Secondo la Carbone, «spesso i cantanti si preoccupano di “fare dei suoni”, sia pur belli, gradevoli e magari anche intonati, ma soltanto suoni, sacrificando quanto la musica vuole esprimere». Queste osservazioni ci sembrano tanto più importanti quando riguardano il canto nell’azione sacra rituale. Tenendo ben fisso l‘equilibrio tra l’aspetto verbale e quello incarnato, corporeo e vitale della fede (che non si esaurisce nella parola), l’atto di canto permette di tenere insieme tutti questi aspetti. Scrive Hameline: «Fides ex auditu, la fede nasce dall’udire. Inizialmente è un dire¸ narrazione di fatti, di parole, di nomi e un udire che aprono la catena dei ridire e dei rifare udire». Ma in tutto questo non bisogna dimenticare la portata “fisica” nell’istituzione della conoscenza della fede. Occorre insomma non essere “rumorosi e chiacchieroni”, come dice Hameline, e neppure scordarci dello spessore del suono della voce, chiamata a far risuonare la Voce di Dio. Tenendo insieme questi aspetti, l’atto di canto non sarà nulla meno che atto di fede.
Nel percorso sin qui svolto possiamo intravedere la struttura quadripartita del rito eucaristico: riti iniziali (preparazione, radunarsi dei battezzati-coro, disposizioni introduttive), liturgia della Parola e liturgia eucaristica (dizione e voce come corpo della parola), riti conclusivi.
Anche l’atto del cantare ha, infatti, i suoi “riti conclusivi”. Si pensi al rallentamento finale, alla dinamica che va verso un ff /fff o un pp/ppp, le cadenze (perfetta, plagale, d’inganno, sospesa, piccarda, evitata), i punti coronati. Nella forza illocutoria della cadenza conclusiva del canto finale di una celebrazione può essere custodita la forza, o la mancanza di vigore, del rito celebrato. Il modo in cui l’assemblea partecipa al canto conclusivo dice molto dell’autentico sentire comunitario. Il canto custodisce allora la dinamica rituale e comunitaria come nessun’altro linguaggio della celebrazione. Il canto nel rito è la modalità privilegiata con cui un gruppo di individui diventa comunità di fede alla presenza del Signore, presenza del Signore essa stessa. Il canto nella sua qualità performativa presentifica (Ladriere) il Risorto rendendo visibile l’invisibile. Se la Parola di Dio non è una “parola” ma una “persona”, Gesù Cristo, o meglio ancora “il corpo di Gesù Cristo”, tale corpo è da identificarsi con la comunità dei credenti (cfr. 1Cor 12, 27: «voi siete corpo di Cristo») e le condizioni fisiologiche e psichiche del corpo umano di ogni membro dell’assemblea sono indispensabili perché la realtà efficace di tale presenza. Il canto custodisce la capacità di creare le giuste condizioni fisiologiche e psichiche di ciascun battezzato, la “biologia del fare musica” dell’incontro tra umano e divino nell’azione rituale. Questo per la singolarità delle sue dinamiche simboliche.
