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La Politica Estera e di Sicurezza Comune (PESC) e la NATO di fronte al processo d'integrazione europea - The Common Foreign and Security Policy (CFSP) and NATO facing the EU integration

Il cammino politico verso l’Euro

Dall’Atto Unico Europeo discende la graduale realizzazione di un’Unione economica e monetaria (UEM), un obiettivo che non era contenuto nei Trattati di Roma. Nel 1978 era stato creato lo SME, il Sistema Monetario Europeo, ma sarà solo il Consiglio Europeo di Hannover nel 1988 a presentare un programma per il completamento del mercato unico entro il 1992. Il Comitato Delors pose a scadenze precise le varie tappe per giungere ad una completa Unione Economica e Monetaria che farà da apripista ad una più generale Unione politica, suggerendo di nuovo il Consiglio Europeo come massimo referente politico.

Una spinta determinante però venne proprio dagli avvenimenti politici che si realizzarono proprio a partire dalla seconda metà degli anni ottanta, quando la precarietà strutturale, economica e sociale dell’Unione Sovietica si fece di tutta evidenza, incrinando anche il suo ruolo di superpotenza sempre più affaticata dal confronto con la nuova e aggressiva politica estera inaugurata dal repubblicano Ronald Reagan contro “l’impero del male”.

L’avvento di Michail Gorbaciov, la caduta dei regimi comunisti dell’est, quella del muro di Berlino e della cortina di ferro che divideva la due Germanie, l’Europa e per estensione il mondo, furono tappe epocali che accelerarono il passaggio dalla guerra fredda e del confronto fra i due blocchi ad un nuovo panorama strategico e geopolitico.
Di lì a poco infatti la situazione si sarebbe destabilizzata lungo rotte anche impensabili come il riaccendersi dei nazionalismi – proprio ciò che la Comunità Europea aveva contribuito a disinnescare con la sua nascita – che si fecero ipotesi concreta con l’inizio del crollo e la polverizzazione della Jugoslavia di Tito.

Gli aspetti legati alla sicurezza, che coinvolgevano aspetti politici e militari ma anche economici, non poterono davvero più essere ignorati, tanto che fin dal luglio del 1989 il Consiglio europeo di Strasburgo aveva indicato come un preciso dovere della Commissione Cee il coordinamento dell’assistenza internazionale nella transizione dei paesi ex-comunisti, dimostrando ancora una volta quanto fosse difficile mantenere scissa la gestione degli aspetti economici e quelli politico-militari della sicurezza.

Ma fu solo col seguente Consiglio europeo di Dublino che Francia e Germania avviarono “un esame particolareggiato della necessità di eventuali modifiche ai Trattati intese a rafforzare la legittimità democratica dell’Unione, a consentire alla Comunità e alle sue istituzioni di rispondere alle esigenze della nuova situazione e ad assicurare l’unità e la coerenza dell’azione internazionale della Comunità”.

Lì si decise che un’apposita Conferenza intergovernativa (Cig) avrebbe discusso i passi necessari verso l’Unione politica per la costruzione di una politica estera e di sicurezza comune, la Pesc. Il dibattito sull’Unione politica metteva in luce come la revisione dei Trattati, benché indotta da eventi esterni, avrebbe portato alla modifica degli assetti e dei meccanismi istituzionali comunitari nella direzione di una maggiore legittimazione democratica della sua struttura e verso un crescente peso politico della Comunità-Unione: era la ripresa dei tratti salienti della visione politica dei federalisti europei degli anni cinquanta.

L’invasione del Kuwait da parte dell’Iraq nell’agosto 1990 e la risposta guidata dagli statunitensi contribuirono a mostrare come l’Europa rimanesse un modesto attore sul piano internazionale, tanto da meritarsi negli ambienti diplomatici la quasi ingiuriosa definizione di “gigante economico, nano politico e verme militare”. Confusa, l’Europa era disunita fra lo sforzo unilaterale francese che chiedeva il ritiro delle truppe irachene, il pieno sostegno della Gran Bretagna agli Usa e la Germania alle prese con il problema dei vincoli costituzionali sull’uso della forza che aveva ereditato nel dopoguerra.

Nel Consiglio informale dei ministri degli esteri di Asolo, proprio all’inizio dell’ottobre 1990, l’Italia e il Belgio furono i più decisi sostenitori della necessità di estendere le competenze dell’Unione ad ogni aspetto della sicurezza, mentre Francia e Germania volevano una decisione più misurata da prendersi in sede di Consiglio Europeo. Dall’intendimento comune si chiamava pur sempre fuori, con tutto il suo peso anche in termini difensivi, la Gran Bretagna che vedeva nella creazione di una Politica Estera e di Sicurezza Comune un pericolo per la sua relazione speciale con gli Stati Uniti e diffidente verso un approfondimento delle strutture europeee troppo marcatamente di segno federalista.

Una spinta decisiva, anche sulle posizioni della Gran Bretagna che rischiava di rimanere ai margini su entrambe le sponde dell’Atlantico, venne dal processo verso la moneta unica. La Gran Bretagna, pur sostanzialmente concorde circa il rigore monetario, continuava ad avanzare riserve sulle finalità più politiche della moneta unica, in netto contrasto per esempio con la posizione italiana, storicamente europeista e federalista.

Questo brano è tratto dalla tesi:

La Politica Estera e di Sicurezza Comune (PESC) e la NATO di fronte al processo d'integrazione europea - The Common Foreign and Security Policy (CFSP) and NATO facing the EU integration

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Informazioni tesi

  Autore: Massimiliano Crosato
  Tipo: Tesi di Laurea
  Anno: 2003-04
  Università: Università degli Studi di Trieste
  Facoltà: Scienze Politiche
  Corso: Scienze politiche e delle relazioni internazionali
  Relatore: Georg Meyr
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 211

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