La montagna in pericolo: il caso di studio dei monti Aurunci
I rischi ambientali della montagna italiana
La cronaca quotidiana riporta spesso alla luce la fragilità dell’ambiente nel quale viviamo ed i rischi ai quali la nostra salute è costantemente esposta a sempre più frequenti incidenti che coinvolgono gli ecosistemi. L’allarme per nuove catastrofi ambientali è in costante aumento, soprattutto a causa dell’intensità dello sfruttamento al quale sono sottoposte le risorse naturali e per l’elevato impatto che tali pratiche comportano, che determinano l’aumento della percezione dei rischi ambientali. Per comprendere al meglio il concetto di rischio ambientale è importante definire in modo chiaro cosa si vuole intendere con esso.
Il rischio ambientale è la probabilità che un certo fenomeno naturale, superata una determinata soglia, produca perdite in termini di vite umane, di proprietà, di capacità produttive (Parotto, 2000).
Esso, in termini analitici è espresso da una formula che lega pericolosità, vulnerabilità ed elementi a rischio.
Rischio = pericolosità x vulnerabilità x elementi a rischio
La pericolosità esprime la probabilità che in una zona si verifichi un evento dannoso di una determinata intensità entro un determinato periodo di tempo (che può essere il “tempo di ritorno”). La pericolosità è dunque funzione della frequenza dell’evento. In certi casi (come per le alluvioni) è possibile stimare, con una approssimazione accettabile, la probabilità di accadimento per un determinato evento entro il periodo di ritorno.
La vulnerabilità invece indica l’attitudine di una determinata “componente ambientale” (popolazione umana, edifici, servizi, infrastrutture, etc.) a sopportare gli effetti in funzione dell’intensità dell’evento.
La vulnerabilità esprime il grado di perdite di un dato elemento o di una serie di elementi risultante dal verificarsi di un fenomeno di una data “magnitudo”, espressa in una scala da zero (nessun danno) a uno (distruzione totale).
Gli elementi a rischio, o/a esposizione, indicano l’elemento che deve sopportare l’evento e può essere espresso o dal numero di presenze umane o dal valore delle risorse naturali ed economiche presenti, esposte ad un determinato pericolo.
La montagna italiana è esposta a vari tipi di rischi naturali come quello idrogeologico, incendi, erosione accelerata del suolo, sismico. Se si considera solamente il rischio idrogeologico, negli ultimi 50 anni sono stati spesi per sopperire ai danni, limitatamente ai fenomeni alluvionali, più di 16 miliardi di euro e circa il 10% del territorio italiano e più dell’80% dei comuni italiani sono interessati da aree a forte criticità idrogeologica .
Le frane e gli smottamenti ogni anno provocano danni ingenti e alcune volte anche vittime umane. Sono proprio le aree montuose le più colpite da questi fenomeni franosi, basti pensare che nel 2006 sono state registrate 469.298 frane nel nostro Paese e la regione più colpita è stata la Lombardia, seguita dall’Emilia Romagna e dalle Marche.
[…]
Purtroppo le nostre montagne devono, inoltre, affrontare un altro annoso e delicato problema, quello degli incendi.
Nel 2007, l’anno più critico dal 1970, sono stati bruciati ben 227.729 ettari di territorio italiano, di cui 111.127 ettari di superficie boscata. Il 2008 è stato sicuramente più positivo rispetto all’anno precedente, infatti sono “andati in fumo”(solo) 66.328 ettari. La carta dei roghi identifica la Campania come la regione che ha registrato il maggior numero di incendi (863) nel periodo 1 gennaio - 27 settembre 2009. Seguono la Toscana (624), la Calabria (601), la Sardegna (530), la Liguria (379), la Puglia (302), il Lazio (289), la Sicilia (160), la Lombardia (141), il Piemonte (135), la Basilicata (129), il Veneto (79), l'Emilia Romagna (71), il Molise (43), l'Umbria (41), l'Abruzzo (29), le Marche (27), il Friuli Venezia Giulia (24), la Valle d'Aosta (3) e il Trentino Alto Adige (2). In Sardegna si è avuta la più estesa superficie boscata percorsa dal fuoco (15.900 ettari). Seguono la Campania (2.348), la Toscana (1.553), la Puglia (1.540), la Liguria (1.263), il Lazio (1.183) e la Calabria (1.002).