Il punto di forza del canto è infatti la sua forza simbolica, in un processo che tiene insieme anche voce e musica. L’articolazione di voce, canto e musica nel rito si fa segno potente per la sua profonda valenza simbolica legata al sacro, come vedremo meglio più avanti. Subito dopo il concilio Vaticano II, Joseph Gelineau aveva sottolineato fortemente l’importanza dell’attenzione alla comunicazione rituale nella sua singolarità. Nella sua funzione ecclesiale di santificazione, la liturgia ha come vero compito quello di porre azioni-segno. Il segno non è riducibile a una cosa in sé (pane, vino, acqua, etc.), ma è sempre ricondotto nella dinamica pragmatica del “fare segno ad altro”, che dunque riguarda gli utenti del segno, ovvero l’assemblea. Giorgio Bonaccorso scrive che per Gelineau «nella celebrazione la forma stessa si fa messaggio [...]. In semiotica si direbbe che la pragmatica (=l’uso dei segni) condiziona la semantica (=il significato dei segni); il semplice segno, infatti, subisce quasi sempre delle modifiche nell’atto comunicativo; ancor più il simbolo, che è il segno più tipico del linguaggio liturgico». In Gelineau si vede come il problema del linguaggio liturgico si incontra con quello del contesto culturale dell’assemblea. Il modo in cui i diversi ambiti si incrociano è nella qualità performativa della comunicazione liturgica, sempre relativa al contesto rituale: «il valore performativo della comunicazione [rituale, ndr] è legato alla cultura di appartenenza, ma tende anche a creare contesti specifici nella medesima cultura». Nel processo di creazione del contesto rituale del sacro, il canto (che nasce dalla voce) e la musica hanno un ruolo privilegiato per alcune ragioni, tra le quali desideriamo sottolinearne alcune che ci sembrano fondative per il nostro discorso e che emergono da autori protagonisti della riflessione sulla questione liturgica. La prima, che ritroviamo ampiamente in Maurice Festugière è la connaturalità tra bellezza estetica ed esperienza religiosa che si rende evidente nel momento celebrativo, dal momento che «la liturgia è la voce e il mezzo di azione della Chiesa». Nella sua opera miliare La liturgia cattolica del 1913, Festugière spiega la stretta unione tra arte e liturgia, tra bellezza e liturgia. In esse c’è una relazione intima tra l’emozione estetica e l’esperienza religiosa, tra il bello e il sacro. Nella sua riflessione, «il problema non è quello [...] dell’ “arte sacra”, ma quello di una connaturalità che consente di scoprire il “sacro nell’arte”. L’interesse della liturgia per l’arte, per la bellezza e in generale per l’esperienza estetica, è già un modo di accogliere Dio». Se la liturgia è “voce e azione” della Chiesa, la phoné e il canto assumono un ruolo decisivo di analogatum principes per renderlo manifesto.
Nella voce e nel canto e, di conseguenza, nella musica che li accompagna e struttura e che essi sono (la voce ha una sua musicalità e il canto è già musica che viene dall’interiorità del corpo sonoro dell’uomo, anche se intendiamo più generalmente con ‘musica’ quella che viene dall’esterno, da fuori di noi, dagli strumenti) avviene quell’incontro tra razionale e irrazionale che era già tematizzato da Rudolf Otto ne Il Sacro. Per Otto, «l’esperienza religiosa non può essere paragonata a una suggestione o peggio a un’allucinazione: essa fa capo a una presenza indiscutibile, che permette ogni altra concezione, anzi tale presenza è così fondamentale che risulta “immediata”, “ostensiva”, nn frutto di un’elaborazione mentale, ma di un’intuizione e di un sentimento diretto. È direttamente correlata all’intuizione che la coglie». È Romano Guardini che «con un atteggiamento tipicamente fenomenologico» trova una “terza via” per ridare ragione dell’unità concreta e vivente< che è l’uomo riunendo la via razionalista del “concetto” con quella irrazionalista del sentimento e dell’ “intuizione”: è l’opposizione polare (Gegensatz), come struttura fondamentale della realtà. Come spiega Bonaccorso, in Guardini «la conoscenza è la visione (Anschauung) ossia il continuo passaggio o transito tra concetto e intuizione. L’atto di “visione”, proprio per questa sua natura polare, “può essere immediatamente espresso soltanto in forma concreta: per mezzo di azione o d’un simbolo e nel proprio essere”». Il canto e la musica sono l’equivalente sonoro di questo atto di visione, sono l’effetto della visione e insieme visione essi stessi, ne sono l’efficacia visibile, proprio per il loro muoversi tra concetto (parola, il testo del canto, l’aspetto cognitivo, linguistico) e intuizione (sentimento, emozione, pre-linguistico).
Questo brano è tratto dalla tesi:
La pragmatica musicale nella comunicazione liturgica dopo il Concilio Vaticano II. Cum musica fit sacra.
