Ricordati di me. Il cinema di Petri nel cinema di Sorrentino.

Sia nel cinema di Paolo Sorrentino che in quello di Elio di Petri è universalmente riscontrabile il continuo ricorso a personaggi “mascherati”.
Chi è in fondo Titta di Girolamo ne Le conseguenze dell’amore? Come si mostra Geremia de Geremei ne L’amico di famiglia? Come si evolvono i due omonimi protagonisti de L’uomo in più? È forse questo aspetto carnevalesco che più di ogni altro sembra far incrociare le due linee parallele dei registi. Portatori di una visione sociale prima che cinematografica di chiara derivazione grottesca, proprio nel gioco delle parti che il grottesco pretende, nell’alternanza continua tra ironico e tragico e tra bene e male, entrambi trovano la loro completa realizzazione. Così, dopo aver analizzato nel capitolo precedente il motivo della trasformazione sorrentiniana, ci approssimiamo ora ad analizzare le forme che la medesima assume nel cinema di Elio Petri.

Molto si è detto su questo regista, poco si è scritto. Se qualcuno intendesse oggi affacciarsi nell’universo del maestro romano incorrerebbe non poche difficoltà. Basti pensare che a più di trent’anni dalla sua sfortunata uscita in sala non esiste ancora alcuna versione dvd del film più ostracizzato del regista: Todo modo.
I motivi di questo disincanto restano ancora per lunghi tratti del tutto incomprensibili. È nostra idea che a questa situazione di stallo abbia di molto contribuito l’efficace testimonianza e la puntuale denuncia che, affatto sibillina, si rivela lungo tutta la filmografia del regista. Molto spesso, osservando da vicino i soggetti scelti, si ha come l’impressione di uno sconfinamento nell’incubo, nell’allucinazione.