L'alt-right e la politica dei meme
I media, la legge e i troll
Secondo il Forum Economico Mondiale (WEF), la diffusione online, in particolare sui social, di notizie infondate è una delle principali minacce per la società odierna.
Un fattore che favorisce la diffusione di informazioni antiscientifiche – a un livello tale da risultare potenzialmente una minaccia per la sicurezza pubblica, come nel caso del movimento anti-vaccini -, oppure bufale a sfondo politico, sono le cosiddette echo chambers, o camere di risonanza, nonostante il termine sia decisamente più utilizzato nella forma in inglese.
Questo fenomeno si manifesta nei mezzi di comunicazione di massa, nei quali gli utenti tendono ad agglomerarsi in ambienti chiusi ed omogenei, la quale formazione può essere favorita dalle caratteristiche intrinseche di una particolare piattaforma social: pensiamo al celebre algoritmo di Facebook, chiamato EdgeRank, che funziona secondo criteri di affinità con ogni membro della sfera sociale online, peso delle interazioni, e analisi del tempo collegato alle interazioni. Connettendoci a Facebook e navigando sulla home, sarà molto più facile visualizzare contenuti postati dalle persone con cui interagiamo di più: quest’elemento contribuisce ad aumentare esponenzialmente l’impatto del fenomeno delle echo chambers.
Al di là del fenomeno delle echo chambers e del funzionamento delle varie piattaforme social, anche quello che dalla psicologia cognitiva viene definito come bias di conferma gioca il suo ruolo. Il bias di conferma è un meccanismo, innato nell’essere umano, che agisce da auto-rafforzamento delle proprie idee e convinzioni, e che
“Consiste nel ricercare, selezionare e interpretare informazioni che confermano le proprie convinzioni o ipotesi” (Grignolio, 2016)
A livello più o meno conscio, quindi, ogni individuo tende a selezionare e percepire principalmente le informazioni che confermano quello in cui l’individuo credeva già; le notizie non sono percepite oggettivamente, ma attraverso un filtro che ne privilegia alcune a scapito di altre.
La semplicità è un elemento che entra in gioco nell’ambito del bias di conferma: la mente umana tende a semplificare, e le teorie alternative, siano esse in campo scientifico, sociologico o politico, riducono stress e complessità di apprendimento. Un evento narrabile in maniera intuitiva e alla portata di tutti avrà più possibilità di essere accettato e condiviso dagli utenti: inoltre, questo genere di spiegazioni alternative è rassicurante perché, generalmente, scarica le responsabilità di un evento o un fenomeno complesso, nel quale partecipano più fattori, su di un colpevole chiaramente individuabile. Pensiamo, nel contesto italiano, alle fake news sull’immigrazione e alla teoria complottista della sostituzione etnica.
In uno studio del 2018 effettuato da Lopez e Hillygus (J. Lopez, 2018) si analizza il rapporto tra la tendenza a diffondere notizie false e l’intenzionalità: ovvero, quante persone credono davvero alle bufale che contribuiscono a pubblicare e quante, invece, lo facciano con intenti legati al trolling. I due ricercatori hanno tentato di determinare, tramite una serie di domande mirate (ad esempio riguardanti la propensione dell’individuo in questione a rispondere a domande in maniera scherzosa), quante delle persone che affermavano di credere a varie bufale ci credessero davvero. Ovviamente, la sicurezza totale della veridicità dei risultati è, in analisi di questo tipo, del tutto discutibile: dopotutto, non vi è garanzia che il troll risponda in maniera seria alle domande.
Questo studio è stato realizzato seguendo una riflessione circa le elezioni presidenziali statunitensi del 2016, e alla famosissima inchiesta giudiziaria Russiagate, iniziata i primi mesi del 2017: l’inchiesta fu avviata a seguito di sospetti circa eventuali ingerenze da parte della Russia nella campagna elettorale statunitense precedente alle elezioni. L’inchiesta sui rapporti tra Trump e Mosca è tuttora in corso, e ha ricevuto una nuova copertura mediatica dopo il recente scandalo Cambridge Analytica, ma i sospetti sul coinvolgimento del presidente degli Stati Uniti non sono ancora stati confermati.
