L'annuncio del tradimento in Giovanni e nel "Vangelo di Giuda". Un confronto in prospettiva diacronica
Il “comando” di Gesù all’Iscariota: comunione d’intenti o accelerazione della salvezza?
Il v. 27 prosegue con una “liberissima provocazione” ed una “sfida” che Gesù lancia al commensale traditore (o al Nemico retrostante?), al quale ha appena manifestato un ultimo gesto di amicizia: invita Giuda ad agire subito. Il testo greco così riporta la proposizione “imperativa”, estremamente lapidaria: Ὃ πνηεῖο πνίεζνλ ηάρηνλ. Che, tradotta alla lettera, suona come: “Ciò che fai fa(llo) presto (al più presto; subito; rapidamente)”. Nell'italiano corrente è stata tradotta con “Quello che devi fare, fallo al più presto” [il corsivo è nostro; n.d.r.], con una accentuazione non indifferente del carattere “doveroso” dell'azione. Andrà verificato se una sottolineatura così rilevante ai fini ermeneutici (costituita dal “devi”) sia legittima e compatibile con la lettera del testo o, quantomeno, con il contesto della proposizione. La soluzione è ancor più urgente se si pensa che il presunto “comando” di Gesù a Giuda è stato interpretato come il trait d'union che raccorderebbe due racconti del tradimento (e del suo annuncio), quello riportato dal Vangelo di Giovanni e quello contenuto nel Vangelo gnostico di Giuda (VdG 16,1-9).
Come si esaminerà dettagliatamente nel terzo capitolo – secondo la ricostruzione di S. Emmel -il presupposto di VdG 16,1-9 sarebbe proprio il racconto di Gv 13,26-30 e, in particolare, ciò che Gesù disse a Giuda durante l'ultima cena: “What you are going to do, do quickly”; frase ambigua dopo la quale Giuda uscì immediatamente. Nelle due scene, l'annuncio del tradimento – sia in Gv (esplicitamente) che nel Vangelo di Giuda (implicitamente) – si chiuderebbe con l'ordine di Gesù a Giudadi fare ciò che deve e con l'uscita di quest'ultimo dalla “stanza”.
G. Schwarz, con riferimento a Gv 13,27, propone una tesi simile in collegamento al presumibile motivo che animò la “consegna” da parte di Giuda: l'Iscariota stava semplicemente obbedendo ad un “ordine” di Gesù di consegnarlo a Caifa (o comunque agiva su iniziativa del Maestro), visto che, secondo l'assunto dello Schwarz, il Sommo Sacerdote era conosciuto dal traditore (supponendo l'identificazione di quest'ultimo con il discepolo senza nome di cui in Gv 18,15b).
Ci si chiede, di conseguenza: è possibile che l'autore (o redattore finale) del Vangelo di Giuda abbia dedotto la positiva “necessità” dell'atto di tradimento – che lo caratterizza, almeno secondo una certa linea esegetica – dall'humus cristologico-antropologico giovanneo e trovi la sua ratio, origine e giustificazione nell' “ordine” gesuano di Gv 13,27b?
Per rispondere al predetto quesito si renderà necessaria un'attenta analisi esegetico-filologica del v. 27b, al fine di trovare in esso eventuali indizi di necessità, doverosità o eterodeterminazione insita, in ipotesi, in quel “ Ciò che fai” rivolto al celebre traditore. Si premette che qualcuno – discostandosi momentaneamente dalla tesi secondo cui nei discorsi di Gesù, riportati da Gv, parlerebbe la “cerchia” di Giovanni e non “Gesù di Nazareth” – ha ritenuto il “comando” di Gesù del v. 27 uno dei detti del patrimonio giovanneo riconducibile al Gesù storico.
Il discorso diretto è introdotto da ιέγεη νὖλ αὐηῷ ὁ ʼΙεζνῡο – “Gesù quindi gli disse” – al presente storico, contenente l'implicazione che Gesù sapeva della decisione già avvenuta nella mente di Giuda, in consonanza con il leitmotiv del quarto Vangelo sulla conoscenza del cuore degli uomini da parte del Figlio di Dio (cfr. Gv 2,23-25; 14,30).
Il ricorso al verbo πνηέσ (fare, compiere, operare, agire), riferibile ad ogni genere di fare, in Giovanni assume un significato particolare. Invero, nel quarto Vangelo tale verbo ha quasi sempre una connotazione positiva e frequentemente ha per soggetto Gesù come Figlio di Dio, a differenza di πξάζζεηλ che è usato sempree senza eccezioni in senso negativo (e Dio, nel NT, non ne è mai il soggetto). Uniche eccezioni – aventi, però scarso valore anche per ragioni statistiche - sono, ad esempio, Gv 8,34.44, Gv 15,21 e, lupus in fabula, Gv 13,27, nelle quali πνηεῖλ è usato in senso negativo (in ragione del contesto). È un fare che, quindi, eccezionalmente, caratterizza anche gli avversari di Gesù: in Gv 11,47 i sinedriti si chiedono (retoricamente?) cosa possono “fargli”; similmente in Gv 15,21, dove si prevede che gli agenti del “mondo” (i Giudei) faranno del male ai discepoli; e in Gv 13,27b si prospetta il “fare” di un traditore che, però, sorprendentemente, appare come sollecitato dalla vittima.