CONSULTA INTEGRALMENTE QUESTA TESI
La consultazione è esclusivamente in formato digitale .PDF
Acquista
Informazioni tesi
Autore: | Edoardo Marengo |
Tipo: | Laurea II ciclo (magistrale o specialistica) |
Anno: | 2018-19 |
Università: | Istituto Liturgia Pastorale S. Giustina - Padova |
Facoltà: | Teologia |
Corso: | Liturgia Pastorale |
Relatore: | Roberto Tagliaferri |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 230 |
FAQ
Come consultare una tesi
Il pagamento può essere effettuato tramite carta di credito/carta prepagata, PayPal, bonifico bancario.
Confermato il pagamento si potrà consultare i file esclusivamente in formato .PDF accedendo alla propria Home Personale. Si potrà quindi procedere a salvare o stampare il file.
Maggiori informazioni
Perché consultare una tesi?
- perché affronta un singolo argomento in modo sintetico e specifico come altri testi non fanno;
- perché è un lavoro originale che si basa su una ricerca bibliografica accurata;
- perché, a differenza di altri materiali che puoi reperire online, una tesi di laurea è stata verificata da un docente universitario e dalla commissione in sede d'esame. La nostra redazione inoltre controlla prima della pubblicazione la completezza dei materiali e, dal 2009, anche l'originalità della tesi attraverso il software antiplagio Compilatio.net.
Clausole di consultazione
- L'utilizzo della consultazione integrale della tesi da parte dell'Utente che ne acquista il diritto è da considerarsi esclusivamente privato.
- Nel caso in cui l’utente che consulta la tesi volesse citarne alcune parti, dovrà inserire correttamente la fonte, come si cita un qualsiasi altro testo di riferimento bibliografico.
- L'Utente è l'unico ed esclusivo responsabile del materiale di cui acquista il diritto alla consultazione. Si impegna a non divulgare a mezzo stampa, editoria in genere, televisione, radio, Internet e/o qualsiasi altro mezzo divulgativo esistente o che venisse inventato, il contenuto della tesi che consulta o stralci della medesima. Verrà perseguito legalmente nel caso di riproduzione totale e/o parziale su qualsiasi mezzo e/o su qualsiasi supporto, nel caso di divulgazione nonché nel caso di ricavo economico derivante dallo sfruttamento del diritto acquisito.
Vuoi tradurre questa tesi?
Per raggiungerlo, è fondamentale superare la barriera rappresentata dalla lingua. Ecco perché cerchiamo persone disponibili ad effettuare la traduzione delle tesi pubblicate nel nostro sito.
Per tradurre questa tesi clicca qui »
Scopri come funziona »
DUBBI? Contattaci
Contatta la redazione a
[email protected]
Parole chiave
Tesi correlate
Non hai trovato quello che cercavi?
Abbiamo più di 45.000 Tesi di Laurea: cerca nel nostro database
Oppure consulta la sezione dedicata ad appunti universitari selezionati e pubblicati dalla nostra redazione
Ottimizza la tua ricerca:
- individua con precisione le parole chiave specifiche della tua ricerca
- elimina i termini non significativi (aggettivi, articoli, avverbi...)
- se non hai risultati amplia la ricerca con termini via via più generici (ad esempio da "anziano oncologico" a "paziente oncologico")
- utilizza la ricerca avanzata
- utilizza gli operatori booleani (and, or, "")
Idee per la tesi?
Scopri le migliori tesi scelte da noi sugli argomenti recenti
Come si scrive una tesi di laurea?
A quale cattedra chiedere la tesi? Quale sarà il docente più disponibile? Quale l'argomento più interessante per me? ...e quale quello più interessante per il mondo del lavoro?
Scarica gratuitamente la nostra guida "Come si scrive una tesi di laurea" e iscriviti alla newsletter per ricevere consigli e materiale utile.
La tesi l'ho già scritta,
ora cosa ne faccio?
La tua tesi ti ha aiutato ad ottenere quel sudato titolo di studio, ma può darti molto di più: ti differenzia dai tuoi colleghi universitari, mostra i tuoi interessi ed è un lavoro di ricerca unico, che può essere utile anche ad altri.
Il nostro consiglio è di non sprecare tutto questo lavoro:
È ora di pubblicare la tesi