Osservando i valori relativi alla superficie incendiata in Italia dal 1970 al 2009 si nota che il fenomeno del rischio incendi ha avuto un suo picco massimo intorno agli anni ’80-90 con ben sei annate che hanno fatto registrare valori al di sopra dei 170.000 ettari incendiati. Analizzando la situazione dell’ultimo decennio si può intravedere un lento miglioramento negli anni, frenato però, nel 2007, anno in cui sono andati bruciati più di 200.000 ettari di superficie. Negli ultimi due anni (2008 e 2009), la situazione sembra migliorare, confermando la tendenza dei valori degli anni predenti. La lotta agli incendi affidata al Corpo forestale dello Stato sta ottenendo buoni risultati, grazie all’arresto di piromani, una sensibilizzazione della popolazione verso questo fenomeno, buoni investimenti economici, in nuovi modi strategici, come quelli inerenti all’uso del GIS per la cartografia e alle foto aeree.
Un altro problema della montagna italiana è quello dell’erosione del suolo, che sta diventando una delle questioni a cui l'intera comunità mondiale sta dedicando sempre più maggiore attenzione. La tematica dell'erosione del suolo va di pari passo con altre, altrettanto importanti e ad essa correlate, come la progressiva desertificazione del territorio, l'aumento della popolazione mondiale e il conseguente aumento dei fabbisogni alimentari. Tale problema è, quindi, di particolare importanza dove il territorio è molto “vulnerabile”, nel senso che vive su un equilibrio precario dove le azioni antropiche (coltivazione dei terreni, attività estrattiva etc.) lo modificano velocemente, portando a situazioni di scompenso quasi irreversibili.
Per quanto riguarda l'Italia, risulta che i due terzi dei suoli del nostro paese presentano preoccupanti problemi di degradazione, più accentuati in quelle aree ove è stata più forte l'attività antropica [Fonte APAT]. È evidente che le aree montuose presentano i valori più elevati di erosione, infatti osservando la carta (fig. 1.6) si vedrà che le zone a maggiore rischio seguono le catene montuose del nostro paese. Particolarmente colpite da questo problema sono la Sicilia, le Marche e alcune aree della Calabria, a testimonianza che l’erosione del suolo in Italia colpisce soprattutto le zone collinari di pregio, dove negli ultimi anni si è intensificata la meccanizzazione dell’agricoltura. La legislazione nazionale e internazionale concernente il suolo è piuttosto scarsa rispetto a quella relativa, ad esempio, ad aria e acqua. Solo in alcuni casi sono state attuate iniziative riferite direttamente al suolo. In molti casi, la legislazione si riferisce alla salute o altri aspetti e prende in considerazione solo indirettamente le proprietà del suolo, in relazione alle sue funzioni ecologiche o alle attività umane.
Infine nel nostro paese vi è un elevato rischio sismico, che interessa molte regioni, ed anche in questo caso sono le aree montuose le zone più colpite da questo fenomeno. La sismicità della penisola italiana è legata alla sua particolare posizione geografica, perché è situata nella zona di convergenza tra la zolla africana e quella eurasiatica ed è sottoposta a forti spinte compressive, che causano l’accavallamento dei blocchi di roccia. I terremoti che hanno colpito il nostro paese hanno causato danni economici consistenti, valutati per gli ultimi quaranta anni in circa 135 miliardi di euro, che sono stati impiegati per il ripristino e la ricostruzione.
A ciò si devono aggiungere le conseguenze non traducibili in valore economico sul patrimonio storico, artistico, monumentale. Come già accennato in precedenza, sono le regioni montuose le più colpite dai terremoti, basti ricordare che gli ultimi eventi sismici più drammatici in Italia si sono avuti in Abruzzo (nel 2009), in Umbria e Marche (nel 1997) e in Irpinia (nel 1980). Osservando la mappa di pericolosità sismica del nostro paese elaborata dall’Istituto di Geofisica e Vulcanologia, risulta subito evidente che le zone a più alta pericolosità sismica sono le aree attraversate dall’Appennino (colorate in viola nella mappa) e le Alpi orientali (il Friuli Venezia Giulia). Le aree montane quindi, sono fortemente sottoposte a rischio sismico e ciò aumenta “l’inospitalità” di questi luoghi, difficili da sviluppare.
Questo brano è tratto dalla tesi:
La montagna in pericolo: il caso di studio dei monti Aurunci
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Informazioni tesi
Autore: | Fabio Biondi |
Tipo: | Laurea II ciclo (magistrale o specialistica) |
Anno: | 2009-10 |
Università: | Università degli Studi di Roma La Sapienza |
Facoltà: | Lettere e Filosofia |
Corso: | Geografia |
Relatore: | Gino De vecchis |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 266 |
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