La disciplina dei contratti internazionali nell'evoluzione del diritto cinese
I principi fondamentali della Uniform Contract Law cinese
I principi fondamentali della Legge costituiscono i principi cardine dell'intera UCL. Essi, infatti, non solo rappresentano lo spirito della legge, ma sono le linee guida per la stesura, l'interpretazione e lo studio delle norme.
Inoltre, nonostante tali principi siano stati mutuati dalla tradizione occidentale, spesso assumono contorni e sfumature diverse all'interno della legge cinese, poiché questa è influenzata dal particolare contesto sociale ed economico in cui si trova ad operare. Nello specifico, detti principi sono: l'uguaglianza tra le parti; l'autonomia contrattuale; l'equità e la buona fede; la giuridicità e la forza di legge del contratto.
In primis, l'uguaglianza tra le parti (art. 3) tutela la parità giuridica delle parti contraenti, per cui nessuna parte può imporre la propria volontà all'altra: in questo senso si cerca di prevenire l'eccessiva ingerenza statale tipica della contrattualistica del passato. Tale principio getta senza alcun dubbio le fondamenta per il concetto di autonomia contrattuale (art. 4), che prevede la libertà sia di contrarre sia di determinare il contenuto del contratto in accordo con la legge, senza che alcuno (che sia un'unità di lavoro o la controparte) possa illegalmente interferirvi. Si tratta quindi di una sorta di libertà contrattuale, anche se questo principio non viene espressamente richiamato nella versione finale della UCL. Vi sono diverse ragioni alla base di questa riluttanza, basta considerare le radici culturali della Cina antica, saldamente legate al Confucianesimo e quindi all'importanza data alla società piuttosto che al singolo; oppure basta ricordare che fino a pochi decenni fa vigeva un regime di pianificazione economica, dove non c'era spazio per l'individuo e il libero mercato; infine, il principio di libertà contrattuale è sempre stato considerato come un principio mercantilista e capitalista da combattere. Così, molti giuristi cinesi includono, in detto principio, aspetti affini alla libertà contrattuale, quali:
(a) il diritto di stipulare o non stipulare il contratto;
(b) il diritto di scegliere il soggetto con cui stipularlo;
(c) il diritto di determinarne il contenuto (artt. 12, 61 e 62);
(d) il diritto di deciderne la forma (artt. 10, 36 e 37);
(e) il diritto di modificare o risolvere il contratto (art. 77);
(f) il diritto di scegliere il metodo di risoluzione della controversia (art. 128).
D'altra parte, analizzando lo stesso linguaggio dell'art. 4, si evincono diverse limitazioni a suddetta libertà. Innanzitutto un contratto deve essere conforme alla legge, inoltre è vietata solamente l'interferenza illegale nella libertà contrattuale. Per tale ragione, è sì vero che le parti di un contratto godono di libertà, ma questa libertà non va al di là di quanto prescritto dalla legge: l'autonomia contrattuale viene metaforicamente definita come un "bird in a cage". Nella pratica, limiti alla libertà contrattuale si riscontrano nell'art. 7 (che mette in evidenza il principio di legalità), nell'art. 38 (relativo all'obbligo, per le imprese che ricevono un ordine statale, di concludere il contratto secondo quanto previsto dal piano), nell'art. 127 (che permette il controllo dei contratti ad opera delle amministrazioni competenti), negli artt. 44, 77 e 87 (che dispongono relativamente all'approvazione statale limitatamente ad alcuni contratti a pena di invalidità, anche in caso di modifica o cessione).
Nel definire ed esercitare i rispettivi diritti e doveri, le parti sono poi tenute a comportarsi conformemente ai principi di equità (art. 5) e buona fede (art. 6). In merito al concetto di equità, né i PGDC né la UCL ne forniscono una definizione, probabilmente per due ordini di motivi: in primo luogo è difficile di per sé delimitarne il contenuto; in secondo luogo, il legislatore ha preferito lasciare spazio interpretativo alle corti. Queste ultime si servono generalmente di tre differenti test per verificare l'effettivo rispetto di tale principio. Un test è legato alla valutazione dell' "ovvia iniquità": in accordo con l'art. 59 dei PGDC, una parte deve avere il diritto di richiedere alla corte o ad un arbitro la rescissione di un atto civile manifestamente iniquo. Un altro test valuta la "ragionevole allocazione del rischio di mercato", secondo cui i rischi commerciali devono essere equamente ripartiti. Infine, un altro metodo utilizzato dalle corti è quello di valutare l'equa distribuzione dei diritti e delle obbligazioni tra le parti. Si può dunque affermare che l'equità ha riguardo al contenuto del contratto, dovendone bilanciare i diritti e i doveri.
Considerando, invece, il principio di buona fede, questo si rivolge essenzialmente all'aspetto etico della transazione commerciale, aspetto che, come si è visto, è saldamente radicato nella cultura confuciana. Nei PGDC e nella UCL, la buona fede è vista come sinonimo di onestà e credibilità, quali mezzi per mantenere equilibrati gli interessi delle parti e della società. Questo principio si manifesta non solo durante la fase di negoziazione attraverso una cooperazione onesta per la conclusione e l'esecuzione del contratto, ma anche a contratto eseguito (rispettando i dettagli confidenziali) e in caso di controversia. Inoltre, all'interno della UCL esistono altri due articoli direttamente collegati con la buona fede. L'art. 42 prevede che una parte sia responsabile per danni se durante la formazione del contratto non abbia rispettato le prescrizioni dell'art. 6. L'art. 60, invece, dispone che le parti rispettino la buona fede e osservino le obbligazioni di notifica, assistenza e confidenzialità in accordo con la natura e gli scopi del contratto e delle pratiche commerciali. L'attenzione del legislatore all'equità e al rispetto della libera volontà delle parti è poi ridimensionata dal principio di legalità sancito dall'art. 7. La tutela dell'ordine e dell'interesse pubblico, il rispetto della legge e dei regolamenti amministrativi, la conformità alla morale sociale sono elementi essenziali cui prestare rispetto al momento sia della stipula sia dell'esecuzione del contratto.
Infine l'art. 8 dispone che il contratto ha valore di forza di legge tra le parti e che queste non possono modificarlo o porvi termine unilateralmente. "Il contratto stipulato in nome della legge, è tutelato dalla legge": si ha quindi il pieno rispetto del principio internazionale del patta sunt servanda. Si deve sottolineare che la vincolatività del contratto deriva, in Cina, da due importanti fonti: la volontà delle stesse parti e la volontà dello Stato di facilitare e controllare le transazioni economiche attraverso leggi e regolamenti. Il mancato ottemperamento di questo principio determina il sorgere della responsabilità in capo alla parte in causa, con la conseguente richiesta di adempiere all'obbligazione ovvero di risarcimento dei danni.
Questo brano è tratto dalla tesi:
La disciplina dei contratti internazionali nell'evoluzione del diritto cinese
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Informazioni tesi
Autore: | Alice Viscardi |
Tipo: | Laurea II ciclo (magistrale o specialistica) |
Anno: | 2010-11 |
Università: | Università degli Studi di Milano |
Facoltà: | Scienze Politiche |
Corso: | Relazioni internazionali |
Relatore: | Roberta Clerici |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 234 |
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