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Il contratto Takaful nel mondo islamico. Le esperienze della Giordania, Malesia e Arabia Saudita a confronto

I principi economici del Corano

A differenza di altre religioni, l'Islam ha sviluppato nei secoli regole economiche e finanziarie fondate sul rispetto del Corano e della Sharia. I testi sacri, infatti, impartiscono prescrizioni dettagliate circa alcuni aspetti della vita economica:

- il valore delle risorse naturali e il loro sfruttamento. Le risorse appartengono ad Allah che le conferisce all'umanità al fine di contribuire al loro sviluppo;

- la proprietà privata. Anche se garantita e ritenuta da molti un diritto inviolabile, trova parecchie limitazioni: una prima legata al fatto che tutti i beni sono donati agli uomini da Allah, il solo che può rivendicarne la proprietà assoluta; una seconda limitazione dovuta al rispetto della natura e del prossimo. Infatti, ogni membro della comunità non deve mai essere privato dei beni necessari per poter vivere dignitosamente. Ogni uomo ha un diritto all'usufrutto dei beni affidategli da Allah, ma non ha un diritto esclusivo a disporre di essi;

- l’equa distribuzione della ricchezza. Secondo il Corano, Allah ha creato ogni cosa nella giusta quantità per soddisfare i bisogni umani. La scarsità delle risorse è frutto del comportamento umano, dell'avarizia e del desiderio di accumulazione. Tutto ciò ha importanti ripercussioni dal punto di vista economico in quanto viene incoraggiata la concorrenza ma il monopolio risulta espressamente proibito dall'islam;

- ruolo dello Stato. E' importante al fine di rafforzare la coesione e il benessere sociale. Infatti, la comunità dei credenti viene fatta coincidere con lo Stato cosicché i musulmani possano vedere di buon grado le politiche di intervento statale sia in termini di regolazione che di tassazione.