Tuttavia, il semplice campo semantico del “fare” di cui al v. 27b non è sufficiente per dirimere la questione della sua esatta traduzione e della valenza ipoteticamente “imperativa” di tutta la proposizione. È necessario estendere l'indagine anche alla forma grammaticale che il verbo assume nelle due occasioni in cui ricorre all'interno del medesimo versetto. πνίεζνλ è al modo imperativo aoristo, che esprime un comando o un'esortazione (di fare o di non fare). L'aoristo imperativo si riferisce ad un'azione momentanea o ingressiva, mentre con il presente imperativo si esprime un'azione duratura o ripetuta: ne consegue che i precetti generali vengono espressi tramite il presente imperativo, mentre gli ordini riguardanti atteggiamenti da prendere o cose da fare in situazioni specifiche preferiscono il ricorso all'aoristo imperativo. Invece il πνηεῖο, di 13,27b, è probabilmente un presente “de conatu”, una forma di presente che “se indica l'azione durativa senza considerazione di effettiva conclusione, può esso stesso assumere il senso di azione tentata, ma non portata a termine”.
Un alone di urgenza è espresso attraverso un avverbio comparativo: ηάρηνλ. Il quale – tenuto conto che nel NT il comparativo è spesso ambiguo -può avere il senso o di un semplice positivo (“presto”, come in Eb 13,23) ovvero è accrescitivo (“il più presto possibile”). In entrambi i casi è evidente il concetto di “sbrigarsi”.
Dalle precedenti considerazioni grammaticali e semantiche, si possono trarre prudentemente alcune conclusioni esegetiche:
- Gesù percepisce l'opzione finale e l'indurimento di Giuda e, rispettandone la decisione malvagia, ritiene inutile prolungare una situazione ormai irreversibile (quindi lo sollecita).
- L'imperativo “fallo”, non implica affatto un “ordine” che provoca la determinazione al tradimento, ma solo una sollecitazione a “sbrigarsi”, ad eseguire subito ciò che è già stato programmato: Gesù non vuole l'azione malvagia in sp, ma solo l'anticipo dell'azione esecutiva (del piano omicida umano-diabolico), vuole accelerare gli eventi che conosce in anticipo (poiché ormai hanno preso un determinata direzione) – in altri termini, agire subito. Qual è il motivo di questa fretta controintuitiva? Un indizio per una risposta soddisfacente è rintracciabile in Gv 13,1: “… sapendo che era venuta la sua ora di passare da questo mondo al Padre…”. Una chiave interpretativa del “Libro della gloria” sta proprio nel giungere dell' “ora” decisiva, caratteristico luogo teologico del quarto Vangelo (cfr. Gv 12,23.27; cfr. anche, in prospettiva differente, Gv 2,4): Gesù conoscendo il traditore, a differenza dei discepoli ignari, lo spinge a portare a compimento il suo proposito (accelerando gli eventi), “…perchè egli sa che è venuta la “sua ora”…”. In una prospettiva soteriologica la sollecitazione di Gesù potrebbe essere letta come un “Accelera la salvezza!”
- Giuda esce solo dopo che Gesù lo ha sollecitato a “fare ciò che intende fare”. Il Maestro, con piena consapevolezza, assume il controllo del proprio destino e conserva la sua radicale autodeterminazione ed iniziativa anche di fronte all'Avversario escatologico (elemento tipico della cristologia giovannea), secondo un programma già esplicitato in Gv 10,17-18: “Per questo il Padre mi ama: perchp io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie: io la do da me stesso. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo…”.
- I verbi analizzati non hanno alcuna valenza di necessità dell'azione sollecitata, onde la traduzione “devi fare” potrebbe essere fuorviante ed andrebbe evitata. Nondimeno, che la sollecitazione fatta da Gesù sia irriducibilmente oscura ed ambigua è dimostrato anche dal successivo duplice fraintendimento di chi, ivi presente, era in una posizione assolutamente privilegiata per comprendere il genuino senso delle parole del Maestro. L'evangelista/redattore – probabile autore di questa postilla esplicativa (vv. 28 e 29) – non elimina affatto l'ambiguità, anzi contribuisce ad accrescerla. In ogni caso, sulla base di una rigorosa analisi esegetico-filologica, il v. 27b non implica una richiesta – esplicita o implicita – di Gesù di porre in essere un tradimento, come atto “necessario” e conforme al fato o alla volontà divina. Non può essere escluso a priori che secondo tale logica esso sia stato erroneamente interpretato dall'autore/redattore del Vangelo gnostico di Giuda, il quale, come ipotizza S. Emmel, lo presupporrebbe implicitamente nella sua scena finale del tradimento. Un errore che potrebbe essersi generato da una previa distorta interpretazione di Gv 6,61-63 (“E se vedeste il Figlio dell'uomo salire là dove era prima? È lo spirito che dà la vita, la carne non giova a nulla…”). Il mangiare la “carne” e bere il “sangue” del Figlio dell'uomo (Gv 6,53-55), con il loro sentore di “cannibalismo”, avrebbero “scandalizzato” molti, ivi compreso Giuda, che abbandonarono Gesù. In 6,61s, la risposta di Gesù è molto simile all'atteggiamento che egli tiene in VdG: “È questo che vi scandalizza?...”. Forse a partire da Gv 6,61-63 l'autore di VdG avrebbe tratto la conclusione che Giuda, lungi dall'essere posseduto dal demonio, fosse l'unico ad aver compreso il vero significato di queste parole e “aveva tradito il maestro per obbedire alla richiesta che gli era stata rivolta durante l'ultima cena: "Quello che devi fare, fallo presto" (Gv 13,27)”.
Ma si tratta, allo stato, di una mera congettura.
Questo brano è tratto dalla tesi:
L'annuncio del tradimento in Giovanni e nel "Vangelo di Giuda". Un confronto in prospettiva diacronica
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Informazioni tesi
Autore: | Cristiano Mangano |
Tipo: | Diploma di Laurea |
Anno: | 2014-15 |
Università: | Pontificia Università Lateranense |
Facoltà: | Teologia |
Corso: | Teologia |
Relatore: | Antonio Nepi |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 333 |
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