La Politica Estera e di Sicurezza Comune dell'Unione Europea
I limiti della Cooperazione Politica Europea
La Cooperazione politica ha prodotto dei risultati che, se da alcuni punti di vista sono stati particolarmente positivi, da altri hanno evidenziato i limiti del sistema.
Gli aspetti positivi hanno riguardato principalmente l’ambito materiale di applicazione. Infatti, gli Stati si sono progressivamente occupati di un numero sempre più alto di questioni di politica estera. Ma, la spinta a rivedere profondamente la CPE nel successivo Trattato di Maastricht nascerà dalla crescente insoddisfazione intorno alle attività della CPE e al suo scarso contributo al crescente ruolo internazionale dell’allora Comunità Europea.
In effetti, le decisioni nell’ambito della Cooperazione politica si limitavano essenzialmente a dichiarazioni o posizioni comuni su una determinata crisi o fatto internazionale, quasi mai trasformandosi in azioni concrete. Questo grave limite bloccava di fatto le potenzialità di sviluppo della CPE e la fiducia nelle sue decisioni. Bisogna anche ricordare che nel frattempo si verificavano gli eventi storici del 1989 legati al crollo del Muro di Berlino, che obbligavano gli europei ad assumersi responsabilità dirette e in comune anche nei settori fino ad allora trascurati della politica estera e di sicurezza.
Specie nell’ultima fase di vita della CPE, le ragioni che hanno portato più spesso alla progressiva perdita di coesione tra gli Stati durante le crisi internazionali, sono state inevitabilmente legate alla mancanza di una dimensione militare. Ciò emerge in modo evidente dalle vicende legate a due crisi scoppiate nei primi anni ’90: l’invasione del Kuwait e la prima guerra della ex Jugoslavia. Per entrambe, infatti, dopo una prima fase nella quale gli Stati membri sono riusciti a gestire la crisi con un certo successo e a dimostrare una coesione particolarmente forte nell’impiego di strumenti politici ed economici, quando si è resa evidente la necessità di ricorrere all’opzione militare, le cose sono del tutto cambiate.
Per quanto riguarda la prima crisi, non appena il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha autorizzato gli Stati a usare tutti i mezzi necessari per far fronte alle minacce dell’Iraq, gli Stati membri, da quel momento, hanno perso completamente la loro coesione non riuscendo a trovare l’accordo necessario per utilizzare il meccanismo della Cooperazione politica al fine di dare vita a operazioni militari congiunte. Per quanto riguarda la crisi aperta dalla ex Jugoslavia, nonostante gli sforzi diplomatici, gli Stati membri, di fronte ad un inasprimento della crisi ormai sfociata in una guerra civile, hanno dovuto riconoscere i propri limiti e fare ricorso alle Nazioni Unite chiedendo l’istituzione di una forza di peacekeeping che potesse esercitare quella funzione militare che l’Europa non era in grado di affiancare alla propria attività di mediazione.
Queste difficoltà erano lo sfondo che faceva risaltare la posizione di chi, nella CEE, sosteneva che non fosse più possibile lasciare ai margini del processo di integrazione le questioni di sicurezza e difesa: una richiesta congiunta di Francia e Germania dell’aprile 1990 aveva già portato il Consiglio Europeo di Dublino a decidere, nel giugno, che un’apposita Conferenza intergovernativa avrebbe discusso entro l’anno i passi necessari verso l’unione politica e per la costruzione di una Politica Estera e di Sicurezza Comune (PESC).
Questo brano è tratto dalla tesi:
La Politica Estera e di Sicurezza Comune dell'Unione Europea
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Informazioni tesi
Autore: | Melania D'Amico |
Tipo: | Tesi di Laurea Magistrale |
Anno: | 2016-17 |
Università: | Università degli Studi di Lecce |
Facoltà: | Scienze Politiche |
Corso: | Studi Geopolitici e Internazionali |
Relatore: | Massimo Ciullo |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 106 |
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