Esistono tuttavia degli studi effettuati per tentare di capire in che misura la diffusione di notizie false abbia effettivamente influenzato l’esito delle elezioni: Allcott (2017) e Gentzkow (2017) tentano di fornire un contesto teorico ed empirico per spiegare il dibattito circa le modalità di acquisizione di voti di Donald Trump e del suo entourage.
Gli elementi che hanno portato numerosi studiosi (Parkinson 2016, Dewey 2016, Read 2016) a ipotizzare un ruolo decisivo delle notizie false nelle ultime elezioni sono numerosi; innanzitutto, il 62% degli adulti negli Stati Uniti si informa sui social media (Gottfried and Shearer 2016), -anche se la maggior parte non considera i media la sua principale fonte di informazione (solo il 14%, Allcott e Gentzkow, 2017); inoltre, le bufale più popolari sono state più largamente condivise su Facebook rispetto alle corrispettive notizie mainstream (Silverman 2016). Molti individui presenti su Facebook hanno riferito di credere alle fake news, quando le leggono (Silverman and Singer-Vine 2016); infine, le bufale più diffuse e discusse tendevano, mediamente, a favorire il candidato Donald Trump rispetto alla sua avversaria, Hillary Clinton (Silverman 2016).
Le fake news possono essere di vari generi: da quelle appositamente fabbricate per scopi politici, come nel caso dell’inchiesta Russiagate, a pagine dichiaratamente satiriche che pubblicano notizie inventate che possono essere scambiate per vere; esistono siti complottisti che pubblicano articoli, anche se, in questo caso, solitamente gli autori stessi credono nelle informazioni che stanno diffondendo. Le bufale possono essere originate anche da un pettegolezzo, da dichiarazioni false, oppure da malintesi.
La disinformazione – anche se questo termine presupporrebbe ignoranza, mentre nel caso delle fake news il vero pericolo è rappresentato dalle convinzioni errate e diffuse con pretesa di veridicità - è particolarmente dannosa perché arriva a distorcere il senso della realtà riguardo tematiche cruciali del campo politico, scientifico e medico. Inoltre, quella che è, inizialmente, un’azione compiuta a scopo più o meno goliardico da parte di un troll, entra a far parte della disinformazione mainstream e viene diffusa anche da quelli che, secondo la sottocultura troll, possono essere definiti normie. Insomma, la diffusione di notizie false ha un costo sociale altissimo: spostando l’attenzione sul caso europeo, si può notare che la campagna mediatica anti-immigrazione messa in campo negli ultimi anni dai partiti di destra abbia portato, in alcuni paesi più che in altri (emblematico è il caso italiano), a un dislivello anche notevole tra le dimensioni effettive del fenomeno migratorio e la percezione di queste ultime.
L’applicazione della legge nel campo del web è sicuramente difficoltosa. Alcune caratteristiche di Internet come l’anonimato e la sua diffusione a livello globale, oltre alla velocità di sviluppo delle nuove tecnologie, che è infinitamente maggiore della velocità di avanzamento in campo legislativo e giuridico, ostacolano l’applicazione delle leggi per quanto riguarda i reati online.
Al di là delle fake news, fenomeno che in certi casi va oltre la competenza degli stessi troll, questi ultimi, a volte, si rendono colpevoli di altri illeciti, come la violazione della privacy, molestie oppure minacce. Doxxing, cyberbullismo oppure swatting sono tutti esempi di pratiche online compiute a danno di terzi.
Questo brano è tratto dalla tesi:
L'alt-right e la politica dei meme
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Informazioni tesi
Autore: | Giulia Romani |
Tipo: | Laurea II ciclo (magistrale o specialistica) |
Anno: | 2017-18 |
Università: | Università degli Studi di Bologna |
Facoltà: | Scienze Politiche |
Corso: | Mass Media e Politica |
Relatore: | Djordje Sredanovic |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 79 |
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