Non tutte le attività sono però coerenti con i principi islamici. In particolare la legge islamica vieta ogni attività che comporti il pagamento di interessi come l'attività bancaria, l'assicurazione e la riassicurazione convenzionale; la produzione e la vendita di bevande alcoliche; l'allevamento, la lavorazione e la vendita di carne di maiale; le armi; il tabacco; i casinò; la pornografia e ogni altra attività che comporti riferimenti sessuali espliciti. ll veto più pesante riguarda i tassi di interesse. La Sharia li condanna in quanto ribà, parola tradotta con il termine "usura", ma che la tradizione islamica interpreta come qualsiasi applicazione di tassi di interessi fissi e predeterminati nei depositi, negli investimenti e nei prestiti bancari. Con l'adozione di questo metodo i proventi dei depositi bancari e degli investimenti operativi dalla banca vengono calcolati solo ex-post, in relazione ai redditi realmente conseguiti. La condanna del prestito a interesse non è prerogativa della sola religione musulmana, ma è storicamente comune anche alle altre due religioni monoteiste che hanno preso vita intorno al mediterraneo: quella cristiana e quella ebraica. Al di là della condanna all'usura, la chiesa fin dall'inizio lasciò che la dottrina venisse interpretata in modo elastico. Da una parte vi era la chiesa preoccupata di salvaguardare la compattezza del sociale, e dall'altra vi erano le legittime ragioni di chi si dedicava all'economia e non poteva fare a meno del prestito a interesse. Sempre più importante divenne la questione di una richiesta di indennizzo fatta in concomitanza con il mutuo, per l'impedito conseguimento di un guadagno. L'interesse veniva giustificato da motivazioni estrinseche rispetto al prestito: il danno emergente e il lucro cessante. Diventa necessario distinguere il prestito dall'usura; quest'ultima si configurava come un aumento di restituzione richiesta, mentre l'interesse era una ricompensa giustificata da un danno subito in rapporto al prestito. Nella cultura occidentale a partire dall'età contemporanea in poi, la condanna originaria contro l'usura, non avrà più riscontri con la realtà. Accanto al prestito di consumo, l'espansione delle attività commerciali moderne porta alla nascita del prestito d'investimento, gestito da banchieri. L'attività di credito si sviluppò con l'avanzare della moderna economia e cadde la rigida condanna al prestito ad interesse. Nelle realtà economiche musulmane, al contrario, il divieto delle operazioni fruttifere di interesse è rimasto inalterato da circa 14 secoli. L'Islam rende lecita la libertà di attività imprenditoriale e la possibilità di concludere accordi bilaterali, ma impone i limiti entro i quali tali attività possono essere esercitate. Il principale e più famoso divieto dettato dalla Sharia in ambito economico-finanziario è la proibizione dell’interesse (ribà), con l'obiettivo di prevenire ogni tipo di sfruttamento perseguendo l'equità e la giustizia sociale. Il termine ribà comprende il divieto dell'interesse in tutte le sue implicazioni senza distinzioni tra le diverse tipologie di prestito o tra la diversa natura dei soggetti debitori o creditori. Gli stati islamici, non possono accettare prestiti internazionali da parte di istituzioni come il Fondo Monetario Internazionale o la Banca Mondiale, poiché applicano tassi di interesse; perciò da qui nacque la necessità di creare un organismo sovranazionale capace di cooperare allo sviluppo di quei paesi islamici che necessitano di aiuti finanziari, e nel 1973 a Lahore, l'OCI (Organizzazione della Conferenza Islamica) decise di fondare l'Islamic Development Bank. Tale limite è basato sul principio che non può esserci guadagno senza rischio, infatti l'interesse non può essere inteso come una remunerazione per il differimento dell'attività di consumo. Il divieto divino delle usure deriva dall'attenzione di Dio verso i più poveri. La proibizione del ribà ha come ultimo fino quello di evitare che il contraente più forte possa prevaricare su quello più debole. L'usura viene espressa in chiara contrapposizione alla pratica dell'elemosina, un'attività rientrante tra i cosiddetti pilastri dell'islam, verso il povero e il bisognoso. Il termine ribà viene normalmente tradotto come accrescimento, aumento. Più precisamente viene definito come un vantaggio patrimoniale senza corrispettivo stipulato a favore di una delle due parti contraenti nello scambio di due prestazioni di natura pecuniaria. Il divieto esplicito nel libro sacro si riferisce al ribà, un concetto molto più ampio dell'usura; mentre quest'ultima consiste nel far gravare sul prestito un tasso di interesse spropositato, il ribà si riferisce più in generale, al contratto di prestito basato sull'applicazione di interessi. Ciò significa che per legge coranica l'incasso di interessi relativi ad un contratto di prestito è considerato sempre illegittimo. Oltre al ribà sono vietate dalla legge coranica tutte le pratiche finanziare che implicano concetti di gharar e maysir. La parola gharar significa incertezza che nei termini e nelle condizioni contrattuali non è lecita, a meno che tutte le tipologie di rischio connesse alla transazione finanziaria siano chiaramente conosciute dalle parti contraenti, dunque tale divieto si manifesta in presenza di informazione incompleta (sul prezzo, sull'oggetto di vendita, ecc.) e di incertezza intrinseca. Mentre la proibizione dell'interesse è assoluta, il ghàrar è proibito solo se è rilevante. Un esempio di gharar nel mercato finanziario si riscontra nelle assicurazioni convenzionali in quanto queste prevedono il pagamento di un premio alla compagnia assicurativa per ricevere, in cambio, il pagamento di una somma che compensa eventuale danno. Tuttavia l'ammontare di risarcimento è incerto e dipende dal verificarsi di specifici eventi futuri. Il maysir tecnicamente identifica la proibizione del gioco d'azzardo. Più specificatamente riguarda le attività speculative che nascono da un accordo tra due o più parti, ognuna delle quali corre il rischio di una perdita. Un ulteriore elemento determinante della finanza islamica riguarda il principio di condivisione dei profitti e delle perdite. Infatti, il rifiuto di ricevere un ritorno determinato ex ante su un'attività finanziaria, ha fatto si che economisti e giuristi islamici abbiano avuto la necessità di studiare metodi alternativi per garantire un equo rapporto rischio-rendimento; da qui nasce il principio di partecipazione/condivisione ai profitti e alle perdite. L'evoluzione dei rapporti commerciali ha inevitabilmente condotto anche nelle società islamiche alcuni soggetti ad avere la necessità di dare e prendere somme di denaro, applicandovi una sorta di interesse. Per far fronte a questa necessità, evitando nello stesso tempo che venisse violato il precetto religioso, sono stati elaborati nel tempo espedienti giuridici. Nella prassi islamica sono presenti una serie di contratti che permettono al denaro di agevolare lo scambio ma senza prevedere interessi. Il contratto mudaraba, da un lato, consente ad un soggetto di investire il proprio capitale per la completa realizzazione di un progetto senza preoccuparsi della gestione di quel capitale, limitando la sua responsabilità al capitale impiegato; dall'altro, affida la responsabilità della gestione del progetto ad un terzo soggetto definito mudarib. Nel mudaraba l'investitore non può rivendicare un profitto fissato sul suo capitale: invero, il profitto sarà distribuito sulla base di un pre-accordo tra investitore e cliente (mudarib). Nel caso di perdite, queste saranno sostenute solo dal fornitore del capitale (banca), mentre il cliente non è soggetto ad alcun obbligo a meno che la perdita sia dovuta a negligenza dello stesso. Nel contratto musharaka sia l'imprenditore sia l'investitore, contribuiscono al capitale del progetto imprenditoriale, partecipando ai guadagni e alle perdite in proporzione alla quota di capitale sociale sottoscritta nell'investimento. Sono contratti generalmente utilizzati per finanziare progetti d'investimento il cui ritorno è previsto nel lungo periodo. La finanza islamica incoraggia l'attività di condivisione dei profitti come alternativa al debito, che dovrebbe essere utilizzato solo in caso di necessità.

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Il contratto Takaful nel mondo islamico. Le esperienze della Giordania, Malesia e Arabia Saudita a confronto

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Informazioni tesi

  Autore: Martina Cipolletti
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2009-10
  Università: Università degli Studi di Roma La Sapienza
  Facoltà: Economia
  Corso: Banca, assicurazione e mercati finanziari
  Relatore: Fabrizio Santoboni
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 52

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